Lo Verso non scontò l’ergastolo perché morì nel 1965 nel carcere di Barcellona – La suora di Marcianise contro i giornali che la inseguivano di Ferdinando Terlizzi (*)
All’epoca del processo Filomena Salzillo si trovava a S. Andrea del Pizzone, una frazione di Francolise, dove dirigeva l’ambulatorio antimalarico e pare sia stata la benedizione dei contadini di quella zona malati di perniciosa. Nell’udienza prevista per il 13 novembre del 1948, dove doveva deporre l’ex-suora la folla curiosa si accalcava al Palazzo di Giustizia ancora più numerosa e rumorosa dei giorni precedenti. Questo è l’enigmatico personaggio che nel processo si inserisce quasi di straforo, ma che nel dramma del Lo Verso ha avuto la parte di prima attrice giovane. L’amante del medico era giunta in incognito ed aveva testualmente dichiarato al giudice nel suo interrogatorio del marzo del 1946 – “Mi disse che mi avrebbe sposata in occasione del nostro incontro di Napoli, dove abbiamo avuto relazioni intime. Poi comparve in aula e subito si levò un morboso movimento di curiosità. “È una donnina piccola e insignificante – scrisse un inviato speciale – un pò curvata con l’aria di monachella, è magra, di bassa statura, vestita modestamente da provinciale, un fazzoletto a fiori annodato sotto la gola che le fascia la testina sicché le spunta soltanto un lungo naso adunco.
È una acconciatura piuttosto da viaggio, in automobile scoperta. Il fazzoletto che nasconde quasi tutto il viso lascia intravedere solo un poco di guance, con il trucco e la cipria rosa carico e due labbra tinte di rosso carminio. Porta alle mani guanti di filo nero a rete e con le dita mobilissime tormenta la cinghia di una borsetta nera di seta, come se sgranasse il rosario. Tutto è sgradevole in questa ragazza, persino il suo accento e la sua voce dal tono stridulo e concitato”. Perché usciste dall’Ordine? Chiese il presidente -Io ero monaca. Avevo bisogno di una occupazione ed il dottore mi aveva assunta come infermiera nel suo studio, dove dovevo occuparmi della casa e delle figliolette”. L’Avv. Gullo di parte civile si spinse oltre e domandò tout court se prima che con il Lo Verso ebbe rapporti con altri. Qui l’ex suora fa una confessione netta e precisa: “Mi trovavo in convento a Pescopagano, avevo 15 anni e conobbi un giovanotto che veniva a villeggiare colà, certo Salvatore Di Maria, fummo fidanzati due anni. Fino allora ci eravamo scambiate delle lettere tenerissime e qualche bacio furtivo.
Una sera ottenni il permesso di uscire dal convento per fare qualche passo”. Il presidente: interrompendo “Abbiamo capito, il passo del precipizio”.… Avevo 17 anni. Quindici giorni dopo, il Di Maria partiva per l’America, e da allora non ho avuto più notizia alcuna. Provai una grande delusione, e il convento mi aperse le sue porte”. Il processo cominciò l’8 novembre 1948. Il pubblico ministero aveva costruito la “logica del delitto”: l’ipotesi dell’errore, ridotta allo scambio di fiala, parve ben poca cosa rispetto alle tesi dell’accusa. Lo Verso cercò di sminuire anche la relazione con l’ex suora. “Non ebbi mai un rapporto di carattere sentimentale. Le avrei promesso di sposarla? Non avrei mai creduto di venire qui imputato di avere ucciso mia moglie per una Salzillo qualunque”. Alfredo de Marsico, un autentico pilastro del Foro italiano, smontò punto per punto i cardini dell’accusa. Ma, purtroppo, la tesi che prevalse fu quella che il medico, approfittando dello stato di gravidanza, avesse ucciso la moglie. Il 23 gennaio 1949 Lo Verso fu condannato all’ergastolo. La sentenza fu confermata in appello e dalla Cassazione. Lo Verso scontò la sua condanna in varie carceri fino a quando fu trasferito a Barcellona Pozzo di Gotto. Morì nel carcere di Barcellona il 7 ottobre 1965, a 51 anni, per un collasso cardiovascolare, e fu sepolto nel cimitero di Palermo. Dopo il processo la ex suora fece ancora parlare di sé. Negli ultimi tempi viveva a Marcianise dove trascorreva una vita ritirata, solo pensando al suo lavoro. Il padre, Antonio, era morto da tempo, ed essa abitava con la madre Maria, una vecchia donna di casa assai religiosa e la sorella più piccola, Teresa, al n. 101 di via G. E. Novelli, in un palazzetto con un cortile rustico pieno di carri agricoli, mucchi di fieno, polli e i bambini. Il fratello più grande, Agostino, che era sposato, stava nello stesso edificio. Una volta i Salzillo erano agiati mezzadri ma poi l’agiatezza passò, e mentre Teresa si era impiegata nell’Esattoria Comunale, Filomena usciva ogni mattina assai presto sulla sua bicicletta e, pedalando veloce, andava a Napoli dove frequentava un corso per diventare ostetrica o si recava in giro a fare iniezioni, soffermandosi sopra tutto a Sant’Andrea del Pizzone, la borgata di Francolise dove, fino a tutto il 48, diresse un ambulatorio del Consorzio provinciale antimalarico. L’ex suora Filomena Salzillo un giorno fu chiamata al telefono da un giornalista che voleva rievocare il caso Lo Verso. Secca la risposta: “Fatevi i cazzi vostri”.