Aversa, 1949. Il veleno diretto al padre uccise la nonna. Calunniosi rapporti incestuosi con il genitore che fu condannato ad un anno. Era stata invece deflorata dal fidanzato che però fu assolto. La ragazza fu condannata  ad anni 13 di reclusione.   Di Ferdinando Terlizzi (*)

La mattina dell’11 maggio del 1949 venivano ricoverati nell’ospedale civile di Aversa Angelina Menditto e suo genero Giovanni Francese i quali presentavano chiari sintomi di avvelenamento. Il sanitario, sulla scorta delle dichiarazioni dei predetti, diagnosticava, per entrambi, “gastrite acuta per avvelenamento da verderame”, ingerito con cibo cotto in utensile di rame non perfettamente stagnato. La mattina successiva, il 12 maggio, alle ore 10:15, la Menditto decedeva, mentre il Francese, che aveva rifiutato il ricovero, si ristabiliva rapidamente. Si accertava in primo luogo che la sera del 10 maggio del 49, Giovanni Francese messosi a tavola, dopo alcuni bocconi aveva avvertito uno strano sapore della minestra ed aveva sospeso il desinare. La suocera Angelina Menditto sopraggiunta nell’intervallo volle controllare se quanto il genero lamentava fosse esatto e trovando la minestra di suo gusto ne digeriva gran parte della detta pietanza. Pochi minuti dopo il Francese e la Menditto, venivano colti da disturbi. Il primo, restituiva quello che aveva mangiato; la seconda riaccompagnata a casa sua nel corso della notte si aggravava. Il ricovero in ospedale non impediva che la poveretta cui si è detto decedeva la mattina del 12 maggio. La Maria Francese finiva col confessare di aver volontariamente mescolato alla minestra posta in serbo per il padre il disinfettante allo scopo di procurargli dei disturbi viscerali che gli impedissero quella stessa sera di portarsi in campagna con lei – come progettato – col palese proposito di abusare di lei medesima. Maria Francese confermava quanto tempo addietro aveva rivelato al maresciallo Nicola Minucci e al brigadiere Aniello Romanucci circa le insane voglie del genitore nei suoi riguardi. Sulla scorta delle acquisite circostanze i carabinieri denunciavano in stato di arresto Maria Francese all’autorità giudiziaria accusata di omicidio premeditato in persona della nonna Angela Menditto e di tentato omicidio in persona del padre Giovanni Francese.

Fu a questo punto disposta una perizia “chimico-tossicologica ed istologica” sul cadavere della Menditto affidata al Prof. Dott. Mario Covelli, titolare di Chimica Farmaceutica e Tossicologica nelle Università e al Prof. Armando Fasanotti, dell’Istituto di Istologia e Anatomia Patologica all’Università di Napoli. All’esito i periti accertavano che la morte della donna era stata cagionata da “avvelenamento acuto da arsenico”, avendo ingerito con gli alimenti una dose letale di “anidride arseniosa”. Ed ecco il colpo di scena. Il 3 dicembre del 1949 Maria Francese chiedeva, tramite il direttore delle carceri, di essere nuovamente interrogata dal giudice istruttore, preannunciando interessanti rivelazioni. Infatti il 19 dicembre rendeva le sue nuove dichiarazioni assumendo che fu Francesco Sagliocco, suo fidanzato, a suggerirle di propinare al padre una polvere bianca che intanto le consegnava la quale agendo come “una fattura” avrebbero indebolito colui inducendolo a prestare il suo consenso alle nozze resesi urgenti a seguito dell’intervenuta deflorazione consumata dal Sagliocco. Veniva pertanto instaurato procedimento penale nei confronti di Francesco Sagliocco, al quale si contestava il concorso nel delitto ascritto alla ragazza e nei riguardi di Giovanni Francese cui veniva addebitato ildelitto di maltrattamenti in pregiudizio della figliola Maria, vittima delle bramosie e delle violenze di costui. Francesco Sagliocco si proclamava innocente assumendo di avere sempre ignorato le mire concupiscenti del Giovanni Francese cui la figlia addebitava soltanto una immotivata persecuzione. Disposta in una perizia sullo stato di mente della Maria Francese, affidata allo psichiatra Prof. Antonio Colucci, concludeva la sua indagine tecnica asseverando che la giovane “non presentava alcuna tara patologica che ne minava la capacità di intendere e di volere”, essendo, però, un soggetto, per quanto incolto e primitivo, fornito di malizia e capace di simulazione. Chiusa la formale istruzione, Maria Francese e Francesco Sagliocco venivano rinviati al giudizio della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere per rispondere, in concorso tra loro, di omicidio aberrante in persona di Angelina Menditto. Giovanni Francese per rispondere anche di maltrattamenti in pregiudizio della figliola Maria. Esaurita l’assunzione delle prove, il pubblico ministero chiedeva affermarsi la colpevolezza della Maria Francese e con la diminuente della minore età e l’attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale affermarsi la colpevolezza di Giovanni Francese. Assolversi Francesco Sagliocco dal concorso in omicidio per insufficienza di prove. La difesa della Maria Francese invocava ritenersi l’ipotesi dell’omicidio preterintenzionale con i benefici delle attenuanti generiche, dei motivi di particolare valore morale sociale e della provocazione; per Giovanni Francese si chiedeva l’assoluzione per insufficienza di prove; per il Sagliocco l’assoluzione con la formula piena. La Corte di Assise (composta dal Presidente, Giovanni Morfino; giudice a latere, Victor Ugo De Donato; Pubblico Ministero, Nicola Damiani) emise un verdetto di condanna per Maria Francese, colpevole del delitto di omicidio aberrante plurilesivo con la diminuente della minore età, della provocazione, del motivo di particolare valore morale e sociale; per Giovanni Francese, colpevole del delitto di maltrattamenti. Condannava la Maria Francese alla pena di anni 13 e mesi sei di reclusione, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e da quella legale, durante la pena; Giovanni Francese, in concorso con la contestata recidiva aggravata e reiterata ad anni 1 uno e mesi 6 di reclusione.  Sospendeva infine il Giovanni Francese dall’esercizio della patria potestà per un tempo pari al doppio della pena inflitta; assolveva Francesco Sagliocco dal concorso nel delitto ascritto alla Maria Francese per non aver commesso il fatto. Nel processo furono impegnati gli avvocati: Andrea Della Pietra, Generoso Iodice, Giuseppe Garofalo, Alberto Narni Mancinelli, Enzo Nerone e Antonio Simoncelli.

 

 

 

(*) Fonte: Ferdinando Terlizzi – Delitti in bianco & nero a Caserta – Prefazione di Ugo Clemente – Edizioni Italia – 2017 –