|
La trattativa difficile per l’Ucraina, il Papa fuori dall’ospedale |
|
 |
di Elena Tebano
|
|
|
Buongiorno. Le trattative in Arabia Saudita per un possibile cessate il fuoco in Ucraina (rese più difficili dalla melina della Russia); le dimissioni dall’ospedale di Papa Francesco, che è tornato in Vaticano; lo scontro tra i leader del governo sulla politica estera. Sono queste le notizie principali sul Corriere di oggi. Vediamo.
Le difficili trattative sull’Ucraina
Le delegazioni di Stati Uniti e Ucraina hanno iniziato ieri i colloqui in Arabia Saudita per discutere gli aspetti del possibile cessate il fuoco. Oggi sono in programma quelli tra Stati Uniti e Russia.
«Abbiamo iniziato l’incontro con il team americano a Riad – ha dichiarato ieri Rustem Umerov, il ministro della Difesa di Kiev -. Stiamo implementando la direttiva del presidente ucraino per avvicinare una pace giusta e rafforzare la sicurezza. L’agenda include proposte per proteggere le strutture energetiche e le infrastrutture critiche». «Oggi lavoriamo su una serie di questioni tecniche complesse», ha detto ancora Umerov, precisando che la delegazione ucraina «include esperti di energia e rappresentanti militari delle componenti navale e aerea».
L’incontro in Arabia Saudita è avvenuto mentre l’inviato speciale degli Stati Uniti Steve Witkoff si è detto ottimista sulle possibilità di porre fine al conflitto più letale in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale (qui il suo ritratto, firmato da Viviana Mazza). Intanto il presidente americano Donald Trump ha rivendicato di essere l’unico a poter fermare la guerra, che va avanti ormai da tre anni. «Nessuno può fermare la guerra tranne me. Mantengo ottimi rapporti sia con il presidente russo Putin, che con quello ucraino Zelensky» ha proclamato Trump. La Casa Bianca, secondo Bloomberg, conta di ottenere un accordo per la tregua entro il 20 aprile.
Nonostante le dichiarazioni, però, il negoziato rimane difficile.
L’Ucraina ha già accettato un cessate il fuoco totale e immediato per 30 giorni, come condizione per avviare i colloqui su una tregua a lungo termine e aprire a negoziati di pace, ma Vladimir Putin si è opposto e ha offerto una tregua limitata alle infrastrutture energetiche, che al massimo potrebbe estendersi al Mar Nero. I droni ucraini stanno facendo ingenti danni alle raffinerie russe e hanno vinto la battaglia del Mar Nero. MaPutin si sente vincitore nel Donbass, si è ripreso quasi tutto il Kursk e non intende fermarsi. L’interesse della Russia, come spiega Marco Imarisio, è prendere tempo.
Scrive Lorenzo Cremonesi:
Tra i problemi sul tavolo resta la questione di definire le prime tappe del cessate il fuoco relativo alle infrastrutture energetiche, che è stato annunciato in linea di principio, ma non ancora messo in pratica. C’è poi ancora irrisolta la questione del monitoraggio internazionale: a chi il compito, con che mezzi? Gli ucraini guardano con sospetto al fatto che i russi per ora esigano il blocco degli attacchi, guarda caso, proprio dove i droni di Kiev hanno maggior successo: contro le raffinerie russe e contro la flotta russa del Mar Nero. Putin continua invece a opporsi a qualsiasi iniziativa che blocchi le avanzate delle sue truppe di terra nel Donbass.
Il vero nodo però è un altro, spiega ancora Cremonesi:
Al cuore del negoziato resta lo status finale dell’Ucraina. Zelensky esige la piena sovranità, ovvero scelte libere e autonome, un esercito garantito dall’ombrello occidentale (visto che entrare nella Nato per ora è impossibile). Ma Putin non ha mai abbandonato il piano di asservire l’Ucraina alla «madre Russia» e ridurla a un Paese vassallo come la Bielorussia. Kiev non accetterà mai che Putin possa condizionare le sue alleanze e limitare la forza del suo esercito.
Oggi i russi controllano oltre 120 mila chilometri quadrati, pari a circa il 20% dell’Ucraina, così come definita dal momento del suo distacco dalla Russia nel 1991 (quindi prima dell’annessione russa della Crimea). Secondo i dati forniti dal ministero delle Politiche Sociali a Kiev, poco più di 2 milioni e mezzo di persone vivono nelle aree occupate.
Nel Dataroom di Oggi, Francesco Battistini e Milena Gabanelli spiegano che in Ucraina ci sono 20 mila giacimenti con 116 tipi di minerali strategici che contengono materiali critici:
I giacimenti si trovano a sud del Donbass, oggi in buona parte in mano ai russi. In sostanza Mosca controlla il 42% delle miniere di materiali critici, il 63% di quelle del carbone, l’11% dei pozzi di petrolio e il 20% di gas naturale. I minerali del Donbass, secondo il ministero dell’Economia ucraino, valgono almeno 350 miliardi di dollari.
Il Papa fuori dall’ospedale
Dopo un ricovero di cinque settimane per una grave e rischiosa doppia polmonite Papa Francesco è stato dimesso dall’ospedale ed è tornato in Vaticano. Prima di lasciare l’ospedale Francesco, 88 anni, si è affacciato a un balcone dell’ospedale, mostrandosi per la prima volta dall’inizio del ricovero, ha fatto segno con il pollice alzato e poi una breve benedizione. Sembrava fare fatica a respirare. Ma nonostante l’affanno ha parlato: «Vedo questa donna con i fiori gialli. Brava!» ha detto (qui l’intervista alla signora Mancuso, 79 anni, che gli porta i fiori dal 2017). Dalla folla, che comprendeva anche i pazienti portati fuori con la sedia a rotelle per assistere alla sua breve apparizione, si sono levati canti di «Viva il papa!». Poi, prima di rientrare in Vaticano, Francesco si è fatto portare alla basilica di Santa Maria Maggiore, dove si reca sempre a pregare dopo i viaggi all’estero. Non è sceso dall’auto, ma ha regalato un mazzo di fiori al cardinale della basilica per metterlo davanti all’icona della Madonna.
«Il Papa sta dando al mondo una lezione, discreta ma molto forte, su che cosa sia la leadership, la vera autorità, quella che purtroppo nel nostro tempo manca. Che non è avere molto potere e fare molte cose, ma possedere una forza spirituale e umana ampia e profonda, in servizio del bene comune» commenta cardinale Michael Czerny, 78 anni, prefetto del dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, intervistato da Gian Guido Vecchi.
Il Papa aveva i tubi nasali per l’ossigeno supplementare. Secondo i medici avrà bisogno di due mesi di riposo e convalescenza, durante i quali dovrebbe evitare di incontrare grandi gruppi di persone o fare sforzi (la sua agenda, racconta Virginia Piccolillo, è stata interamente rivista). Non sono state prese disposizioni particolari alla Domus Santa Marta, l’hotel del Vaticano dove Francesco vive in un appartamento di due stanze al secondo piano. Avrà ossigeno supplementare e assistenza medica 24 ore su 24 se necessario.
Francesco soffre di una malattia polmonare cronica e da giovane ha subito l’asportazione di una parte di un polmone. Era stato ricoverato al Gemelli il 14 febbraio dopo il peggioramento di un attacco di bronchite. I medici hanno dapprima diagnosticato una complessa infezione batterica, virale e fungina delle vie respiratorie e poco dopo una polmonite in entrambi i polmoni. Sabato Sergio Alfieri, il primario di medicina e chirurgia del Gemelli che ha coordinato l’équipe medica di Francesco, ha sottolineato che non tutti i pazienti che sviluppano casi così gravi di polmonite doppia sopravvivono, tanto meno vengono dimessi dall’ospedale. Ha detto che la vita di Francesco è stata a rischio due volte, durante le due crisi respiratorie acute.
Lo scontro nel governo sulla politica estera
Le tensioni nel governo sulla politica estera non solo non si placano, ma si alzano di livello. La telefonata di venerdì scorso del leader leghista Matteo Salvini con il vicepresidente americano JD Vance ha irritato la premier Giorgia Meloni (Fdi) e il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha ricordato: «La politica estera tocca a me e alla premier».
Poi il sottosegretario Claudio Durigon (Lega) ha detto che Tajani è in difficoltà e bisognoso di un aiuto. E ieri il ministro degli Esteri a un convegno a Milano sull’Europa ha replicato senza nominare esplicitamente la Lega: «Un partito quaquaraquà parla e dice senza studiare e riflettere. Sono i partiti populisti che un giorno dicono una cosa e un giorno un’altra. Noi preferiamo lavorare e non strillare perché chi strilla conta e comanda poco» ha detto.
Da tempo le posizioni di Lega e Forza Italia sulla politica estera sono molto lontane. Il partito di Salvini non ha votato per la seconda presidenza di Ursula von der Leyen alla Commissione Ue (a differenza degli azzurri) e i due partiti sono su sponde opposte anche a proposito del piano di riarmo voluto da Von der Leyen.
«Salvini e chiunque possono parlare con chi vogliono, sapendo che la politica estera la fanno il ministro degli Esteri e la premier, e che forse sarebbe opportuno dividere i ruoli di leader di partito e di esponente di governo quando si va su questi terreni. Ma noi non siamo né succubi né nemici degli Usa. Ai dazi non si risponde con altri dazi. È puro masochismo, che finirebbe per danneggiarci. Si dialoga e si cerca un accordo che non leda le rispettive economie, con razionalità e pragmatismo. Questo è il ruolo che dovrà avere l’Italia, e che con Noi Moderati vogliamo rappresentare, in politica estera come in quella nazionale» commenta il leader di Noi Moderati Maurizio Lupi, intervistato da Paola Di Caro.
Ma al di là delle rassicurazioni, i ripetuti tentativi di Salvini di erodere consensi alla premier Meloni, mettendone in risalto le contraddizioni, potrebbero avere delle conseguenze rilevanti. Scrive Monica Guerzoni:
La premier ieri ha chiamato il leader di Forza Italia, sapendo di trovarlo molto arrabbiato con l’altro suo vice, Matteo Salvini. Il segretario della Lega ha tirato l’elastico del governo fino alla tensione massima e il rischio che si spezzi non sembra preoccuparlo affatto. Le bordate continue sui dossier più delicati stanno destabilizzando la maggioranza e hanno irritato, a dir poco, l’inquilina di Palazzo Chigi. L’ultimo colpo di cannone verbale ha centrato Tajani, dipinto dai leghisti come un ministro degli Esteri «in difficoltà», che ha bisogno del loro aiuto «per parlare con Trump».
Il siluro lo ha sparato il numero due della Lega, Claudio Durigon, dalle pagine di Repubblica e sia Meloni che Tajani hanno letto l’intervista come una botta «studiata, concordata a tavolino» con il segretario. Per il ministro degli Esteri è troppo e per la premier anche. Meloni sa di essere «il vero bersaglio degli attacchi» e si era ripromessa di portare pazienza fino al congresso. Ma al 5 aprile mancano due settimane e a Palazzo Chigi non sono più disposti a incassare bordate ogni giorno su questioni cruciali come il destino dell’Ucraina, il piano di riarmo europeo e i rapporti con gli Stati Uniti.
Tajani, costretto a smentire di essere stato sfiduciato dall’alleato-avversario, è furibondo. Raccontano fonti di Forza Italia che il segretario, i cui rapporti con la leader di FdI sono in questa fase «molto buoni», ha scandito parole che hanno il sapore di un ultimatum: «Giorgia, sai che noi saremo sempre leali, difendiamo l’esecutivo e lavoriamo per la stabilità. Ma se dal 6 aprile Salvini continuerà ad attaccarci, saremo costretti a chiedere una verifica di governo». La formula è di quelle che fanno venire l’orticaria alla premier, perché sa tanto di «Prima Repubblica» e consentirebbe alle opposizioni di alzare ancora il livello dello scontro e decretare la crisi della maggioranza. Ma la presidente è altrettanto esasperata e consapevole che sia necessario un «chiarimento politico», che ponga un argine alle esondazioni salviniane.
«Matteo è abile a giurare che lui e Giorgia sono tanto amici, ma è anche molto bravo a far cadere i governi», avverte un «big» di FdI che chiede l’anonimato: «Sottovalutarlo sarebbe un errore». Meloni certo non lo sottovaluta ed è la prima a pensare che il ministro dei Trasporti debba «abbassare i toni e darsi una calmata».
Le altre notizie importanti
-
Un attacco aereo israeliano sull’ospedale di Khan Younis, a Gaza, domenica, ha ucciso il leader politico di Hamas Ismail Barhoum, 57 anni. Un altro leader di Hamas, Salah al-Bardaweel, era stato ucciso in un altro attacco a Khan Younis, sabato.
-
Un tribunale turco ha confermato l’arresto del sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, il principale rivale politico del presidente Recep Tayyip Erdogan (al potere da 22 anni), in attesa di un processo per «corruzione». Le accuse a Imamoglu sono considerate un modo per eliminarlo politicamente. Ieri un milione di persone ha protestato in piazza Saraçhane, davanti al palazzo del Comune di Istanbul. E 15 milioni di persone hanno votato alle primarie del Partito Popolare Repubblicano (Chp) per scegliere Imamoglu come suo candidato alle presidenziali (gli iscritti al partito sono solo un milione e seicentomila). «Gli arresti del sindaco Imamoglu e di oltre 300 manifestanti sollevano seri interrogativi sul rispetto, da parte della Turchia, della sua consolidata tradizione democratica» ha dichiarato un portavoce della Commissione Europea.
-
Il Doge di Musk sta pianificando di licenziare più di 80.000 lavoratori del Dipartimento degli Affari dei Veterani e tagli all’agenzia. Che colpiranno uno zoccolo duro repubblicano: secondo un sondaggio il 67% dei veterani americani ha votato per Trump.
-
Il Manifesto di Ventotene continua a far discutere. L’ex presidente della Camera Fausto Bertinotti ha contestato le parole dei gironi scorsi della premier Giorgia Meloni dicendo che le avrebbe «tirato un libro». Immediate le polemiche.
-
Dopo che ha raccontato la sua transizione sui social è stato subissato di insulti. Anche per questo, nella notte tra mercoledì e giovedì scorsi, il tiktoker transgender non binario Davide Garufi, 21 anni, si è ucciso nella sua casa di Sesto San Giovanni.
Lo sport
-
È finita 3 a 3 la partita della Nations League Italia-Germania. Gli Azzurri sono stati dominati dalla Germania nel primo tempo concluso con un umiliante 3-0. Poi hanno rimontato con una doppietta di Kean e un rigore di Raspadori. Polemica per un altro rigore negato dalla Var. La Germania passa alle semifinali e adesso si complica anche la strada dell’Italia per i Mondiali del 2026. Qui le pagelle.
-
La Juventus cambia allenatore. Dopo le ultime sconfitte la dirigenza ha deciso di esonerare Thiago Motta. Lo sostituirà Igor Tudor. Il nuovo tecnico aveva già militato con i bianconeri da calciatore. Tudor avrà il compito di traghettare la squadra fino al termine del campionato.
-
Il Gran Premio della Cina è stato un disastro per la Ferrari. Charles Leclerc e Lewis Hamilton sono stati squalificati per violazione del regolamento tecnico, come hanno annunciato gli organizzatori solo tre ore dopo il termine della gara. L’auto di Leclerc era al di sotto del limite minimo di peso, mentre la SF-25 di Hamilton è stata trovata con un’usura eccessiva nella zona del sottoscocca. Leclerc e Hamilton si erano classificati quinto e sesto.
-
Mattia Furlani, 20 anni, ha vinto l’oro nel salto in lungo con 8,3 metri ai Mondiali di atletica indoor di Nanchino (è il primo italiano di sempre). Gaia Piccardi lo ha intervistato.
Da ascoltare
Nel podcast «Giorno per giorno», Andrea Arzilli racconta la giornata in cui Papa Francesco è uscito dal Policlinico Gemelli, dopo 37 giorni di ricovero. Marta Serafini parla del raid israeliano su Khan Younis che ha colpito Salah al-Bardawil, il nuovo capo politico di Hamas. Alessio Ribaudo spiega perché il ministro dei Trasporti Matteo Salvini ha precipitosamente ritirato il provvedimento che doveva fare chiarezza sugli Autovelox.
Risponde il direttore Luciano Fontana
Se la democrazia si riduce alla scelta di chi comanderà
Nel nuovo mondo globale sono sempre più evidenti alcuni capovolgimenti della realtà. Noi occidentali, abitanti dei Paesi liberi e democratici, siamo spesso giudicati dalle potenze emergenti alla stregua di «residuati storici», sostenitori di valori non più attuali e che per questo finiranno nella polvere. Putin ha rivendicato, quando prova a elaborare testi «teorici», la superiorità del modello russo di civiltà. Lezioni simili sono arrivate dal presidente cinese Xi e da vari autocrati sparsi nel mondo. Ormai sono considerate normali le «democrature», dove l’esercizio democratico si limita al giorno delle elezioni. Il vincitore, da quel momento in poi, si sente investito di un potere assoluto: l’esempio è Orbán ma anche Trump ha ideologia e comportamenti di questo genere. È sempre più diffuso il fastidio verso tutti i bilanciamenti e verso tutte le istituzioni che non derivano dal voto (Corti costituzionali, magistratura, autorità indipendenti). Anche la funzione di controllo esercitata dalla libera informazione è mal sopportata se non repressa.
C’è un grande interrogativo che dobbiamo porci seriamente: si sta diffondendo una disponibilità a barattare diritti e procedure democratiche in cambio della promessa di protezione e di difesa rispetto alle crisi globali? Le ricette nazionaliste hanno la funzione di «catturare» questo spirito dei tempi? Se vogliamo una nuova Europa dobbiamo capire che accanto a libertà economiche, diritti civili e democratici dobbiamo saper rispondere alle domande di sicurezza e di riduzione delle disuguaglianze. Dobbiamo ritrovare la forza di credere nei nostri valori per far diventare l’Unione un vero punto d’attrazione e non una costruzione astratta per le élite. Se ogni Stato europeo va però per la sua strada allora rassegniamoci alle lezioni di Putin.
(Risposta al lettore Giorgio Tescari. Qui la sua lettera)
Grazie per aver letto Prima Ora, e buon lunedì
|
|
|
|