HomeAttualitàCatartico, la parola di oggi a cura del prof. Innocenzo Orlando
Catartico, la parola di oggi a cura del prof. Innocenzo Orlando
28
Catartico
ca-tàr-ti-co
Significato Nell’antica Grecia, purificazione di corpo e spirito; per l’estetica di Aristotele, sollievo dalle passioni determinato dalla tragedia teatrale; liberazione interiore ottenuta tramite la drammatizzazione di eventi e passioni; rinnovamentoEtimologiavoce dotta recuperata dal latino cathàrticus, dal grecokathartikós ‘che purifica; purgante’, derivato di kátharsis ‘purificazione’, derivato di kathaíro ‘purificare’, da katharós ‘puro’.
«Ho pianto dall’inizio alla fine, è stata un’esperienza catartica.»
Quali sono gli effetti dell’arte sul nostro animo? Molti e proteiformi, ed esplorati — sembra — da sempre. Questo qui è uno dei più importanti, e anche dei più celebri, perché messo a fuoco in una famosa riflessione di Aristotele — e anche perché, diciamocelo, il nome difficile ha un carisma che non perde mai smalto.
Stiamo ragionando di una purificazione, che si declina anche come una purificazione corporea: il greco kathartikós è pure il purgante. Si volge verso qualcosa di più alto quando abbraccia una purificazione religiosa. Ma il significato più persistente ha una natura estetica.
La tragedia è il genere, se non più importante, certo di maggior nobiltà, nel mondo greco. Questo misterioso canto del capro prende la forma di una narrazione a fine infausto incentrata su gente importante, che è compendio delle passioni e delle sventure del genere umano intero.
Aristotele, nella Poetica, nota questo: assistere alla finzione della tragedia a teatro, con i suoi terrori, con le sue ire, con le sue pietà, solleva da questi sentimenti. Passarci in mezzo permette, a chi segue il dramma, di purificarsene. Pare (ed è) un’idea per tempi sofisticati; però è un fenomeno che permea la nostra vita estetica anche nelle sue manifestazioni più semplici.
Il senso di liberazione alla fine del film commovente scaturisce da ciò che abbiamo attraversato; l’alleggerimento che proviamo nel rivivere dettagliatamente il frangente gravissimo che abbiamo passato non è incidentale; una poesia cruda che parla di un sentire tremendo può accompagnarci come un balsamo. Così quel film è catartico, quel rivivere è catartico, quella poesia è catartica.
Poi questo aggettivo può godere anche di un senso più attenuato, imperniandosi su una purificazione più leggera e impalpabile: posso parlare di una musica catartica che mi ripulisce e dispone a una riflessione, posso parlare di visioni catartiche d’arte orientale che sgombrano cuore e mente — ma dobbiamo tenere presente che la catarsi ha la possibilità ultima di esprimere quelle liberazioni inseguite dalle scienze psicologiche e da tanti misticismi. Tant’è che diventa un genere di rinnovamento — pensiamo alla catarsi morale di una comunità dopo l’evento segnante.
Far entrare questa parola nel nostro discorso significa far entrare la riflessione sul potere dell’arte e della drammatizzazione dell’esperienza: una riflessione che non è certo primitiva e non è scontata, ma che gode di una diffusione popolare quanto pane e vino. Non iperbolica e improbabile come una rinascita, non generica e liturgica come una purificazione, lontano dalle catene rotte della liberazione, dalle rivincite del riscatto, la catarsi e il catartico godono di una messa a fuoco unica.
Un caso formidabile di come le parole difficili possano parlare di realtà prossime; nella grande sua varietà di forme la catarsi non è rara, non è per pochi — anzi ci accompagna dall’infanzia all’ultimo approdo con costanza. Questo bel nome aristotelico che diamo alla liberazione attraverso la drammatizzazione, alla liberazione attraverso l’arte, ha tutto il fascino del blasone, e il catartico è quasi araldico.