*Meloni, Washington una nuova Fiuggi* di Vincenzo D’Anna*

Non capita di sovente che un leader politico italiano intervenga, in un consesso tenutosi fuori dal Paese, esprimendosi nella lingua ufficiale, l’inglese, con fluidità ed appropriatezza. Abbiamo ancora innanzi agli occhi Matteo Renzi che si cimenta in una improbabile performance che, più che un discorso, sembrava la gag di un attore comico!! Non così col nostro premier in carica, che non ha emulato neanche quel ministro italiano del secolo scorso il quale, recatosi a visitare un museo a Parigi, esclamò: “Questo quadro è la famosa défense de toucher“ perché aveva adocchiato, sotto il dipinto, l’apposito cartellino che… vietava di toccare l’opera d’arte!!! In disparte queste considerazioni che pure hanno il loro valore simbolico, quel che è parso ancor più appropriato è il contenuto dell’intervento del presidente del Consiglio al consesso della Cpac (la Conferenza di azione politica dei Conservatori).

Con piglio sicuro, la leader di FdI ha tracciato una linea di condotta, richiamando la base identitaria dei valori dei conservatori, che sembrava uscire nitida dal “Manifesto dei Conservatori ” redatto da Giuseppe Prezzolini spesso confuso come la Bibbia della destra reazionaria, altre volte come appendice del “Manifesto dei Futuristi” di Filippo Tommaso Marinetti ritenuto prologo del movimento fascista. A tal riguardo Prezzolini stesso chiarì che i Futuristi non furono mai i progenitori del Fascismo, perché i secondi erano per lo Stato gerarchico puro, nel mentre il Futurismo nasceva contro ogni forma di ordine dello Stato egemone. L’aderenza del discorso di Giorgia Meloni alle tesi conservatrici nasce dal fatto che per queste lo Stato deve essere forte ma anche minimo. In parole povere: dovrebbe limitarsi a provvedere, in modo tecnico perfetto, la sicurezza dell’ indipendenza nazionale; le comunicazioni rapide e a buon mercato; l’igiene necessaria alla salute della popolazione; la scuola che sa scegliere i migliori; una vecchiaia non questuante; la cura delle malattie gratuite e che, soprattutto. dovrebbe offrire un corpo di giudici imparziali, con un codice di leggi chiare, un’esecuzione della giustizia rapida e poco costosa per tutti ed una stabilità che permetta ai cittadini di provvedere al futuro con una certa sicurezza. Come può leggersi è esattamente il condensato delle cose che propone il governo di centrodestra, salvo poi saperle attuarle o disattenderle a seconda delle capacità.

Tuttavia per realizzare un siffatto programma occorre una scala di valori ed un codice etico che la leader italiana ha puntualmente rivendicato nel corso del proprio intervento. Meloni ha espunto quel che di positivo aveva pronunciato Vance a Monaco sulla condivisione dei principii di libertà individuali, sulla salvaguardia dei diritti naturali delle persone (e la libertà di poterli esprimere sempre), sul primato della democrazia elettiva che rifletta il verdetto elettorale, anche quando questo sia di segno avverso al nostro. Ma non si è appiattita sulla dottrina di Donald Trump: ne ha garbatamente preso le distanze rivendicando l’orgoglio di essere europea ricordando, all’uditorio, che il Vecchio Continente quei valori identitari li ha elaborati ed offerti al mondo intero. America compresa (anche se i cowboy di Trump credono di averli partoriti essi stessi). Un convincimento che conferisce enfasi alla dottrina del tycoon e lo spinge a ritenersi depositario di valori che altri intendono abbandonare. Giorgia ha pure rivendicato la necessità di un esercito europeo coeso e forte, quindi la fine del cordone ombelicale della Nato con gli Usa; ha ribadito i termini della guerra in Ucraina e la differenza tra aggressore ed aggredito e la necessità di difendere l’Ucraina anche con una forza di interposizione europea tra i contendenti. Insomma: tesi aderenti alla stessa scala valori ma divergenti sul piano contingente dell’agire politico. Per quanto riguarda la declaratoria dei valori si potrebbe dire che Washington rappresenta una nuova Fiuggi per la Destra, ricordando che nella città termale il Msi-Dn, nel 1995, tagliò le radici con le nostalgie del ventennio fascista, trasformando le proprie “dottrine” economiche di stampo corporativo nell’audizione dell’interclassismo economico e sociale.

Col discorso al Cpac Meloni ha arato nuovamente il terreno e ci ha seminato sopra la pianta del liberalismo possibile. Sembrano cose marginali quelle appena sottolineate, ma essenziali per la politica che nasce e si orienta da un manifesto di riferimento: l’unica possibile per arginare la deriva del mercantilismo speculativo di Trump e la plutocrazia di Musk. A quest’ultimo Meloni ha già detto no per installare in Italia la rete di comunicazione di StarLink. Non è poco saper dire di no a certa gente, soprattutto in questi tempi di barbarie ed ignoranza politica e ne va dato atto.

*già parlamentare