*Bibi, dov’è la vittoria?* di Vincenzo D’Anna*

Continua la tragica sceneggiata di Hamas che trasforma il rilascio dei prigionieri in un successo contro gli Israeliani. Oltre al macabro errore compiuto nel restituire, insieme con quello dei suoi piccoli figli, il cadavere di Shiri Bibas, sostituito con quello di una palestinese, le autorità di Tel Aviv hanno rivelato un agghiacciante particolare: dopo gli esami autoptici effettuati sulle salme dei bimbi è emerso che questi non sono deceduti per cause belliche, come sostenevano i terroristi, bensì uccisi a mani nude, per soffocamento. Un altro grano di quel lungo rosario di bestialità alimentato da odio politico e religioso, che pervade non solo i criminali di Hamas ma anche buona parte della popolazione che reclama “essere palestinese”. Tuttavia la Palestina, giova ricordarlo, è un’ampia regione compresa tra i territori di Giordania, Libano, Siria e Israele, e, prima ancora, governata da un protettorato inglese (all’indomani del crollo dell’Impero Ottomano).

I palestinesi che oggi vivono nella Striscia di Gaza sono i discendenti di quel popolo che fino agli anni Cinquanta del secolo scorso viveva in Giordania. Da quella nazione furono cacciati da Re Hussein perché gli si erano ribellati per instaurare una repubblica di stampo marxista leninista. Fu in quel tempo ed in quel Paese che si formarono i primi gruppi armati rivoluzionari come Al Fatah trasformatasi, poi, nell’Olp di Yasser Arafat ed in seguito nel Flp guidato da George Habash. In buona sostanza i precursori di Hamas. Quest’ultimo gruppo, oltre alla matrice comunista, denota anche una chiara impronta antisemita ed ha come unico obiettivo la lotta al Sionismo (la dottrina dello Stato di Israele fondato da Ben Gurion).

Non a caso è armato e finanziato dagli Ayatollah iraniani ed è alimentato da un odio religioso, razziale e politico, che non si è spento neanche con la risposta armata – pesantissima, sproporzionata e cinica – del governo di Benjamin “Bibi” Netanyahu. Una reazione che ha mietuto moltissime vittime tra i civili i cui familiari però dovrebbero addossare la colpa alla barbarie compiuta il 7 ottobre del 2023 dalla bande di Hamas che di fatto dettano legge nel loro Stato. I Palestinesi in fondo, sono la stessa gente che non ha voluto né saputo comprendere che la violenza cieca e sanguinaria dei terroristi non ha tenuto in nessun conto il prezzo che in una guerra avrebbero pagato gli inermi, insieme con i fanatici.

E quindi hanno oggettivamente collaborato con i criminali scavando tunnel che partivano dalle loro case, consentendo che ospedali e scuole si trasformassero in depositi di armi, offrendo alla jihad islamica i loro figli, spendendo i soldi e gli aiuti della comunità internazionale (giunti di anno in anno copiosamente a Gaza) in armamenti. Un popolo che invece di rimboccarsi le maniche per costruire una nazione degna di questo nome si è accontentato di sopravvivere in tendopoli come i loro avi nomadi. Oltre un milione e mezzo di quella stessa etnia vive civilmente in Israele ed altri in Giordania perché ha rifiutato la violenza e la tesi che lo stato ebraico debba essere cancellato dalla carta geografica. Anche sull’altro versante, tuttavia, i conti non tornano affatto. Israele è uno Stato democratico e progredito, la gente non è tragicamente disperata come quella che vive nella “Striscia”, ma le contraddizioni non mancano sia a livello di governo che a livello di opinione pubblica.

Quest’ultima può esprimersi e dividersi liberamente senza essere minacciata da repressioni poliziesche e da gruppi paramilitari come a Gaza. I conti non tornano, ad esempio, per le proteste contro Netanyahu organizzate dai parenti dei prigionieri ancora nelle mani di Hamas, per la semplice ragione che i loro inviti all’arrendevolezza, pur di salvare i propri congiunti, suonano beffardi ed oltraggiosi per i familiari delle duemila vittime scannate e massacrate dalle bande terroriste. Da più parti poi è giunta la critica contro l’appeasement a tutti i costi con il nemico dal momento che la tregua non ha mancato di esporre Israele alle ulteriori minacce da parte dei terroristi (oggi in buona parte decimati dalla risposta militare ebraica) con lo stillicidio dei razzi “Quassam” che a centinaia hanno martoriato, per anni, il territorio ebraico. Ma ha sbagliato anche il governo Netanyahu condizionato da gruppi religiosi di ultra ortodossi inclini anch’essi alla violenza senza limiti, determinati a massacrare anche i civili inermi pur di vendicarsi del “nemico”, dimenticando ogni principio di rispetto degli esseri umani. L’ignoranza, la povertà, il condizionamento ideologico e l’odio religioso, sono brutte bestie e trasformano comuni cittadini in uomini riprovevoli: la banalità del male consiste appunto in questa tragica metamorfosi. Ha sbagliato il governo a calcare la mano creando ogni sorta di tormento al popolo palestinese, ed ancor di più allorquando ha sottoscritto una tregua svantaggiosa con i i terroristi.

Un atto che non assicura nulla per il futuro, rendendo in tal modo vane le barbarie del conflitto. Insomma il governo del paese della “Stella di David” si trova oggi innanzi ad un successo mutilato, all’esito di una guerra feroce che comunque non garantisce sicurezza e pace duratura. Che l’accordo favorisca Hamas, che si riorganizza e si rianima, che i prigionieri liberati siano migliaia per Palestinesi e qualche decina israeliani, lo si rileva anche dagli irriverenti e scenografici rituali con i quali si accompagnano e si celebrano, in questi giorni, il rilascio dei vivi e dei morti israeliani. Insomma: Bibi, dov’è la vittoria?

*già parlamentare