Europa, la sindrome del riccio* di Vincenzo D’Anna*

Non c’è alcun dubbio circa il fatto che la politica discenda dalla filosofia. Non può esistere, infatti, senza le idee, su come governare la complessità della società umana, senza congetture e teorie argomentate e discusse. Chiunque si sia posto il problema di cosa sia giusto, sicuro e vantaggioso per la comunità umana, ha svolto un esercizio filosofico, dal quale ha poi tratto teorie di modelli statuali, valori e progetti per dar vita quella che gli antichi Greci chiamarono “Politiké téchne”, la tecnica della politica. Poiché ciascun uomo civilizzato è in grado di essere il filosofo di se stesso, quando si cimenta in politica dovrebbe scegliere, prioritariamente, quale sia il modello di società che ritenga migliore e quindi adeguare il proprio agire a quel riferimento ideale. In tal senso, i partiti di un tempo erano appunto i diversi contenitori di valori e progetti in grado di accogliere coloro che li avrebbero scelti rispetto a tutti quanti gli altri, in base alla personale assonanza con le medesime Scomparse sia le ideologie che le idee partorire nel secolo breve, ridotti a simulacri i nuovi
partiti, hanno prevalso le ditte personalizzate, partiti privi di vita democratica, tutto si è trasformato in un estemporaneo e vuoto esercizio di stile e di marketing. Parliamoci chiaro: chi non ha riferimenti e valori fondanti è costretto a vagare nel quotidiano per realizzare i propri interessi.

In questo contesto così degradato non contano più i valori né la storia politica pregressa, ed è a questo tipo di gioco che oggi viene attribuito indegnamente il nome di “politica”. Che oggi tale “gioco” si faccia con modalità diverse o con l’ausilio di nuovi strumenti e tecnologie comunicative, poco cambia per il vuoto pneumatico che lo avvolge. Attualmente la politica adora nuovi dei e spesso idolatra la convenienza, l’interesse economico; esercita con costanza e diligenza la dissipazione del pubblico denaro, immemore del proprio passato e’ pronta a ricadere nei medesimi errori, anche quelli più tragici. In sintesi “the show must go on”, lo spettacolo continua. Se gli strumenti culturali scarseggiano, l’approdo alla politica diventa estemporaneo e personalizzato. Allora perché meravigliarsi della dabbenaggine di cui trasuda l’agire politico ? Perché meravigliarsi innanzi ad una politica che involve verso forme di cialtroneria verbale, di odio e di cieca contrapposizione tra le parti, dell’insorgere di guerre e genocidi, di filosofie mercantili, di un nuovo colonialismo, dell’aggressione di altri Stati sovrani da depredare delle proprie ricchezze naturali? Ma tant’è!! Bisogna governare comunque perché il mondo non si ferma!! Ed è qui che subentra lo stato di necessità, che non riempie né i vuoti né i difetti ai quali abbiamo accennato, ma che deve indurre tutti a correre ai ripari senza ulteriori dubbi amletici ed interrogativi.

Non so quanti ricordino la “sindrome del riccio” descritta dal filosofo Schopenhauer, ovvero del paradosso derivante dall’esigenza che gli uomini essendo degli “animali politici” abbiano bisogno della socialità, ossia del vivere in comune. Tuttavia ciascuno guarda al mondo in maniera differente, non percependo quindi la realtà assoluta se non con quella serbata nella propria coscienza. Eppure ha necessità di vivere con gli altri, e di preservare il proprio modo di vedere. Come il riccio che si avvicina ad un altro riccio, i due animali si avvicinano per difendersi dal freddo ma più si avvicinano più sentono il dolore degli aculei nell’atto di pungersi a vicenda. Devono quindi, come gli uomini, vincere due mali: il freddo ed il dolore. Vi riusciranno solo se troveranno la giusta misura del rapporto: un’adeguata distanza. Come gli esseri umani che devono vincere al contempo la solitudine esistenziale e la loro vita privata, così, parimenti, gli Stati chiamati a vincere il bisogno di una comune convenienza e sicurezza, con quello della sovranità e dell’autodeterminazione dei governi nazionali. Non è forse questa la sindrome che avviluppa oggi l’Europa? Non è questa la “doppia necessità” di regolare i rapporti interni tra gli Stati membri dell’UE e quelli esterni con gli alleati fuori dal vecchio continente? A cominciare da quelli con il mercante, grassatore ed ex alleato che siede oggi alla Casa Bianca, nonché col satrapo che governa al Cremlino. Qual è il rimedio? Quello stesso suggerito da Schopenhauer: l’idealità. Muoversi per principi etici e solidali all’interno e proteggersi senza ulteriore indugio all’esterno. Guardandosi sia da Est che da Ovest. Purtroppo, senza più antiche certezze.

*già parlamentare