Alludere
al-lù-de-re (io al-lù-do)
Significato Accennare velatamente
Etimologia voce dotta, recuperata dal latino alludere ‘giocare, fare allusioni, sfiorare giocando’, derivato di lùdere ‘giocare, scherzare’, con prefisso a-.
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«Sembra non abbia detto niente di chiaro, ma è stato molto allusivo.»
L’ironia non è certo l’unico modo intelligente che abbiamo di scherzare con le parole — e l’alludere ce lo dice in maniera particolarmente… allusiva. Dentro c’è il lùdere, il giocare, che viene da ludus, il gioco. Ma vediamo meglio la corposità del riferimento.
Il verbo ‘alludere’ è una parola dotta, ripresa nel Rinascimento dall’alludere latino, che ha dei significati che ci aiutano moltissimo nella comprensione generale del termine: con quel prefisso continua ad essere un ‘giocare’, e arriva già al ‘fare allusioni’, ma nella coda dei significati spicca una chiave di volta: sfiorare giocando. Il prefisso a- direziona, avvicina, fino al rasentare.
È un’azione comunissima, nel gioco: quante volte si finta, si sfila, si fa saltare un cappello, ci si tocca appena fra gli sberleffi! E così, con questo gesto obliquo, si provoca, si accenna a dove si potrebbe arrivare, a fin dove ci si potrebbe spingere, s’intende, si promette, si fanno degli impliciti. È un alludere concretissimo.
Quando noi alludiamo a qualcosa potremmo dire che vi accenniamo — ma l’accenno è fin troppo diretto, nel modo che ha di indicare col cenno. ‘Alludere’, diciamo più ampiamente, significa riferirsi in modo indiretto a qualcuno o qualcosa, richiamare o indicare ma in maniera elusiva, coperta.
La persona a cui stiamo presentando un problema allude a certe sue conoscenze altolocate che potrebbero risolverlo — o aggravarlo; ancora ci arrabbiamo ogni volta che qualcuno allude a un’opportunità che abbiamo sprecato; ci arrovelliamo quando ci sembra che la persona che ci piace abbia alluso a qualcosa che potremmo fare insieme; e nell’opera famosa troviamo molte allusioni che rimandano a opere meno note.
Lo percepiamo benissimo: il gioco compiuto dall’alludere, andando sotto a un riferimento senza prenderlo, senza esplicitarlo, può avere atteggiamenti e intenzioni differenti. Ad esempio, può essere un gioco tutt’altro che divertente — anzi può fomentare, offendere, e arrivare ad adombrare una minaccia. Ma dopotutto, tanti giochi non sono scherzosi per niente: può essere un gioco relazionale d’esplorazione, può essere un modo per creare reti di riferimenti eleganti e discreti, può velare qualcosa che non si può o non si vuole dire apertamente.
Non solo il concetto è raffinato, ma è centrale: si finisce per non avere tante parole che spieghino l’alludere, mentre usiamo l’alludere per spiegare moltissimo. Un distillato di un’atavica, ricchissima osservazione del gioco, che con un prefisso prende significati dei più disparati. È in buona compagnia: pensiamo alle sorti dell’eludere, del deludere, dell’illudere, del colludere…
Corposo
Le parole del vinocor-pó-soSignificato Consistente, compatto, considerevole; di vino, strutturatoEtimologia da corpo, che è dal latino corpus ‘corpo, sostanza’.
«È un articolo corposo su quello di cui parlavamo ieri, leggi!»
La qualità è curiosa: dare l’attributo di un corpo non sembra dica poi molto — la realtà è piena di corpi. Ma l’abbondanza di corpo comunicata corposo è una caratteristica pregnante che cogliamo in una grande quantità di casi dei più variegati — in un modo però insolito, da considerare.
Possiamo notare subito un fatto interessante, se inquadriamo che cosa è un ‘corpo’: nella sua accezione più astratta è una parte di materia, che occupa uno spazio con una forma determinata. In questo si distingue, ad esempio, dalla massa, più informe, ed è una formulazione che include il corpo in quanto complesso materiale dell’organismo animale.
Ebbene, il ‘corposo’ si svincola bellamente da questi caratteri del corpo, abbracciandone alcuni più secondari — quelli della compattezza, della consistenza di qualcosa: per intenderci, quelli di quando parliamo del ‘prendere corpo’, del ‘corpo del discorso’ e via dicendo. L’esito è davvero intelligente.
Un saggio corposo non è voluminoso, non è un mattone. È ricco di contenuti. Un dipinto corposo non è ingombrante: piuttosto, l’immagine che rende dà la sensazione del rilievo, del volume. Un racconto corposo non è pesante e articolato, ma realistico e vivace. Già questa sottigliezza laterale del corpo come metro di consistenza è splendida — non si affretta verso le dimensioni del corposo, ma si orienta su tratti sostanziali, per il libro il contenuto, per il dipinto la tridimensionalità, per il racconto l’incisività. Pensiamo anche ai guadagni corposi: non sono alti, slanciati in su come solo i numeri sanno fare, smaterializzati, senza corpo. Sono considerevoli, solidi — si fanno appunto sostanze.
Con la corposità del vino si tocca un estremo di paradosso: la definitezza del ‘corpo’ qui vuole qualificare addirittura un liquido. Il fatto che il corposo si riferisca a una consistenza, a una compattezza della materia e non a un corpo comunemente inteso, qui è essenziale — altrimenti la qualità organolettica resta criptica.
È immediato che il sorso di vini diversi abbia un peso diverso, occupi la bocca con una viscosità differente, dando sensazioni di diverse consistenze. Dipende dalla sua struttura, dal suo corpo — che rende un vino più o meno corposo. È un carattere che dipende soprattutto dalle sostanze non volatili che sono disciolte nel vino (acidi, sali, tannini eccetera, misurabili come estratto secco), ma anche da alcol e sostanze come la glicerina. Vini ottenuti da lunghe macerazioni di uve mature saranno molto corposi — pensiamo a uno fra i più corposi di tutti, l’amarone.
Il corposo ci fa poggiare su una parte del ‘corpo’ che è meno centrale: il corpo come sostanza, come consistenza, come quiddità, e la esplora.