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Da una parte gli Stati Uniti di Donald Trump, che si produce in un interminabile show incontrastato al Congresso. Dall’altra l’Europa, che con il Consiglio europeo straordinario di oggi prova a ritrovare compattezza. Due mondi prima vicinissimi e alleati e ora sempre più distanti.
Il vertice di Bruxelles è stato convocato proprio per dare una risposta alle mosse di Trump sull’Ucraina, allo stop all’invio di armi a Kiev e al piano della presidente della commissione Ursula von der Leyen, che prevede un riarmo europeo da 800 miliardi. I dettagli si sapranno oggi, ma sembra chiara la direzione verso cui sta andando l’Europa, con mille difficoltà e ostacoli: cioè il sostegno anche militare all’Ucraina e in prospettiva il riarmo continentale, anche se non è ancora chiaro in che forma.
E l’Italia? Giorgia Meloni resta ancora cauta, in quella situazione di equilibrio, e un po’ anche di equilibrismo, che vorrebbe tenere insieme l’appartenenza europea ma anche il legame con Donald Trump, con il quale ha un rapporto privilegiato. Dietro di lei, intanto, si allarga la spaccatura politica interna al governo, con una Forza Italia più propensa all’idea di un riarmo e di un passo in avanti dell’Europa e una Lega sempre più allineata al trumpismo e quindi contraria alla spinta della Francia di Emmanuel Macron e al piano di Ursula von der Leyen.
Le domande di questi giorni sono sempre più inquietanti e di difficile risposta.
– La Russia è una minaccia reale per l’Europa?
– Gli Stati Uniti hanno abbandonato definitivamente il nostro Continente oppure la posizione di Trump è temporanea e tattica?
– I Paesi europei devono aumentare le spese per gli armamenti come richiesto dalla Nato (e da Trump) oppure devono cominciare a mettere in piedi un esercito, un’industria militare comune?
– E prima non devono cambiare passo, cercando un’unità anche politica, abolendo la regola dell’unanimità?
– Può farlo questa Europa, oppure devono essere alcuni Paesi più forti e volenterosi a portarsi avanti?
– L’Ucraina va difesa senza e senza ma oppure è possibile e opportuno un compromesso, che comporterà inevitabilmente una cessione di territori?
Domande che saranno sempre più incalzanti nelle prossime settimane e alle quali certo non riusciremo qui a dare una risposta. Ma proviamo intanto a fare un punto della situazione attuale, con le forze in campo, gli schieramenti e le mosse dei Paesi e dei partiti.
Cominciamo, dunque: oggi è giovedì 6 marzo e questa è la Prima Ora del Corriere della Sera.
Qui America
Un’ora e quaranta di discorso al Congresso, nel quale – a 43 giorni dall’incoronazione a presidente, Donald Trump ha detto che «America is back» (lo stesso slogan usato da Joe Biden contro di lui nel 2020), e ha parlato di Ucraina, dazi, immigrazione, gender, tirannia woke, Groenlandia, Panama, uova e del «fallimento» di Biden.
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La guerra Trump ha detto di aver ricevuto da Zelensky una lettera in cui si dice pronto a negoziare per la pace. Si torna a trattare per l’accordo sui minerali saltato dopo lo scontro nello Studio Ovale. Trump ha ripetuto che sta lavorando «instancabilmente» per porre fine al «selvaggio conflitto in Ucraina» e ha affermato che mentre gli Stati Uniti hanno speso miliardi di dollari per appoggiarne la difesa, «l’Europa ha tristemente speso più soldi comprando il petrolio e gas russo di quanti ne abbia spesi per difendere l’Ucraina». Sull’Ucraina, in realtà, gli Stati Uniti hanno messo a segno un doppio colpo: hanno sospeso gli aiuti militari e ora è arrivato anche lo stop alla condivisione di dati di intelligence con Kiev annunciato dal capo della Cia John Ratcliffe. Un’ulteriore pressione per costringere l’Ucraina a un negoziato senza precondizioni.
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L’economia Trump ha detto di voler «salvare la nostra economia e fornire sollievo immediato alle famiglie che lavorano». Ha dato la colpa al suo predecessore per «la catastrofe economica e l’incubo dell’inflazione». Ha aggiunto che «Joe Biden ha lasciato che il prezzo delle uova andasse fuori controllo». Ma ha riconosciuto che i dazi possono avere alcune ripercussioni: ha chiesto agli americani di portare pazienza se «saranno necessari degli aggiustamenti».
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Immigrazione Sull’immigrazione, ha chiesto al Congresso di approvare i fondi per portare a termine «la più grande operazione di espulsione nella storia americana».
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Fact checking Come spesso accade, molte delle cose dette da Trump erano fattualmente false o esagerate o fuori contesto. Per questo è molto utile dare un’occhiata al fact checking di Alessandra Muglia.
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L’opposizione dem I democratici sono restati seduti in silenzio, sollevando cartelli che dicevano «falso». Un deputato texano, Al Green, lo ha interrotto più volte affermando che «non ha il mandato» per tagliare Medicaid (l’assistenza sanitaria per poveri e disabili) ed è stato espulso. Tutto sommato, una prova opaca di un’opposizione che è sembrata confusa e non all’altezza della situazione eccezionale, come ha rilevato anche The Atlantic.
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La Corte suprema contro Trump L’amministrazione Trump ha in gran parte smantellato il lavoro dell’agenzia per lo sviluppo internazionale Usaid, con gravi conseguenze a cascata per molte organizzazioni internazionali di volontariato. Il suo quartier generale è stato chiuso, il nome rimosso dall’edificio e quasi tutto lo staff in congedo retribuito. Ma ieri la Corte suprema ha rifiutato di sospendere la decisione di un tribunale federale che richiedeva che il governo, che ha congelato gli aiuti all’estero, paghi comunque quasi 2 miliardi per il lavoro che i dipendenti hanno già svolto. La Corte suprema si è spaccata: 5 contro 4.
Qui Europa
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L’appello di Macron ai francesi Emmanuel Macron si è rivolto alla nazione con un messaggio di 15 minuti dai toni solenni. Un appello per sostenere la patria, un richiamo alla «forza d’animo della nazione». Che introduce una mossa concreta: l’annuncio che la settimana prossima a Parigi si riuniranno «i Capi di stato maggiore dei Paesi che desiderano assumersi le proprie responsabilità» e cioè mandare truppe europee in Ucraina. Non ora, non sul fronte, ma «una volta firmato il trattato di pace per garantirne la piena attuazione». Macron ha aggiunto che «siamo entrati in una nuova era» e che «la Russia è una minaccia per la Francia e per l’Europa: chi può pensare che la Russia di oggi si fermerà all’Ucraina? Di fronte a questo mondo di pericoli, rimanere spettatori sarebbe una follia». Macron annuncia un aumento delle spese militari, ma «senza aumentare le tasse». Poi una postilla importante: la Francia possiede una «forza di deterrenza nucleare», ed è pronta a discutere con gli europei sul modo di mettere questa protezione nucleare a disposizione degli altri Paesi.
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La posizione di Meloni La linea ufficiale dell’Italia sarà esposta solo oggi da Giorgia Meloni. Ma la posizione nota è quella di un sì allo scorporo delle spese militari dal Patto di Stabilità e quindi di una valutazione positiva del piano von Der Leyen. Marco Galluzzo rivela che Meloni ha chiesto una scheda e proiezioni al Mef sui vari scenari di un’accelerazione sulle spese militari. Le cifre – scrive – «dicono che Roma potrebbe arrivare ad avere risorse fresche sino a 50 miliardi di euro, nei prossimi mesi, per una serie di investimenti produttivi molto ampi, dalla ricostituzione degli stock di armi prosciugati dagli aiuti all’Ucraina all’acquisto diretto sul mercato di capacità militari che possono essere girate a Kiev, sino all’opzione di rafforzare il nostro sistema di difesa, con la possibilità di progettare consorzi industriali (con almeno altri due Stati europei) per colmare i gap strategici (in termini di intelligence, sorveglianza aerea, logistica, artiglieria e mezzi terrestri e marini) che il nostro esercito ha accumulato negli anni. Restano però al momento dei dubbi sui perimetri, sulla cornice finanziaria e sugli obiettivi reali consentiti da Bruxelles». La cautela di Meloni si spiega non solo politicamente ma anche con rilievi economici. Scrive Galluzzo dei dubbi della premier: «Trattandosi di prestiti, capacità finanziarie che andranno comunque restituite per non gravare sul debito pubblico italiano, in quanti anni il piano di rientro sarà definito? Cosa possiamo fare con tutto questo denaro? Cosa possiamo comprare? Il via libera di Bruxelles riguarda quali spese? Sembra che si tratti solo di investimenti produttivi, dunque per creare valore, acquistare armi o colmare dei gap industriali è un conto, ma pagare gli stipendi per farlo potrebbe essere escluso».
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La Lega dice no Ieri hanno parlato sia il leader di Forza Italia sia quello della Lega, con posizioni opposte, come ormai capita spesso. Matteo Salvini, parlando alla riunione dei gruppi, è stato netto: «Credo che nessuno si aspettasse 800 miliardi di investimenti militari. Fino all’altro giorno non si poteva investire un euro in più per la sanità e per le pensioni, ora invece si può fare senza indebitarsi? Una scelta sbagliata a partire dal nome: riarmo». Salvini dice no anche anche alla difesa europea: «Francia e Germania ci avrebbero portato in guerra». Ma interviene anche Giancarlo Giorgetti, che frena: gli aiuti all’Ucraina non sono in discussione, ma «altra cosa è la difesa e sicurezza europea che implica un programma ragionato meditato di investimenti in infrastrutture militari che abbiano un senso, e non fatto in fretta e furia senza una logica. Ricordo che per comprare un drone o un missile supersonico, non si va al supermercato, ci vogliono investimenti pluriennali
».
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Tajani con Zelensky e De Gasperi Antonio Tajani, leader degli azzurri, replica indirettamente: «Noi siamo a favore dell’unità dell’Ue, che deve lavorare per l’unità dell’Occidente. Le tifoserie servono a poco». Questa è la linea di Forza Italia, ma non solo. Perché «la linea in politica estera è quella che traccia il presidente del Consiglio con il ministro degli Esteri». Sottinteso: la linea la tracciamo noi, io e Meloni, non il ministro dei Trasporti, Salvini. Tajani lo definisce «piano di sicurezza» e ricorda che la difesa comune europea era «il sogno di De Gasperi e di Berlusconi». Poi avverte: «Io sono convintamente europeista e se questo fosse un governo anti-europeo non ne farei parte».
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Schlein vicina a Conte, Pd diviso La linea scelta da Elly Schlein, che si è avvicinata a quella di Giuseppe Conte pur senza combaciare, si discosta da quella degli altri partiti progressisti europei. Anche per questo oggi la segretaria incontrerà a Bruxelles gli esponenti dell’eurogruppo S&D, che sostiene il piano di riarmo come «un punto di partenza». La segretaria dice che «all’Unione europea serve la difesa comune, non il riarmo nazionale». La posizione critica di Schlein non piace ad alcuni nel partito. Come Paolo Gentiloni, che apprezza il piano von Der Leyen: «Può essere migliorato, ma è un segnale nella direzione giusta». Conte, che spara contro «la furia bellicista» (non quella di Putin), ne approfitta per fare quello che fa da mesi, cioè attaccare il Pd: «Si mettessero d’accordo. Comunque, non permetteremo che il governo spenda 30 miliardi in più in armi». Con Schlein sono Andrea Orlando e anche Dario Franceschini, che dice: «Condivido Schlein, il piano di von der Leyen va profondamente rivisto».
Mattarella contro i dazi
Il capo dello Stato vorrebbe «un ordine internazionale basato sulle regole, libero, aperto, inclusivo, pacifico. Con norme certe, applicabili a tutti i Paesi, a prescindere da ogni considerazione di potenza economica o militare. Queste norme certe, chiare, che valgano per tutti, costituiscono l’unico possibile presidio per la stabilità mondiale». Sono cose che dice da tempo – scrive Marzio Breda – «ma, ripetute adesso, suonano come la proposta di un antidoto, data la crisi del multilateralismo, la delegittimazione dei fori di confronto (come l’Onu) e l’incognita aperta dalle barriere tariffarie imposte da Trump». Mattarella – in visita a Tokyo – parla di mercati aperti, contesta i «protezionismi di ritorno» e spiega: «L’alternativa è tra cooperazione e pretese di dominio».
Magistrati-governo, dialogo tra sordi
A rigore, è una di quelle notizie che non è una notizia. Gli esponenti dell’Associazione nazionale magistrati hanno incontrato a Palazzo Chigi la premier Giorgia Meloni. Incontro che doveva servire a provare a ricucire dopo lo scontro nato dalla riforma della giustizia (separazione delle carriere) e conseguente sciopero delle toghe. Risultato: ognuno sulle sue posizioni. Nessun passo avanti. Anzi, «un dialogo tra sordi», come lo definisce Giovanni Bianconi. L’unico risultato, potrebbe dirsi, il fatto che l’Anm sia riuscita a mantenere un’unità, e non era scontato.
Un indagato per corruzione e il Salva Milano naufraga
La notizia rischia di essere un pericoloso salto di qualità. Già, perché finora la polemica sui grattacieli di Milano, sulla speculazione edilizia, sullo strapotere degli immobiliaristi era tutta politica, con il sindaco Giuseppe Sala costretto in difesa, che chiedeva una copertura legislativa del pregresso, per evitare guai e la delegittimazione della sua attività. Ma ora esce la parola più insidiosa: corruzione. Franco Oggioni, 68 anni, già direttore dello Sportello unico edilizio del Comune di Milano, poi pensionato, dal 2021 fino a due mesi fa vice della Commissione per il Paesaggio di Palazzo Marino, è ai domiciliari per ipotesi di «frode processuale e depistaggio», «corruzione» e «falso». Un altro componente della Commissione Paesaggio del Comune, l’architetto Emilio Marco Cerri, è indagato per «traffico di influenze», e bersaglio di una richiesta di misura interdittiva coi funzionari comunali Andrea Viaroli e Carla Barone per falso.
La vicenda è complicata, ma la sostanza è che c’è un intreccio incredibile di ruoli e responsabilità, la festa dei conflitti di interesse, e c’è un’attività sospetta di interlocuzione con la politica per influenzare e addirittura scrivere sotto dettatura il testo della legge «salva Milano», passato alla Camera e ora fermo in Senato. I politici in questione sono, peraltro, esponenti di destra: Tommaso Foti (Fdi), Maurizio Lupi (Noi moderati) e Alessandro Morelli (Lega). Loro dicono che si trattasse di «normale interlocuzione».
Il sindaco, che è di centrosinistra, dopo aver difeso a spada tratta il Salva Milano, minacciando fuoco e fulmini, e accusando il Pd (diviso, naturalmente), ora rinuncia a sostenere il disegno di legge congelato in Senato da un paio di mesi. «Gli elementi di novità, e purtroppo di maggiore gravità, descritti negli atti di accusa — scrive in una nota Palazzo Marino — inducono questa amministrazione a non sostenere più la necessità di proseguire nell’iter di approvazione della proposta di legge cosiddetta Salva Milano». Se il centrosinistra molla il Salva Milano, che farà la destra? Da una parte voleva mettere in difficoltà il Pd, dall’altra faceva il gioco dei costruttori. Li abbandonerà al loro destino? E la giunta? Probabile, a questo punto, un rimpasto, con l’addio dell’assessore alla Casa Guido Bardelli (che, intercettato, dice: «Dobbiamo far cadere questa giunta») e forse anche di altri.
Addio a Bruno Pizzul
Chi ha una certa età, ha impressa nel ricordo la sua inconfondibile voce che ora, scrive in uno splendido pezzo Giorgio Terruzzi, «risuona nella memoria come una musica struggente». Se n’è andato a 86 anni Bruno Pizzul, storico telecronista di calcio e della nazionale. Terruzzi: «Darsi importanza, mai e poi mai. Piuttosto, un’ironia, quel tocco che possiedono le persone incapaci di prendersi sul serio. Sì, un uomo buono, “l’uomo più buono del mondo” come diceva Beppe Viola con il quale condivise affetto e lavoro; stanze e corridoi della Rai a Milano».
Le opinioni
«La democrazia archiviata», di Carlo Verdelli.
«Mélenchon e la moralità alternata», di Stefano Montefiori.
«Scuola, l’occasione demografica», di Francesco Billari e Cecilia Tommasini.
«Quando i populisti erano democratici», di Aldo Cazzullo.
«È il debito basso a rilanciare Berlino», di Danilo Taino.
Da ascoltare
Nel podcast «Giorno per giorno», Paolo Salom parla dei lavori del Congresso del Popolo a Pechino, in cui il primo ministro Li Qiang ha promesso una maggiore apertura economica e commerciale al mondo. Luigi Ferrarella spiega l’operazione che ha portato all’arresto di un ex dirigente dell’Urbanistica del Comune di Milano. Aldo Grasso ricorda Bruno Pizzul, spiegando che cosa di lui è rimasto (e cosa no) nel racconto del calcio di oggi.
Il Caffè di Massimo Gramellini
«Elio sì, Elio no»
«”La musica di oggi non è peggiore di quella di prima: la musica di oggi non esiste”. Così parlò Elio delle Storie Tese, e nel leggere la sua intervista al Giorno mi sono sentito finalmente compreso (o vendicato?) da uno che di musica ne capisce molto più di me. Perché coi vecchi amici con cui ho bazzicato stadi e palazzetti al seguito dei vari Genesis, Bowie, Ramones, Dalla-De Gregori e Police si finisce spesso per manifestare sgomento di fronte ai testi impoetici e alle sonorità mollicce del Ventunesimo secolo. E per chiedersi, proprio come fa Elio, quale curiosa mutazione abbia prodotto una gioventù (vincitore di Sanremo compreso) che ai ruggiti lirici del rock preferisce i miagolii deprimenti dell’autotune.
Poi mi è venuto in mente che un analogo discorso di decadenza avrebbe potuto riguardare la letteratura, la pittura, il cinema, il calcio, il giornalismo… Per non sprofondare nella disperazione e trasformarmi in un autotune vivente, mi sono persuaso che, in fondo, ogni epoca ha l’arte che si merita e che più le corrisponde. Se oggi i cantanti non vogliono più spaccare il mondo è perché nessuno crede più di poterlo spaccare (forse perché è già spaccato di suo). L’unica certezza è che tra trent’anni Olly rilascerà un’intervista per lamentarsi di quanto sarà caduta in basso la musica rispetto a quand’era giovane lui, e i suoi coetanei gli daranno amaramente ragione. Penseranno di averla inventata loro, la “balorda nostalgia”, mentre i primi a soffrirne sono stati Adamo ed Eva».
Grazie per aver letto Prima Ora.
(in sottofondo «Fear is the mind killer», di Jesse Welles. La trovate nella nostra Playlist, aggiornata ogni venerdì con le nuove uscite di musica pop, rock e indie).
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