La camorra casertana degli anni ‘20 con novemila arresti.  L’ordine di Mussolini: “Distruggete la camorra col ferro e col fuoco”. I boss dell’epoca erano Gennaro Palazzo, Girolamo Rozzera, Luigi Iovino e Luca Pagano. Dal 1922 al 1926 gli omicidi furono 517. Di Ferdinando Terlizzi  (*)

E’ Mussolini che parla, nel suo discorso del maggio del 1927, presentando la missione del colonnello dei Reali Carabinieri Vincenzo Anceschi, incaricato di debellare la camorra dei Mazzoni. “I Mazzoni sono una plaga che sta tra la provincia di Roma e di Napoli e Caserta; terreno favoloso, stepposo, malarico abitato da una popolazione che, fin dal tempo dei Romani aveva una pessima reputazione, ed era chiamata popolazione di latrones. Vi do un’idea della delinquenza di questa plaga: nei 3 anni che vanno dal 1922 al 1926 furono commessi i seguenti delitti principali, trascurando i minori: oltraggio alla Forza pubblica 171, incendi 318, omicidi 169, lesioni 918, furti e rapine 1082, danneggiamenti 44. Questa è una parte di quella piaga. Veniamo all’altra, quella dello Aversano: oltraggi 81, incendi 161, omicidi 194, lesioni 410, furti e rapine 702 danneggiamenti 193. Ho mandato un maggiore dei carabinieri con questa consegna: liberatemi da questa delinquenza col ferro e col fuoco!

Questo maggiore ci si è messo sul serio. Difatti, dal dicembre ad oggi sono stati arrestati per delitti consumati e per misure preventive nella zona dei Mazzoni 1699 affiliati alla malavita e nella zona di Aversa, 1268. I Podestà di quella regione sono esultanti, i combattenti di quella regione altrettanto, ho qui un plico di telegrammi, di lettere, di ordini del giorno; documenti con i quali la parte sana di quella popolazione ringrazia l’Autorità del Regime fascista per l’opera necessaria d’igiene che sarà continuata sino alla fine”. Queste ed altre notizie dell’epoca sono riportate in un interessante libro scritto dal colonnello dei carabinieri Enzo Anceschi figlio del colonnello Vincenzo che ebbe incarico da Mussolini di debellare la camorra. Il libro reca una pregevole prefazione del comandante generale dell’arma Generale di C.A. Guido Bellini.

 Fin da allora (Anni Venti) il centro di gravità dell’associazione era S. Cipriano d’Aversa, dove risiedevano i due capi: Luigi Iovino e Luca Pagano e dove affluiva tutta la refurtiva costituita da cavalli, asini e maiali. Il sistema dei ladri era quello di costringere, dopo del furto, gli stessi derubati a riscattare i loro animali mercè pagamento di una somma stabilita dai capi, con obbligo però di occultare tutto all’autorità pena la vita. Gli imputati, pur essendo stati difesi da numerosi e valenti avvocati sono stati tutti rinviati a giudizio della Corte di Assise ed il processo per legittima suspicione è stato assegnato alla Corte di Assise di Potenza.

“Questo processo – annota ancora il generale Anceschi – “il più importante di tutti per il numero degli imputati (91) e per il numero e la gravità dei delitti fu istruito dal giudice istruttore Cav. Giacomo Barresi e dal Procuratore del Re Comm. Giacinto Palopoli”. Corso e ricorso della storia. Al valorosissimo generale Anceschi non era ancora noto il fatto che le estorsioni con il riscatto dei beni saranno poi chiamate – ai giorni nostri – “cavalli di ritorno”. Come neppure era noto il fatto che dopo circa 80 anni, in un processo denominato Spartacus, sarebbe stata invocata la “legittima suspicione” dagli avvocati difensori, che però sarebbe stata rigettata, a differenza di quella del 1926 accolta ed assegnata alla Corte di Assise di Potenza. Il colonnello Anceschi, evidentemente dovette essere affascinato dal capitano dei carabinieri Carlo Fabroni (protagonista della retata del 1906 che portò all’arresto di molti camorristi accusati anche del duplice omicidio di Gennaro Cuocolo e della moglie Maria Cutinelli ) perché al termine del suo rapporto propose di far trasferire tutti gli agenti della polizia perchè evidentemente erano ritenuti (oggi così si dice) in “contiguità” con la camorra dell’epoca. Infatti Fabroni chiese addirittura l’arresto per il Questore dell’epoca e tutti i poliziotti della Questura di Napoli. Anceschi, però, nel suo rapporto evidenzia molti punti positivi della lotta intrapresa contro la malavita del Mazzoni ma indica anche altri rimedi per sradicarla definitivamente. Poi evidenzia i personaggi che allora erano i veri boss della camorra dei Mazzoni: Gennaro Palazzo, detto il Re dei Mazzoni, ed il suo vice Girolamo Rozzera. I due imponevano taglie e tributi, godevano dell’impunità assoluta e le loro persone erano reputate invulnerabili. In queste zone ed in questi ambienti i delitti si succedevano pertanto con un ritmo impressionante, rimanendo impuniti. Basti accennare ai reati più gravi avvenuti nel quinquennio 1922-1926 senza tener conto di quelli – sono i più numerosi – che non furono denunziati. 463 incendi dolosi, 737 danneggiamenti, 143 rapine, 37 estorsioni, 2.689 furti, 517 omicidi e ben 5.783 di altri gravi reati.

Alla fine del suo rapporto il colonnello Anceschi chiosa: “Non si ritiene superfluo infine aggiungere che sarebbe necessario dare disposizioni all’Autorità Giudiziaria di assecondare meglio l’azione dell’Arma, poichè non di rado si verificano concessioni di libertà provvisoria ed assoluzioni inopportune se non ingiuste. Impedire, infine, l’infiltrazione della politica a favore della malavita. Allontanare dalla circoscrizione tutti i funzionari ed agenti di P.S. nativi del luogo o che abbiano parenti ed interessi nella località ove prestano servizio”.

 

(*) Fonte:  “I carabinieri Reali contro la Camorra” – Edizioni Laurus Robuffo – 2003