La grande paura (di Stelio W. Venceslai)

Non c’è che dire, questo è un momento difficile.
Le borse tracollano, i commerci sono fermi, il futuro è decisamente molto incerto. Le mosse di Trump hanno spiazzato il mondo.
La realtà brutale dell’espansionismo di Putin e dell’isolazionismo di Trump, due strumenti diversi dello stesso imperialismo, sono all’origine della grande preoccupazione nel resto del mondo.
La risposta a Putin la conosciamo: una guerra sanguinosa che dura da più di tre anni e che le smargiassate pacifiste di Trump non sono ancora riuscite a fermare, come sta accadendo a Gaza, dove l’ineffabile para suddito americano, Netanyahu, persevera nel suo linguaggio di morte.
La risposta del resto del mondo a Trump non la conosciamo ancora. Si parla, vagamente, di trattative ed eventualmente, di ritorsioni. Le trattative non servono a nulla. Le ritorsioni possono fare male. Occorre decidersi se gli Stati Uniti sono ancora un amico e un alleato oppure no.
Certo, fa strano che Trump abbia applicato l’aumento dei dazi a tutto il mondo tranne che alla Russia, alla Bielorussia, a Cuba e alla Corea del Nord.
L’impotenza europea è palese. Occorre porvi rimedio. Trent’anni di pacifismo protetto dagli Americani hanno addormentato l’Europa. Forse è il caso che l’Europa si svegli e ragioni. Stupisce che vi siano opposizioni a questa presa d’atto che è necessaria. La sicurezza europea sta diventando un bene primario. Come provvedervi è tutto da fare.
La confusione esistente nel linguaggio tra esercito comune, rafforzamento degli eserciti europei, coordinamento NATO dei Paesi dell’Unione, è la riprova che le idee non sono ancora chiare. Un esercito comune abbisogna almeno di cinque/sei anni. Occorrono un Ministro della Difesa europeo, uno Stato Maggiore generale europeo, una politica estera europea. Tutte cose che si potevano fare da parecchio tempo ma che nessuno ha voluto. Ora, non si può improvvisare. Non si può difendere nessuno con un esercito comune ancora da inventare.
Rafforzare gli eserciti europei esistenti, invece, è possibile, ma è essenziale un coordinamento logistico e strategico comune che manca. Forse è più facile farlo fra i Paesi europei interessati, in ambito NATO. È in questa direzione che bisognerebbe puntare.
Le opposizioni invocano la sanità, l’istruzione, il riassetto idrogeologico e l’innovazione come beni altrettanto primari. Il welfare è in discussione, ma il welfare è anche sicurezza.
Le opposizioni, allo stesso tempo, lamentano che non vi siano ancora risposte adeguate. Che fa il governo? Il governo, un qualsiasi governo europeo, da solo, non può fare nulla. A parte il fatto che la politica tariffaria è di esclusiva competenza comunitaria (e quindi i governi, da questo punto di vista, non hanno alcun potere), solo una risposta coordinata europea può avere l’efficacia necessaria. Trattiamo, ma su che?
Spuntare una qualche riduzione dei dazi su quei prodotti che maggiormente ci interessano non cambierebbe di molto la situazione. Gli Stati Uniti hanno imposto dazi anche ai pinguini, oltre che ai Paesi più poveri della terra, manifestando un’ignoranza non nuova. Figurarsi se cederebbero nei confronti di Paesi più ricchi.
C’è una guerra tariffaria in corso, forse addirittura più pesante di quelle tradizionali. In un’economia di guerra tutto deve essere destinato a risolvere il conflitto, bene o male che sia. La politica della forza esige risposte adeguate, non convenevoli o lo sventolio di bandiere pacifiste.
Lo scontro che si sta profilando, in realtà, è tra due concezioni diametralmente opposte: autocrazia contro democrazia. Il liberalismo europeo è ancora un faro di civiltà politica ed economica che deve essere difeso.
È con malinconia che in Italia un’opposizione divisa cerchi di dibattersi in giochetti elettorali, come se la conquista di qualche seggio nelle competizioni regionali possa essere significativa per i destini del mondo occidentale. Non si ha la percezione delle difficoltà del momento.
L’opposizione invoca un’azione di governo che non può non essere coordinata a livello europeo con gli altri membri dell’Unione. Allo stesso tempo, però, l’opposizione contrasta e si oppone alle misure che potrebbero venirne fuori. Così, non si va da nessuna parte. Nella carenza d’idea e nel rifiuto di qualunque rischio, essa punta contemporaneamente sul rosso e sul nero.
Intanto, miliardi di dollari vanno in fumo nelle borse di tutto il mondo. Non si tratta solo di multinazionali, ma anche di piccoli risparmiatori. Tutto ciò, a beneficio di chi? Quante strade, quanti ospedali, quante esplorazioni spaziali, quanti colleges, quanti investimenti si sarebbero potuti fare?
Nessuno vuole la guerra anche se, al momento, ce ne sono più di sessanta che da anni devastano le varie parti del mondo. Una cecità collettiva. La guerra non è una soluzione ai mali del mondo come non lo è neppure il pacifismo intransigente di certe parti politiche.
La Russia è un avversario, non un nemico. Anche gli Stati Uniti sono ora un avversario. Tra avversari si compete, come è normale, ma ad armi pari.
La Meloni intende incontrare Trump a Washington e nella settimana di Pasqua potrebbe ricevere il Vice Presidente Vance in visita turistica in Italia.
Sono due errori per chi si proclama patriota, italiana doc, europea convinta e nazionalista da sempre.
Genuflettersi davanti al satrapo nordamericano, nella fila dei postulanti, se non si ha un mandato europeo, è inutile e mortificante.
Vance, per le sue dichiarazioni non certo amichevoli sull’Europa, invece, è persona non gradita. Può anche venire a vedere il Colosseo, ma non va ricevuto.
Roma, 08/04//2025.