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Così, in una lettera scritta dal Policlinico Gemelli di Roma (dove resterà ricoverato ancora per diversi giorni, nonostante i lievi miglioramenti), papa Francesco si è rivolto al direttore del Corriere, Luciano Fontana.
E il momento non potrebbe essere più attuale. Sono ore decisive. Oggi, con l’annunciata telefonata fra Donald Trump e Vladimir Putin capiremo se davvero, come ha ripetuto anche ieri la Casa Bianca, «non siamo mai stati così vicini alla pace». O almeno a un cessate il fuoco. Se poi quel cessate il fuoco si rivelerà un primo passo per «rendere concreta la pace in un contesto internazionale ove sono prevalse spinte aggressive, in Ucraina come in Medio Oriente» (come ha auspicato anche ieri il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in occasione della Festa dell’Unità d’Italia) o non invece un accordo sulla testa di Kiev che avvicinerà quello che Aldo Cazzullo continua a considerare l’obiettivo finale di Putin («Fare dell’Ucraina un Paese vassallo»), è l’altra grande incognita.
Da Kiev, Lorenzo Cremonesi scrive che, in Ucraina, non sono in pochi a temere, sia negli ambienti di governo che tra i commentatori locali, che il presidente Usa possa «svendere» la causa ucraina in cambio di accordi economici bilaterali privilegiati e di cooperazione strategica con Mosca. «Il Kyiv Post sottolinea che lo stesso Mike Waltz, consigliere per la Sicurezza Nazionale alla Casa Bianca, durante una conferenza stampa domenica ha dimostrato di sposare in modo acritico la precondizione russa, per cui gli ucraini dovranno accettare subito “la realtà della situazione sul campo”, che significa piegarsi al compromesso territoriale. Il media ucraino ricorda che i dirigenti del Cremlino più di una volta hanno detto di considerare “irrinunciabili” le province ucraine della “Novorossiya”, che nella loro lettura comprendono non solo le intere quattro regioni che adesso controllano solo parzialmente — Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia — ma a cui devono aggiungersi anche le zone di Mykolaiv, Odessa e persino Dnipro. In pratica tutto il sud-est del Paese». Il ministro degli Esteri ucraino Andriy Sybiha ha indicato ieri quelli che sono per Kiev gli aspetti «non negoziabili»: «L’Ucraina non riconoscerà mai i territori occupati; secondo, nessun Paese ha il diritto di mettere il veto sulla scelta degli ucraini di unirsi ad alcuna alleanza, che si tratti dell’Unione europea o della Nato».
Il presidente americano, tornando a Washington da Mar-a-lago, ha fatto qualche anticipazione dall’aereo presidenziale, ma piuttosto vaga. Nella telefonata con Putin, ha detto, «parleremo di territori, parleremo di impianti energetici, perché questo è un grosso tema. Ma ci sono molte cose che sono state già discusse da entrambi i lati. Dall’Ucraina e dalla Russia, abbiamo già parlato con loro di dividere certi beni». (Secondo qualche media Usa, Trump sarebbe pronto a riconoscere, ad esempio, l’annessione russa della Crimea)
Qualcos’altro ha aggiunto, alla Cbs, Steve Witkoff, che ha incontrato Putin a Mosca giovedì scorso. Putin accetta «la filosofia di Trump» sul porre fine alla guerra. Alla domanda su quanto tempo ci potrebbe volere per arrivare ad un accordo, Witkoff ha citato Trump, che ha detto che ci vorranno settimane: «Non sono in disaccordo con lui». Poi ha aggiunto che gli americani intendono continuare a tenere colloqui separati con le delegazioni ucraina e russa questa settimana.
Se si arrivasse a un cessate il fuoco, di 30 giorni o quanti saranno, ci sarebbero in ogni caso due problemi. Il primo, più immediato, l’ha evidenziato lo stesso Putin: chi sorveglierà che la tregua non venga violata e segnalerà chi sia, nel caso, a trasgredirla? In genere, per compiti del genere vengono inviati contingenti di Paesi che non sono in alcun modo coinvolti nel conflitto. Il secondo riguarda le «garanzie di sicurezza» che l’Ucraina – comprensibilmente, visti i precedenti – continua a chiedere in caso di un trattato di pace, ossia: chi e come garantirà Kiev contro il rischio di una nuova invasione russa negli anni a venire? Ed è soprattutto qui che l’Europa e la «coalizione dei volenterosi» tenuta a battesimo dal premier britannico Keir Starmer potrebbero rientrare nella partita.
In che modo, Giuseppe Sarcina lo spiega così: «Da mesi il leader ucraino, Volodymyr Zelensky, tramontata l’ipotesi di accedere quanto prima alla Nato, chiede un robusto dispiegamento di militari stranieri come deterrente nei confronti di Putin. Meglio se europei, ma non necessariamente europei. (…) Nel gruppo dei “volenterosi” si sta segnalando l’attivismo di Anthony Albanese e di Christopher Luxon, premier rispettivamente di Australia e Nuova Zelanda. I due leader hanno già comunicato a Starmer, Macron e Zelensky la disponibilità a partecipare a una forza di interposizione in Ucraina». Certo i due Paesi sono stretti alleati di Stati Uniti e Regno Unito, con i quali, insieme al Canada, costituiscono i «Five eyes», gruppo che si scambia le più importanti informazioni di intelligence. Però, pur avendo sempre appoggiato l’Ucraina, non fanno parte della Nato. Finora per loro era stato ipotizzato un ruolo marginale, di semplice supporto. «Lo scenario, però – spiega Sarcina – potrebbe cambiare rapidamente, anche per la spinta che arriva dalla Turchia». Anche Erdogan ha difeso il diritto all’integrità territoriale dell’Ucraina, ma, pur aderendo all’Alleanza Atlantica, si è proposto come mediatore tra Mosca e Kiev. «Il presidente turco ha risposto positivamente all’appello di Starmer e Macron, ma a condizione di ottenere una posizione paritaria nella pianificazione militare e nella struttura di comando. Ecco allora che da una missione interamente nelle mani dei generali britannici e francesi (piano A) potremmo passare a una configurazione più corale (piano B). Ci sarebbe una guida a rotazione semestrale o annuale tra Regno Unito, Francia, Turchia e forse anche Australia. Il risultato sarebbe quello di diluire il peso degli europei». Secondo alcuni analisti, come i generali Vincenzo Camporini (qui l’intervista concessa a Rinaldo Frignani) e Giorgio Battisti, conclude Sarcina, potrebbero essere coinvolti anche altri Paesi, come India o Egitto, finora rimasti fuori dal perimetro dei «volenterosi».
Primo piccolo particolare: il Cremlino continua a considerare la presenza di truppe europee in Ucraina sostanzialmente come una dichiarazione di guerra.
Secondo piccolo particolare: l’Unione europea non sta esattamente marciando «come un sol uomo». Su quello che Sarcina ha chiamato il piano A, un contingente guidato dai britannici e dai francesi, con il contributo di Olanda, Lituania, Lettonia Estonia e (forse) Germania, Finlandia e Belgio, dopo Italia e Spagna si è sfilata, a sorpresa, anche la Polonia. Motivo? Il timore è di trovarsi imbarcati in una missione velleitaria, senza la copertura giuridica dell’Onu e, soprattutto, senza lo scudo militare degli Stati Uniti. Ma i Ventisette, segnala Francesca Basso da Bruxelles, sono divisi anche sulle quote dei contributi per gli aiuti a Kiev. A mettersi di traverso, sul piano da 40 miliardi di aiuti presentato dall’Alta rappresentante per la politica estera Ue Kaja Kallas, non è soltanto la solita Ungheria. «Uno degli aspetti del piano che ha sollevato dubbi, soprattutto tra i grandi Paesi – spiega Basso – è la scelta della chiave di ripartizione in base al Pil. Tra gli scettici ci sono Italia, Francia, Belgio, Spagna, Grecia, Malta e Cipro». «Valuteremo con grande attenzione il piano Kallas» – ha assicurato il ministro degli Esteri Antonio Tajani, aggiungendo che il contributo dell’Italia sarebbe di «4-5 miliardi» e invitando a tenere presente che «noi dobbiamo anche raggiungere l’obiettivo del 2% della Nato e c’è il piano per la sicurezza della presidente von der Leyen».
Le divisioni italiane
Non sono quelle di militari da inviare sul terreno, visto che il governo resta contrario, ma le divisioni dentro la maggioranza e nell’opposizione. La premier Giorgia Meloni, anticipa Marco Galluzzo, arriverà oggi in Parlamento con un’intesa su una risoluzione unitaria da presentare al Consiglio europeo di giovedì. «Sarà articolata in 12 punti, ma stando alla larga da tutti i temi divisivi, senza citare le iniziative di Francia e Inghilterra sull’ipotesi di un contingente militare europeo, accontenterà la Lega nel ribadire che la Ue non ha bisogno solo di un programma che si chiami ReArm, piuttosto di un programma più vasto, che comprenda anche altri ambiti strategici, per esempio la cybersecurity. Poi la risoluzione, che farà riferimento anche a temi strategici come la competitività europea e la riconversione industriale di settori in crisi, insisterà su almeno due parole che mettono tutti e tre i leader d’accordo: imprescindibilità del ruolo degli Stati Uniti, anche depotenziato, in qualsiasi scenario, legato o meno alla crisi Ucraina, e altrettanta imprescindibilità del ruolo della Nato, dunque Alleanza atlantica centrale in qualsiasi contesto post crisi. Nella forza delle relazioni transatlantiche, infatti, Meloni e Salvini non hanno difficoltà a trovare un denominatore comune, e altrettanto vale per Forza Italia. E ovviamente, nella bozza che è circolata ieri sera, si fa un riferimento esplicito, per il post crisi fra Russia e Ucraina, se ci si arriverà, al ruolo delle Nazioni Unite».
Quanto alle opposizioni, oltre alla «concorrenza» sempre più netta fra Movimento 5 Stelle e Pd (che Roberto Gressi condensa in un «Elly e Giuseppe all’ultima sfida, che promette di protrarsi fino al giorno prima delle elezioni politiche, senza sapere se ci sarà alleanza o meno»), va avanti il tentativo dei dem di ricucire la lacerazione provocata dal voto all’Europarlamento sul ReArm Europe. L’aggiornamento di Maria Teresa Meli è questo: «Nel weekend spiravano ancora venti di guerra nel campo dem, ma ieri sia maggioranza che minoranza hanno compreso che andare allo scontro, proprio in questo momento, sarebbe stato solo “un favore alla destra”». Probabile, quindi, che stavolta i gruppi parlamentari non si spacchino sulla risoluzione da presentare oggi in Aula.La situazione resta comunque quella dipinta da Massimo Franco nella sua Nota: «I tormenti simmetrici della premier Giorgia Meloni e della segretaria del Pd, Elly Schlein, trasmettono una sensazione speculare e inedita. E cioè che per la prima volta le leader dei due maggiori partiti, di governo e di opposizione, si trovino a fare i conti con le contraddizioni della loro politica estera. È chiaro che per Palazzo Chigi il tema è più spinoso, perché Meloni guida il Paese». (Qui l’analisi di Federico Fubini «Perché l’Italia non sa scegliere tra l’Ue e Trump: 500 milioni di dosi di vaccino buttati in Europa e le 7 verità a cui gli elettori hanno diritto»)
A tutti, governo e maggioranza, stamattina Mario Draghi, sempre in Parlamento, in un’audizione informale alle commissioni riunite Bilancio, Attività produttive e Politiche dell’Unione europea di Camera e Senato, ricorderà le sfide che attendono l’Europa, facendo una sorta di aggiornamento a 6 mesi dalla sua prima «scossa» al Vecchio Continente. Innovazione, transizione energetica, difesa restano le scommesse per un cambiamento radicale diventato ancora più necessario.
Le nomine Rai
Scrive Antonella Baccaro che «comincia a delinearsi la vera Rai a trazione centrodestra. Dopo l’anno di interregno di Roberto Sergio, arrivato in corsa nel 2023, in un consiglio di amministrazione con ancora gli equilibri precedenti, il successore, l’amministratore delegato Giampaolo Rossi (FdI), ha completato il suo pacchetto di nomine». L’ufficialità dovrebbe arrivare nel cda di giovedì, ma il quadro sembra essere delineato: «Forza Italia, che soffre ancora la mancata conferma della presidente designata Simona Agnes, con questo schema avanza di una casella, conquistando Rainews24, con Federico Zurzolo. Un raddoppio per gli azzurri cui rimane anche il Tg2. Paolo Petrecca (FdI), sfiduciato dalla redazione di RaiNews24 approda a Rai Sport (dove gestirà i grandi eventi sportivi, come Milano-Cortina), lasciata libera da Iacopo Volpi, pensionato. Nicola Rao (FdI) passa dalla direzione Comunicazione (dove sale Fabrizio Casinelli) al Giornale Radio, da luglio, quando Francesco Pionati (Lega) andrà in pensione. Confermati gli attuali interim di Roberto Pacchetti (Lega) alla Tgr, e Pierluca Terzulli al Tg3 ( M5S/Avs). Infine a Rai Italia approda Maria Rita Grieco (FI), al posto di Fabrizio Ferragni, pensionato».
Le altre notizie
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«A causa della continua mancanza di fiducia, ho deciso di presentare una proposta al governo per porre fine al mandato del capo dello Shin Bet, Ronen Bar». Benjamin Netanyahu ha annunciato così il licenziamento del numero uno dei servizi segreti interni israeliani nominato nel 2021 e destinato a ricoprire l’incarico fino al 2026. Non era mai successo nella storia di Israele. Le tensioni tra Netanyahu e Bar erano già in atto prima del 7 ottobre 2023, in particolare a causa di una proposta di riforma della giustizia che aveva scatenato massicce proteste nel Paese qualche mese prima. «Staremo dalla parte giusta», aveva detto all’epoca Bar. I rapporti tra i due si sono deteriorati ancor di più dopo la pubblicazione, il 4 marzo, dei risultati di un’indagine sulla carenza nella trasmissione di informazioni di intelligence che avrebbero potuto allertare le autorità sulla portata dell’attacco di Hamas contro Israele. «Ma il vero motivo dietro la decisione – scrive da Gerusalemme l’inviata Marta Serafini – starebbe nelle indagini di Bar su diversi importanti collaboratori di Netanyahu coinvolti nel “Qatargate israeliano” e pagati dal Qatar mentre gestivano la delicata politica di negoziazione degli ostaggi per il primo ministro». Non è chiaro se Netanyahu riuscirà a licenziare Bar: il provvedimento deve essere vidimato dal gabinetto di governo in settimana, e l’opposizione ha già annunciato un ricorso alla Corte Suprema.
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La guerra commerciale di Donald Trump rischia di frenare la crescita mondiale e di riaccendere l’inflazione Usa. Nelle sue previsioni, l’Ocse taglia le stime sul Pil mondiale, che nel 2025 aumenterà del 3,1%, lo 0,2% in meno rispetto a quanto indicato a dicembre. Nel 2026, si fermerà al 3%, lo 0,3% in meno (la crescita era stata del 3,2% nel 2024). Quasi tutti i Paesi esaminati frenano, rispetto alle previsioni di pochi mesi fa, quando il presidente statunitense non si era ancora insediato alla Casa Bianca. Risalgono, invece, le stime sull’inflazione americana, vista al 2,8% nel 2025, lo 0,7% in più. Per l’Italia, la crescita del Pil si fermerebbe allo 0,7% quest’anno (-0,2%) e resterebbe sotto l’1% anche il prossimo (allo 0,9%, con un taglio delle previsioni dello 0,3%). La Germania registrerebbe una crescita dello 0,4% nel 2025 e dell’1,1% nel 2026. L’Ocse conferma invece le stime di crescita della Cina, al 4,8% quest’anno e al 4,4% nel 2026. Da notare che l’Ocse ha tenuto in considerazione solo i dazi già decretati da Trump (ad esempio contro Canada e Messico) ma non quelli, finora soltanto promessi, contro i Paesi Ue.
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Lo ha seguito passo passo in chat, fino a quando Andrea si è ucciso. Indicazioni continue e pressanti su Telegram per essere sicuro che il suo contatto telematico, che aveva riposto in lui una fiducia pressoché sconfinata, arrivasse a togliersi la vita. Particolari sconvolgenti che emergono dalle indagini sulla tragica fine di Andrea Prospero, studente 19enne di Lanciano (Chieti), iscritto alla facoltà di Informatica dell’università di Perugia, trovato morto il 29 gennaio scorso in un b&b del capoluogo umbro. Ieri la svolta nelle indagini: la squadra mobile perugina ha arrestato con l’accusa di istigazione al suicidio un 18enne romano, ora ai domiciliari, mentre un suo coetaneo, che vive ad Afragola, in provincia di Napoli, è indagato per spaccio di farmaci. Sarebbe stato lui a vendere a Prospero i prodotti a base di ossicodone e benzodiazepine che hanno causato il decesso.
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Ancora una tragedia in montagna. Ancora vittime tra gli scialpinisti. Dopo i due morti nel Bellunese, ieri ha perso la vita, per il distacco di una slavina sul versante trentino dell’Adamello, un escursionista tedesco 49enne che stava sciando fuoripista. Altri due scialpinisti, un 36enne bresciano e un 51enne tedesco, sono finiti in ospedale. Il primo è grave, in rianimazione a Trento.
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Una rivolta cittadina, le dimissioni del sindaco, gli arresti. Dopo il rogo nella discoteca che sabato notte ha provocato 59 morti — quasi tutti adolescenti e giovani tra i 14 e 24 anni — a Kocani, la città teatro della strage in Macedonia del Nord, l’atmosfera è tesissima. Ieri mattina è esplosa la rabbia. Centinaia di persone, radunate davanti al municipio, hanno assaltato e distrutto un bar e un’auto appartenenti al proprietario del «Pulse» — il locale incendiato per l’esplosione di materiale pirotecnico durante un concerto — e che figura tra le persone finora arrestate.
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I documenti sull’assassinio dell’ex presidente americano John Fitzgerald Kennedy saranno pubblicati oggi. Ad annunciarlo è stato lo stesso Donald Trump, parlando di circa 80 mila pagine che saranno messe a disposizione. Documenti che il presidente ha definito «interessanti». E poi ha aggiunto: «Abbiamo una quantità enorme di documenti, ci sarà molto da leggere. Non credo che censureremo nulla. La gente li aspetta da decenni».
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È morto, a 91 anni, lo storico Lucio Villari, a cui si devono, in particolare, importanti lavori di ricerca sul capitalismo e sul nostro carattere nazionale. Sul Corriere lo ricordano Antonio Carioti e Paolo Conti.
Da leggere e ascoltare
Il reportage dell’inviata Marta Serafini nel campo profughi di Jenin, in Cisgiordania, «l’altro fronte di Israele».
La «guerra» di Trump alle università in cui ci sono state manifestazioni pro palestinesi, raccontata dalla corrispondente Viviana Mazza.
L’intervista di Enrico Marro al ministro della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo.
L’editoriale di Antonio Polito «Una luce (offuscata) sul mondo»: «Quella luce globale, la capacità della democrazia americana di essere un faro di civiltà per il mondo intero, che la presidenza Trump ha già considerevolmente offuscato».
L’intervento di Dacia Maraini «Difendere l’Europa, che ci ha dato tanto».
L’analisi di Giampaolo Silvestri, segretario generale di Avsi, «Cooperazione, tra tagli e falsità».
La rubrica Frammenti di Ferruccio de Bortoli: «Gli occupati crescono per il solo effetto della riforma Fornero?»
Il corsivo di Ernesto Galli della Loggia «Servizi, mercato e tormenti telefonici».
L‘inserto Buone Notizie.
Nel podcast «Giorno per giorno», Fulvio Fiano racconta gli ultimi sviluppi della vicenda del 19enne Andrea Prospero, trovato morto suicida a Perugia. Viviana Mazza parla delle difficoltà della Columbia University di New York, alla quale Donald Trump vuole tagliare 400 milioni di dollari di fondi. Francesco Battistini parla delle proteste in Serbia contro il presidente Vucic e di un’area europea nuovamente in ebollizione.
Il Caffè di Gramellini
Tutti tranne Totti
Chissà cos’avrà pensato il buon Totti nel vedere i cartelloni pubblicitari con la sua gigantografia e lo slogan in cirillico «l’Imperatore sta arrivando nella terza Roma». «La terza? Ho sempre giocato titolare nella prima: ti pare che all’età mia, mi rimetto a fà la gavetta?», gli sarà scappato, e giustamente. Invece per i russi la terza Roma è Mosca (la seconda era Costantinopoli, la quarta un cantiere che finirà tra un paio di Giubilei), dove l’8 aprile Totti dovrebbe essere ospite di un premio organizzato da un sito di scommesse. Ora, sarà che la parola «boicottaggio» mi ha sempre dato l’orticaria (come la parola «scommesse», peraltro), ma pur pensandola su Putin diversamente da capitan Salvini, non me la sento di unire la mia flebile voce al coro di chi esorta il Capitano, quello vero, a disertare l’evento perché si svolge in territorio nemico. E non solo per la banale ragione che non considero i russi, in quanto tali, miei nemici. È che mi sembrerebbe di infierire. Ma come, Pupo sì e il Pupone no? Conte, non mi riferisco all’allenatore, a Mosca ci andrebbe di corsa, magari facendo il giro largo da Pechino, e senza neanche pretendere di farsi precedere da cartelloni imperiali. Ma la lista dei potenziali turisti della democrazia è lunga e accidentata come un ragionamento del professor Orsini. Se non ci vanno è solo perché nessuno li invita. Ma allora che senso ha impuntarsi proprio su Totti, che al massimo salirà sul palco per raccontare una barzelletta su sé stesso? Ditemi se non è invidia, questa.
Grazie per aver letto Prima Ora e buon martedì
(Questa newsletter è stata chiusa all’1.15)
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