sabato, 22 Marzo 2025
Home Attualità LA RASSEGNA STAMPA DI OGGI DA “Il Fatto”, “Dagospia”, “Notix” e...

LA RASSEGNA STAMPA DI OGGI DA “Il Fatto”, “Dagospia”, “Notix” e “Cronachedi” e le prime pagine dei giornali di oggi a cura della redazione dell’Agenzia Cronache / Direttore Ferdinando Terlizzi

Danno erariale, il salvacondotto per i politici: niente più condanne

Lo scudo. La condannata Montaruli (FdI) fa votare un emendamento per salvare gli amministratori: sempre in “buona fede”

Un salvacondotto erariale per i politici a qualsiasi livello, a partire dagli amministratori locali, che si salveranno in base al principio della cosiddetta “buona fede”. Non saranno più punibili per danno alle casse dello Stato, tranne che si provi il “dolo”. È questo il contenuto di un emendamento approvato mercoledì nelle commissioni Affari costituzionali e Giustizia della Camera alla riforma della maggioranza sulla Corte dei Conti in discussione da mesi a Montecitorio che modifica l’assetto e limita il potere di controllo dei giudici contabili.

La norma ha una prima valenza politica perché è stata voluta da Fratelli d’Italia – che propone anche il disegno di legge con l’attuale ministro per gli Affari europei Tommaso Foti – ed è firmata da due dirigenti di peso del partito di Giorgia Meloni: la vice capogruppo Augusta Montaruli e il deputato Luca Sbardella, appena nominato commissario di FdI in Sicilia dopo gli scandali che hanno coinvolti i dirigenti del partito sull’isola.

Montaruli è stata condannata il 17 febbraio 2023 in via definitiva dalla Cassazione a un anno e sei mesi per peculato per aver utilizzato in maniera impropria i fondi pubblici della Regione Piemonte tra il 2010 e il 2014: sentenza che ha portato alle sue dimissioni da sottosegretaria all’Università. Ora, da parlamentare e aspirante al ruolo di vice capogruppo vicario di FdI al posto di Manlio Messina, ha fatto approvare l’emendamento.

La norma, che sta preoccupando non poco i giudici contabili, introduce una sorta di salvacondotto extra large per i politici che non saranno più punibili per danno erariale, eccezion fatta nel caso in cui venga provato il dolo. Lo scudo, si legge nell’emendamento, riguarda i “titolari degli organi politici” in base a una presunta “buona fede” e “fino a prova contraria” quando “gli atti adottati dai medesimi titolari, nell’esercizio delle proprie competenze, sono proposti, vistati o sottoscritti dai responsabili degli uffici tecnici o amministrativi, in assenza di pareri formali, interni o esterni, di contrario avviso”.

La norma va a modificare la legge del 1990 sui poteri della Corte dei Conti secondo cui già oggi i titolari degli organi politici non sono punibili se approvano o autorizzano atti che “rientrano nella competenza propria degli uffici tecnici o amministrativi”. Il nuovo emendamento rende automatica l’attivazione dello scudo per “buona fede”. Per tutte le decisioni che saranno anche solo “vistate” dai tecnici , i politici non saranno punibili per danno erariale, eccezion fatta nel caso di dolo. Un salvacondotto extra-large che si applica, di fatto, a tutti gli atti perché qualsiasi delibera viene sempre almeno “vistata” da un dirigente amministrativo. Si va quindi dalle delibere comunali e regionali fino ai rimborsi spese che tanto preoccupano gli amministratori locali. Il danno erariale, dunque, verrebbe di fatto cancellato per i politici e gli amministratori perché – presumendo la buona fede – non si potrà contestare la cosiddetta “colpa grave”, unico paletto rimasto per processare gli amministratori per danno erariale.

Non è chiaro se l’emendamento proposto e approvato dalla maggioranza con parere favorevole del governo serva a qualcuno nello specifico, ma una cosa è certa: come qualsiasi norma di carattere penale, si applicherebbe retroattivamente, cioè anche ai processi in corso. Come ha scritto Il Fatto a gennaio, la riforma è co-firmata da due esponenti della maggioranza condannati per danno erariale – il capogruppo di Forza Italia alla Camera Paolo Barelli e il meloniano Riccardo De Corato – e altri quattro parlamentari nella stessa condizione la voteranno alla Camera nelle commissioni Giustizia e Affari costituzionali. La riforma a prima firma Foti è in discussione alla Camera e andrà a stravolgere assetto e poteri della Corte dei Conti limitandoli notevolmente, a partire dalle procure regionali contabili.

 

Il presente (e l’avvenire) in questa giovane piazza

 

In un Paese dove la premier si vanta di aver stravolto un documento fondamentale per la cultura politica europea come il Manifesto di Ventotene, usando frammenti di alcune frasi arbitrariamente decontestualizzate dal momento in cui furono elaborate.

In un Paese in cui questo scivolone maldestro viene presentato come uno scherzo astuto per far saltare i nervi all’opposizione (e qualcuno pure ci crede).

In un Paese in cui viene contrabbandata come riforma epocale della giustizia una spregiudicata mortificazione del pubblico ministero a vantaggio di chi può e conta ma con scorno dei cittadini comuni.

In un Paese in cui la premier definisce le tasse pizzo di Stato, mentre la piaga dell’evasione fiscale viene “curata” con i condoni.

In questo Paese fa davvero specie che 50.000 persone (in maggioranza giovani) trovino la voglia e il tempo di ritrovarsi a Trapani per partecipare a un colorato corteo, ascoltare in silenzio la lettura dell’interminabile elenco delle vittime innocenti di mafia, stringersi intorno ai familiari delle vittime per manifestare affetto e solidarietà nella loro richiesta di verità e giustizia e imparare da don Luigi Ciotti alcune importanti verità, spesso crude, su mafia , corruzione e relativo contrasto.

Fa specie, eppure è successo esattamente nei termini che ho descritto. Ciò significa che ci troviamo di fronte a una massa di persone che forse non ha mai letto Odio gli indifferenti di Antonio Gramsci o le frasi di Piero Calamandrei che bollano “l’indifferentismo alla politica” inteso come rifiuto di partecipare alla vita della polis, ma si comporta come se avesse assimilato quegli insegnamenti.

E allora, ecco una massa di persone decise a respingere ogni forma di apatia o rassegnazione, per dare testimonianza convinta di impegno nell’interesse del bene comune. Valori questi per cui va ringraziata ancora una volta Libera, che nei suoi primi trent’anni di vita li ha sempre coerentemente perseguiti.

Carriere separate. Il blitz di Nordio per l’ok accelerato

In estate consultati i giuristi: niente cuscinetto di 3 mesi tra le camere

Nessuna modifica. Spediti fino alla meta. Cioè fino all’approvazione definitiva della riforma costituzionale della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri e poi il referendum confermativo. Con un’accelerazione in più: il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, sta tentando di far approvare dal Parlamento il disegno di legge costituzionale sull’ordinamento giudiziario in via definitiva entro l’estate o al massimo in autunno. Nel primo caso il referendum si potrebbe tenere già a fine 2025 o al massimo a inizio 2026. L’operazione sembra impossibile, ma è allo studio in queste ore tra ministero della Giustizia e Palazzo Chigi.

Premessa. Come ha raccontato Liana Milella sul Fatto domenica scorsa, il timing della riforma sulla separazione delle carriere rischia di essere troppo lungo e di non essere approvata in tempo per eleggere i due nuovi Csm al posto di quello attuale che scadrà a gennaio 2027. Sia Nordio sia la premier Giorgia Meloni lo sanno e per questo stanno studiando un modo per velocizzare i tempi. A partire da un dato di fatto: il disegno di legge non sarà modificato rispetto al testo approvato a metà gennaio dalla Camera per evitare un altro passaggio parlamentare. Quindi è blindato e non sarà toccato, come hanno spiegato sia Meloni sia Nordio il 5 marzo incontrando l’Associazione nazionale magistrati. Qualsiasi modifica potrà essere inserita successivamente nelle leggi attuative alla riforma.

In queste ore, però, tra Palazzo Chigi e Via Arenula si sta studiando anche un modo per velocizzare i tempi. L’obiettivo dei vertici del governo sarebbe quello addirittura di approvare la riforma in via definitiva, in entrambe le Camere, entro l’estate. Come? Con un’interpretazione estensiva dell’articolo 138 della Costituzione, cioè quello che regola le modifiche costituzionali. La disposizione, infatti, prevede che il disegno di legge che cambia la Carta venga adottato “da ciascuna Camera con due successive deliberazioni a intervallo non minore di tre mesi” e “a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione”.

In sintesi, quindi, viene indicato un periodo cuscinetto di tre mesi per dare il tempo al Parlamento di riflettere tra la prima e la seconda deliberazione. Ma secondo alcune interpretazioni giuridiche questi tre mesi dovrebbero intercorrere tra le due letture, secondo altre invece basterebbe aspettare 90 giorni tra la prima e la seconda lettura di ciascun ramo del Parlamento. Dopo l’approvazione alla Camera di gennaio e il possibile “sì” al Senato entro metà aprile, dunque, nel primo caso bisognerebbe aspettare luglio per tornare a Montecitorio, nel secondo si partirebbe già a maggio. È evidente che Nordio e Meloni, per rendere più rapidi i tempi, vogliano percorrere la seconda strada. Così gli uffici del Guardasigilli negli ultimi giorni hanno chiesto pareri a diversi costituzionalisti per capire se si possa fare e hanno ottenuto parere positivo. Anche perché ci sono dei precedenti, per esempio quello della riforma sul taglio dei parlamentari quando passarono solo due mesi tra la prima e la seconda lettura. Per la riforma Renzi, invece, passarono circa sei mesi. Procedendo a passo spedito, comunque, la riforma potrebbe essere approvata entro l’estate. Il passaggio in Senato sarà di fatto blindato e anche la seconda lettura sarà “prendere o lasciare”.

A quel punto bisognerebbe aspettare sei mesi per celebrare il referendum confermativo tra il passaggio all’Ufficio centrale della Cassazione e la campagna elettorale. In questo caso, quindi, il referendum potrebbe anche tenersi a fine 2025 o, più probabilmente, a inizio 2026. Resterebbe un anno per scrivere le leggi attuative sul nuovo ordinamento giudiziario. In tempo, insomma, per eleggere il nuovo Csm. Una corsa contro il tempo che in queste ore stuzzica il governo. Un modo per sbloccare le altre riforme sulla giustizia, dalla prescrizione al sequestro degli smartphone: la destra ha deciso di bloccare tutto per dare la precedenza alla separazione delle carriere. In caso di vittoria al referendum il governo si sentirà legittimato a farle.