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sabato 12 aprile 2025
Lo scontro Usa-Cina, punto per punto
12 apr 2025Un pupazzo di Donald Trump, made in China (Ap)
editorialista
di   Gianluca Mercuri

 

Buongiorno. Lo scontro tra Stati Uniti e Cina ha raggiunto il picco. Almeno nella spirale delle rappresaglie: i cinesi vestono i panni dei saggi – un’auto narrazione cui in parte credono davvero, ma che molto usano per proiettare un’immagine diversa dalla realtà di un regime dispotico e nazionalista – e dicono che per quanto li riguarda finisce qui, non andranno oltre i dazi al 125% sui prodotti Usa con cui hanno replicato al 145% raggiunto dagli Usa sui loro.

 

La partita è enorme, e in ballo c’è davvero il futuro comune: da come evolverà, dipenderanno la salute delle economie (per tutti) e la qualità delle democrazie (per chi ce le ha).

Noi che ce le abbiamo, noi europei e noi italiani, siamo presi in mezzo come mai si sarebbe potuto immaginare, con l’alleato di sempre che ci respinge e il rivale sistemico – così l’Ue definiva la Cina nei suoi documenti ufficiali non più tardi di due anni fa – che fa di tutto per sedurci. Un corteggiamento che non può lasciarci indifferenti, ma nemmeno portarci a pensare che il rivale si trasformi in fidanzato. Perché noi siamo il più completo sistema democratico della storia, loro la più grande dittatura di sempre.

E poi, in questa newsletter, si parla di calciatori scommettitori, regioni che dividono gli schieramenti politici, guerre vere che non finiscono, un caso di cronaca che non esce mai dalle cronache (Garlasco), la condanna definitiva di un manager di Autostrade per una strage sulle strade. Ma anche della buona notizia arrivata a tarda serata: l’agenzia Standard & Poor’s migliora il rating sul debito sovrano dell’Italia, da Bbb a Bbb+, una prova di fiducia nella nostra economia che fa particolarmente bene in questa temperie.

Benvenuti alla Prima Ora di sabato 12 aprile.

Lo scontro Usa-Cina

12 apr 2025Trump e Xi a Mar-a-Lago nell’aprile 2017 (Ap)

L’occhio per occhio, le accuse, l’attesa delle prossime mosse: punto per punto.

  • La risposta di Pechino La Cina ha rialzato i controdazi sulle importazioni americane dall’84% al 125%, annunciato ricorsi all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) e chiarito che non seguirà più gli Stati Uniti nei continui rilanci tariffari: «Ignoreremo ulteriori giochi sui numeri dei dazi Usa» perché sono «privi di giustificazione economica», visto che già ora i beni americani sono fuori mercato.

  • Tigre di carta L’accusa all’America è di usare le tariffe come arma di «bullismo e coercizione», ma è significativo che la Cina rispolveri un vecchio slogan di Mao, definendo l’America una «tigre di carta». Serve a dare l’idea che, anche senza altri controdazi, la Cina non teme di perdere il braccio di ferro.

  • La risposta Usa Trump l’ha scritta come sempre sul suo social Truth, e nel suo stile consueto: «Stiamo andando davvero bene con la nostra politica sui dazi. Molto entusiasmante per l’America e per il mondo». La portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt ha aggiunto che il presidente chiede agli americani, «che lo hanno eletto in modo schiacciante», di «fidarsi di lui» anche sui dazi.

  • Ma si fidano? Qualche scricchiolio c’è, riporta da New York Viviana Mazza: «Il tasso di popolarità di Trump è sceso di 14 punti percentuali da quando è tornato alla Casa Bianca, secondo un sondaggio di Economist/YouGov realizzato in gran parte dopo l’annuncio dei dazi». Tra i repubblicani comincia a montare il nervosismo per le elezioni di midterm del prossimo anno. Ma è soprattutto la finanza ad agitarsi.

  • «Forse siamo già in recessione» A dirlo è Larry Fink, ceo di BlackRock, il più grande gestore di patrimoni al mondo (controlla asset per 11,6 trilioni di dollari). Frase completa: «Siamo molto vicini o addirittura già dentro alla recessione». Insiste anche Jamie Dimon, il ceo di Jp Morgan le cui parole in tv avevano già spinto Trump al dietrofront sui dazi, con la pausa di 90 giorni (per tutti tranne che per la Cina) annunciata mercoledì: «L’economia statunitense sta affrontando notevoli turbolenze», conferma Dimon.

  • L’attacco alle pensioni  È quello il punto dolente della base trumpiana. «Non si tratta di Wall Street contro Main Street – ha detto Fink citando la frase pronunciata dal presidente per dire che lui sta con la gente comune e non con la finanza –. La flessione del mercato ha un impatto sui risparmi pensionistici di milioni di persone comuni». Sono quelli che hanno firmato i piani di risparmio previdenziale detti 401K, legati in gran parte agli investimenti in Borsa.

  • I due pilastri che vacillano Sono il dollaro come moneta di riserva per tutti, banche centrali come istituzioni private, e i titoli di Stato americani come unici valori davvero sicuri: queste due certezze, spiega Federico Fubini, sono messe a rischio dopo 80 anni:

«L’economia globale sta entrando in terra incognita. L’imprevedibilità e apparente carenza di logica con cui i dazi “reciproci” di Trump sono stati imposti, poi ritirati per quasi tutti, ma alzati al parossismo per la sola Cina ha improvvisamente ricordato a molti sui mercati la realtà sottostante: gli Stati Uniti non possono alienarsi i loro creditori; non possono creare in loro dubbi quanto alla competenza di chi governa, perché devono convincere quegli stessi creditori a finanziare gli enormi debiti privati e pubblici del Paese».

«Solo nel 2025, il Tesoro degli Stati Uniti deve emettere nuovi titoli per circa duemila miliardi di dollari per coprire il deficit. Deve anche rinnovare titoli di scadenza per circa ottomila miliardi di dollari. E far fronte ad altri 500 miliardi di dollari in interessi».

«Una delle reazioni è stata nei Treasuries, i titoli di Stato Usa: per la prima volta hanno iniziato a comportarsi come titoli non privi di rischio. Il rendimento a 10 anni è salito dal 3,9% del 2 aprile a un picco appena sotto il 4,6% ieri. Non era mai successo che lo spread con l’analogo Bund tedesco (scarto di rendimento) salisse di oltre lo 0,5% in così pochi giorni».

Il 2 aprile, il cosiddetto Liberation Day, il segretario al Commercio Scott Bessent aveva giurato che i dazi avrebbero ridotto i i rendimenti dei Treasuries.

  • Ma chi farà la prima mossa? Trump si aspettava una telefonata di Xi Jinping già in questi giorni. «La Cina vuole fare un accordo. Solo che non sanno bene come procedere, sapete, è gente orgogliosa», ha detto mercoledì durante un evento alla Casa Bianca. Trump pensa di avere costruito un buon rapporto con Xi da quando lo ospitò in Florida nel 2017: da allora ripete spesso che lo stima molto. Ma Xi non si fida: prima di chiamarlo, secondo la Cnn, vuole la certezza che non gli riservi una sfuriata da esibire ai media come quella di cui fu vittima Zelensky a fine febbraio.

  • Fino a dove può spingersi Xi? Come scritto nei giorni scorsi, il livello di stress cui può sottoporre i cinesi è più alto di quello di cui dispone Trump. Le carte di Xi sono alte perché si è costruito un bunker: può colpire al cuore l’agricoltura Usa comprando i fagioli di soia dal Brasile; può smettere di collaborare per frenare l’export dei precursori chimici che servono a produrre il Fentanyl, l’oppiaceo che uccide per overdose decine di migliaia di americani all’anno; può bloccare le licenze dell’export per le terre rare, i minerali vitali per la tecnologia Usa; può fare melina su TikTok, sulla cui parte americana Trump vuole assolutamente mettere le mani attraverso amici suoi (qui il corsivo di Martina Pennisi) e certo non gli darà mai l’algoritmo che incatena i giovani di tutto il mondo. Ma l’arma letale è un’altra.

  • E qui si torna al debito Se l’escalation non si ferma, il timore è che la Cina cominci a vendere la montagna di titoli del Tesoro americano che ha accumulato. Forse ha già cominciato, scrive Fubini: «Una teoria sul mercato, senza prove né indizi, è che la Cina abbia accelerato lo smobilizzo dei suoi 760 miliardi di riserve in Treasuries proprio per destabilizzarli». Il superfalco trumpiano Peter Navarro, ispiratore dei maxi dazi, lo ritiene impossibile, dice che sarebbe l’inizio della distruzione reciproca. La speranza è che non l’abbia iniziata lui.

Intanto l’Europa

Intanto l’Europa arriva alla battaglia decisva molto più attrezzata di quanto si temesse fino a poche settime fa.

  • Lunedì 14 aprile, il D-Day Quel giorno, l’eurocommissario al Commercio Maros Sefcovic sarà a Washington seduto a un tavolo dall’altra parte del quale ci sarà Scott Bessent, la sua controparte americana. Sefcovic, uno slovacco con fama di negoziatore molto abile, indica il quadro generale: «Gli Stati Uniti rappresentano il 13% del commercio globale di beni. L’obiettivo è proteggere il restante 87% e fare in modo che il sistema commerciale globale prevalga per il bene di tutti gli altri».

  • Cosa vuol dire? Che l’Europa farà di tutto per recuperare un rapporto normale con l’alleato storico, ma è pronta all’opzione peggiore. Quindi guarda ad accordi che aprano gli altri mercati e torna a guardare anche alla Cina, con cui a luglio terrà un vertice in occasione dei 50 anni di rapporti Bruxelles-Pechino.

  • Ci stiamo gettando tra le braccia dei cinesi? No. L’Europa è molto cauta di fronte alla corte smaccata che le fa Pechino, che anche ieri ha chiamato al fronte comune «contro i bulli». Ci sono Paesi come la Spagna (ieri il premier Pedro Sanchez era da Xi) pronti ad approfondire il flirt. Ma l’Unione sa bene che un mercato aperto con i cinesi è impossibile finché loro ci inondano con i loro prodotti sussidiati. Ma può essere l’occasione per convenire nuove regole anche con loro.

  • E con gli americani? La pistola è nel cassetto, con i controdazi sospesi in questa pausa di 90 giorni. Ma forse a Washington Sefcovic la poggerà sul tavolo: si tratta dell’ipotesi di una tassa sui ricavi pubblicitari dei giganti tecnologici come Amazon, Google e Facebook, evocata anche da Ursula von der Leyen. La minimum tax concordata nel 2021 – un’imposta almeno del 15% in ogni Paese in cui operano – è stata poi boicottata dagli americani. Ora l’Euroapa farà di tutto, in questo tre mesi, per evitare la guerra.

Intanto l’Italia

Intanto l’Italia assicura di volere contribuire al disgelo Usa-Europa senza giocare in proprio. La prova arriverà presto.

  • La visita di Meloni Giovedì 17 aprile la presidente del Consiglio sarà nello Studio Ovale accanto a Trump: il momento più importante di tutta la sua vita politica. Dovrà ottenere qualcosa, muovendosi da italiana. Ma non troppo, perché in Europa c’è chi lo vedrebbe come un tradimento.

  • Perché la premier si gioca tanto? Perché fin dalla vittoria elettorale di Trump ha parlato di «relazione speciale» con lui, ha sottolineato l’affinità ideologica e valoriale con la destra americana e si è posta come pontiera tra Usa ed Europa. Ma l’aggressività di Trump ha spiazzato anche lei.

  • Con quali obiettivi va in America? Meloni, spiega Marco Galluzzo, «andrà a rappresentare gli interessi italiani, “è chiaro che non tratto a nome dell’Unione europea“, ma questo non significa che nel faccia a faccia con Trump tra i temi non ci possano essere le relazioni transatlantiche tout court, perché “è altrettanto chiaro che mi sono coordinata anche con Ursula von der Leyen». Un risultato per cui Meloni firmerebbe è convincere Trump a partecipare a un vertice Usa-Europa, dove mgari arivare allo «zero a zero» evocato in questi giorni, ovvero zero dazi per tutti.

  • E per l’Italia? L’Italia è un Paese che esporta in America più di quanto importi, ed è una di quelle cose che Trump odia. Per questo Meloni gli parlerà di investimenti di grandi aziende italiane negli Usa, da Eni a Pirelli fino alle armi di Leonardo. Proverà a placarlo anche ufficializzando che arriveremo al 2% del Pil nelle spese per la difesa.

  • L’avvertimento di Schlein La scommessa della premier è confermare di essere speciale agli occhi di Trump ma senza dare l’idea di tradire l’Europa. È il senso delle parole della segretaria del Pd: «È l’Europa che deve negoziare con Trump, l’Italia non dia al presidente americano l’impressione di essere disponibile a bilaterali». Matteo Renzi si conferma la voce più pungente dell’opposizione in questa fase: «Che l’incontro Meloni-Trump sia decisivo per le sorti dell’umanità lo credono solo i fratellini della Garbatella. È utile e le auguriamo un grandissimo risultato. Ma contesto la narrazione che i dazi non ce li mettano perché tanto ci pensa Giorgia».

Insomma, ci aspettano giorni di grande fibrillazione. Intanto ecco la buona notizia arrivata ieri sera:

L’agenzia Standard & Poor’s ha migliorato il rating sul debito sovrano dell’Italia, da Bbb a Bbb+, mantenendo l’Outlook, a «stabile». La promozione, dice S&P «riflette il miglioramento dell’economia dell’Italia in un contesto di crescenti venti contrari a livello globale, nonché i graduali progressi compiuti nella stabilizzazione delle finanze pubbliche». Una valutazione che si basa sulla tregua di 90 giorni sui dazi, ma anche sulla «continuità politica» e sulla «stabilità della maggioranza» di governo. Con un avvertimento chiaro: «Le nostre proiezioni riflettono l’ipotesi che i dazi Usa di base sulle merci dell’Ue (incluse quelle italiane) rimangano al 10%».

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha espresso ovviamente tutta la sua soddisfazione: «Il giudizio di S&P premia la serietà dell’approccio del governo alla politica di bilancio. Nel clima generale di incertezza, prudenza e responsabilità continueranno a essere la nostra linea di azione» (qui l’analisi di Enrico Marro).

 

Altre cose importanti

12 apr 2025La tendopoli tra le macerie di Jabalya, a Gaza (Afp)

 

  • Lo scontro sulle regioni La sentenza della Corte Costituzionale, che mercoledì ha stoppato la possibilità di tre mandati consecutivi per i governatori regionali, continua a provocare sussulti nei due schieramenti.Nel centrosinistra, il presidente della CampaniaVincenzo De Lucaha preso atto dello stop definitivo alle sue ambizioni di riconferma, ma non rinuncia certo a dare le carte e a intralciare il Pd, che sarebbe il suo partito ma con i cui vertici è in rotta proprio perché lo vedono come il simbolo dei «cacicchi» locali con troppi poteri. Il Pd è avviato all’accordo con i 5 Stelle per candidare l’ex presidente della CameraRoberto Fico, ma De Luca l’ha bocciato con parole chiarissime: deve governare è «chi ha dimostrato di saperlo fare, non il prodotto della politica politicante». D’altronde, Fico ha esordito dicendosi contrario al termovalorizzatore di Acerra, che vorrebbe dire riportare la Campania all’anno zero sui rifiuti. De Luca, perfido, ha fatto diffondere perfino la voce che potrebbe sostenere il centrodestra se candidasse un suo sodale,Giosy Romano. Probabilmente bluffa, ma Pd e 5 Stelle le carte di De Luca dovranno vederle eccome.Nel centrodestra, un ruolo parallelo a quello di De Luca lo gioca il presidente del VenetoLuca Zaia, anche lui monumento locale destinato alla rimozione. La dipartita del super-governatore leghista risvegliagli appetiti di Fratelli d’Italia, giustificati dal fatto che è il primo partito sia nel Nord-Ovest sia nel Nord-Est ma hazero governatori. Eppure la Lega continua a muoversicome se il Nord fosse cosa sua: suoi sono i governatori in Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino, ma come scrive Cesare Zapperi, «non intende mollare nulla», né il Veneto né la Lombardia. Eppure in Lombardia alle Europee dell’anno scorso Fdi ha preso il31,7%, la Lega si è ridotta al 13. Inimmaginabile che Meloni non provi a prendersela. Ma se c’è una cosa che può davvero spaccare il centrodestra – da 30 anni un’alleanza quasi di ferro – è questa.
  • Il calcio e le scommesse Torna l’incubo dei giocatori di pallone che si fanno giocatori d’azzardo, in violazione delle regole del loro sport e delle leggi. Tornano gli stessi nomi dell’anno scorso, con qualche aggiunta e qualche chiarimento necessario: Niccolò Fagioli (oggi alla Fiorentina) e Sandro Tonali (oggi al Newcastle) hanno già scontato le squalifiche inflitte dalla giustizia sportiva e affrontato la battaglia contro la ludopatia. Ma sono al centro dell’indagine della Procura di Milano che ha coinvolto anche Florenzi (Milan), Perin e McKennie (Juventus), Paredes (oggi Roma) e Di Maria (oggi Benfica), Ricci (oggi Torino), Bellanova (oggi Atalanta), Buonaiuto (oggi Padova), Cancellieri (oggi Parma), Firpo (oggi Leeds) e il tennista Matteo Gigante.Sono tutti accusati di avere giocato a poker online su piattaforme illegali organizzate dai gestori Tommaso De Giacomo e Patrick Frizzera, anche loro indagati come i soci della gioielleria milanese Elysium (Antonio Scinocca, Antonio Parise e Andrea Piccini), dove i calciatori pagavano i debiti di gioco simulando acquisti di orologi di lusso. Cosa rischiano? Sul piano penale giusto una multa, su quello sportivo una squalifica, come già capitato a Fagioli e Tonali.
  • La guerra a Gaza Ieri altre 26 persone sono state uccise dai raid israeliani nella Striscia. Le agenzie dell’Onu denunciano che sono oltre 400 mila gli sfollati da quando Israele ha ripreso l’offensiva, il mese scorso. La situazione nell’enclave palestinese è tragica, le organizzazioni umanitarie avvertono che le condizioni sanitarie sono insostenibili a causa dell’insufficienza di farmaci e attrezzature mediche.Il Pam (Programma alimentare mondiale) riesce a garantire 900 mila pasti al giorno a base di riso e fagioli, hummus o lenticchie, senza i quali la popolazione morirebbe di fame. In Israele, 250 riservisti ed ex allievi dell’unità d’intelligence d’élite hanno chiesto al governo di dare priorità al rilascio degli ostaggi ancora in mano a Hamas (59, di cui la metà ritenuti vivi) anziché al proseguimento della guerra: il premier Benjamin Netanyahu li accusa di essere «radicali gestiti da organizzazioni finanziate dall’estero».L’Egitto preme per la ripresa dei negoziati, ma si temono attacchi di Hamas in occasione delle prossime festività ebraiche.
    Questa guerra è arrivata ormai al 555° giorno
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  • La guerra in Ucraina Gli Stati Uniti constatano di giorno in giorno quanto sia complicato indurre i russi ad accettare la tregua già accolta dagli ucraini. Ieri l’inviato americano Steve Witkoff ha incontrato per quattro ore Putin a San Pietroburgo, ma la svolta pare ancora lontana e Trump torna a ipotizzare nuove sanzioni contro Mosca, come fa periodicamente in un continuo gioco dell’oca in cui i combattimenti non cessano mai.Ad oggi, scrive Lorenzo Cremonesi, «gli unici concreti segnali di distensione sono stati gli scambi di prigionieri e dei resti dei soldati caduti. Intanto gli ucraini lasciano intendere di volere protrarre la legge marziale, promulgata nel febbraio 2022. La scadenza è il 9 maggio e ciò impedirà la convocazione delle elezioni, come vorrebbe Putin con la speranza di condizionare i risultati e liberarsi di Zelensky».
    Questa guerra è arrivata ormai al 1.142° giorno
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  • L’ex ad di Autostrade in carcere La Cassazione ha confermato la sentenza d’appello che condanna a sei anni l’ex amministratore delegato di Autostrade per l’Italia Giovanni Castellucci per la strage del 28 luglio 2013, quando un bus precipitò dal viadotto dell’Acqualonga nella zona di Monteforte Irpino, ad Avellino, causando la morte di 40 persone. I legali di Castellucci hanno annunciato che il manager è pronto a costituirsi. Soddisfazione dei familiari delle vittime, e anche di quelli delle vittime del crollo del Ponte Morandi a Genova: «La giustizia ha fatto emergere un sistema di manutenzione inefficace, viziato da carenze enormi, incompetenza, mediocrità il tutto al fine di diminuire le spese in sfregio alle vite umane».

  • Garlasco, Stasi in semilibertà Alberto Stasi, condannato in via definitiva nel 2015 a 16 anni per il femminicidio di Chiara Poggi nel 2007 a Garlasco, potrà stare fuori dal carcere parte del giorno, non solo per lavorare ma anche per attività di reinserimento sociale, e dovrà tornare la sera a Bollate. Lo ha stabilito il Tribunale di Sorveglianza di Milano, nonostante il parere contrario della Procura generale (spiega tutto Cesare Giuzzi).
  • Sei arresti tra gli ultrà dell’Inter Una guerra interna alla Curva Nord interista, liti per la gestione dei guadagni degli ultrà. È questo il movente dell’omicidio dell’ex capo ultras Vittorio Boiocchi, ucciso la sera del 29 ottobre 2022 a Milano. Ieri sono stati arrestati sei ultrà, ai quali è contestata anche l’aggravante mafiosa. A ordinare l’esecuzione di Boiocchi sarebbe stato il suo successore Andrea Beretta, oggi collaboratore di giustizia dopo essere stato arrestato nel settembre scorso per l’omicidio del boss della ‘ndrangheta Antonio Bellocco (qui i dettagli).
  • Paura per Maignan Il portiere del Milan è stato vittima di uno scontro che gli ha procurato un forte trauma cranico nell’incontro di ieri sera a Udine. Il Milan ha vinto 4-0.

Da leggereL’intervista di Daniele Manca a Patrizio Bertelli, marito di Miuccia Prada, dopo la storica acquisizione di Versace: «Volevamo quel marchio per la sua storia, per quello che rappresenta, non volevamo un marchio solo per crescere. La moda è industria, non solo sfilate. Versace non è in salute splendida? Ci vuole pazienza, non pretendiamo risultati domani mattina. Ma resterà autonoma» (trovate l’intervista tra poco sul sito).L’intervista di Giovanna Cavalli alla sorella di Rino Gaetano, Anna: «Nostra mamma portinaia gli aveva trovato il posto in banca. Scrisse Gianna dedicandola a me, ma quel brano non lo amava».L’editoriale di Angelo Panebianc: «Essere europeisti per davvero».La rubrica di Paolo Lepri: «Il canadese Ivanov e l’app anti Trump».Il Caffè di GramelliniIn vino veritasDal vangelo secondo Lollo abbiamo appena appreso che Gesù moltiplicò il vino, ma è preferibile sospendere ogni giudizio, almeno fino a quando il ministro dell’Agricoltura con delega al buonumore non completerà la revisione del Nuovo Testamento rivelando che alle nozze di Cana l’acqua venne tramutata in pani (e la gasata in pesci).Vale invece la pena soffermarsi sulle dichiarazioni non meno miracolose rilasciate al Senato dal suo collega della Giustizia, Nordio. Se le carceri sono affollate, ha detto, «la colpa non è del governo, ma di chi commette reati e della magistratura che li mette in prigione». Il ragionamento non fa una grinza, anzi, si può agevolmente estendere ad altri settori. La sanità, per esempio: se gli ospedali sono affollati, la colpa è dei pazienti che si ammalano e dei medici che li operano.In effetti, se nessuno rubasse o uccidesse non ci sarebbe più alcun bisogno di costruire nuove carceri, e anche le vecchie, opportunamente ristrutturate, verrebbero riconvertite in airbnb. Poiché però la trasformazione degli esseri umani in cherubini potrebbe ancora richiedere qualche millennio, il modo più rapido per ridurre l’affollamento degli istituti di pena non consiste nell’aumentarli di numero, ma nello smettere di mandarvi i condannati. Senza contare che l’idea di moltiplicare le carceri è un indice infallibile di pessimismo. Meglio non pensarci, e moltiplicare il vino.Grazie per aver letto Prima Ora e buon weekend (qui il meteo).(gmercuri@rcs.itlangelini@rcs.itetebano@rcs.itatrocino@rcs.it)

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venerdì 11 aprile 2025
Il nuovo Rasputin, Trump il grande, Donald Gatsby, Pulse, Vettriano pop, il ritorno dei Cani
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venerdì 11 aprile 2025
La Cina risponde a Trump: dazi al 125%
La Cina risponde a Trump: dazi al 125%
editorialista
di   michele farina

 

E magari ci ritroviamo lunedì e ci diciamo: «Dazi? Quali dazi?». Difficile, a giudicare dal menù della newsletter di oggi. La partita commerciale Usa-Cina continua (con il resto dl mondo che si chiede quando dovrà di nuovo scendere in campo), come la guerra in Ucraina e a Gaza.  E poi il generalone silurato da Xi Jinping, l’elicottero turistico caduto a New York, Ekrem Imamoglu oggi in tribunale in Turchia… In fondo, la storia di un’ultra novantenne che non vende la sua casetta al vicino resort di golf neanche per una cifra a sei zeri. Che tempra, Elizabeth.

 

 

Buona lettura.

La newsletter America-Cina è uno dei tre appuntamenti de «Il Punto» del Corriere della Sera. Potete registrarvi qui e scriverci all’indirizzo: americacina@corriere.it.

 

1. La giornatina di Trump
editorialista
viviana mazza
corrispondente da New York

 

La Casa Bianca dice che la pausa di 90 giorni di Trump sui dazi, annunciata mercoledì poche ore dopo la loro entrata in vigore, è «l’arte del fare affari». I suoi sostenitori annuiscono, anche se molti nei media scrivono che semmai è «l’arte della ritirata» e ironizzano che, se il 2 aprile era «Liberation day», allora il 9 aprile è «Capitulation day» il giorno della resa.

 

 

 

«Quella di ieri è stata la giornata più grande della Storia per i mercati», ha detto il presidente durante un lungo incontro di gabinetto alla Casa Bianca in cui i suoi ministri lo hanno riempito di complimenti all’indomani della parziale retromarcia sui dazi. Wall Street era di nuovo in calo per via del braccio di ferro con la Cina (la Casa Bianca precisa che i dazi sono di fatto al 145% perché il 125% annunciato mercoledì va sommato al 20% già imposto per non aver fermato il traffico di fentanyl) e dell’incertezza complessiva… (qui l’articolo completo).

 

2. Il tweet di The Donald: «Comprate». È insider trading?
francesco bertolino

A New York sono le 9.37 di mattina. Wall Street è sveglia da pochi minuti ed è ancora stordita dalla raffica di dazi quando arriva il consiglio di Donald Trump. «Adesso è un momento grandioso per comprare!», scrive sul social Truth. Concludendo il messaggio con la sigla DJT: le sue iniziali ma anche il codice identificativo delle azioni del Trump Media & Technology Group. I più ignorano l’invito.

 

È un tentativo del presidente di spezzare la spirale negativa delle Borse americane che ha inghiottito 6.000 miliardi di dollari in quattro giorni? Tre ore e mezzopiù tardi, sempre via Truth, Trump annuncia il rinvio di 90 giorni dei dazi «reciproci»contro tutto il mondo (Cina esclusa) e gli investitori si precipitano davvero ad acquistare azioni. L’indice principale di Wall Street, l’S&P 500, chiude la seduta in rialzo del 9,5%, il miglior risultato dal 2008; il paniere dei titoli tecnologici Nasdaq guadagna il 12,2%, il balzo più alto dal 2001 (…).

 

 

Se Trump fosse l’amministratore delegato di un’azienda, perciò, il suo «Buy» via Truth gli costerebbe probabilmente un’inchiesta per manipolazione del mercato. Poiché è invece il presidente degli Stati Uniti, la vicenda assume contorni giuridici inediti. Su cui i democratici intendono far luce. Il senatore della California Adam Schiff ha chiesto un’indagine per accertare se ufficiali della Casa Bianca e membri della famiglia Trump siano stati informati in anticipo del rinvio dei dazi e abbiano investito di conseguenza in Borsa. «Sta per scoppiare uno scandalo di insider trading», ha detto il senatore del Connecticut, Chris Murphy… (qui l’articolo completo).

 

3. Pechino rilancia, le Borse arrancano
redazione economia

Le Borse europee ed i future di Wall Street girano rapidamente in calo, dopo che la Cina ha rialzato i suoi controdazi sulle importazioni dei beni Usa dall’84% al 125%. Tra i principali listini europei indossa la maglia nera Milano (-1,5%). In calo anche Francoforte (-1,4%), Parigi (-0,9%), Madrid (-0,5%) e Londra (-0,3%). Sul fronte valutario il dollaro accentua la sua debolezza sulle principali valute (…).

Xi Jinping

La Cina ha rialzato i suoi contro-dazi sulle importazioni dei beni Usa dall’84% al 125%. Lo ha riferito il ministero delle Finanze, precisando che le nuove misure entreranno in vigore il 12 aprile… (qui tutti gli aggiornamenti sulla partita dei dazi).

4. Non c’è dazio che tenga se non c’è chi lavora
editorialista
ferruccio de bortoli

 

È il grande paradosso di questi giorni così convulsi e drammatici. Una sorprendente rivincita. I dazi avrebbero lo scopo dichiarato (usare sempre il condizionale) di creare lavoro nel proprio Paese sottraendo reddito e occupazione agli altri.

 

 

Peccato che manchino i lavoratori. Gli Stati Uniti hanno un tasso di disoccupazione intorno al 4 per cento, cioè sono vicini alla piena occupazione. Si propongono di attirare investimenti per aumentare le opportunità d’impiego locale. Ma, a sentire molti degli industriali italiani che hanno già impianti produttivi nel Nord America, la difficoltà di trovare manodopera è a volte insuperabile… (qui l’articolo completo).

 

5. L’Ufficio Statistiche senza statistiche
editorialista
federico fubini

 

Non è chiaro se sia definitivamente scesa una cortina di ferro tra gli Stati Uniti e la Cina o fino a dove arriverà l’attuale fase di avvitamento delle relazioni bilaterali. È già chiaro però che diventerà più difficile capire cosa sta accadendo. Sarà un caso o più probabilmente no, ma l’Amministrazione delle Dogane di Pechino negli ultimi giorni ha operato in silenzio un’impercettibile eppure significativa modifica al suo sito: nella sezione «Statistiche», sono scomparse le statistiche. Non tutte. Solo quelle di cui le dogane di Pechino si occupano in prevalenza, sul commercio da e verso i confini della Repubblica popolare.

 

 

 

Anche in questo caso, la rimozione dei dati non è stata totale. È selettiva: sono scomparsi solo quelli mese per mese, relativi all’andamento delle esportazioni e delle importazioni della Cina durante il 2025 con quasi tutte le economie del pianeta. I dati relativi al 2024 o agli anni precedenti rimangono facilmente consultabili e del resto sono il passato ed erano noti da tempo. Anche quelli su quest’anno avevano iniziato a uscire, sicuramente per quanto riguarda i primi due mesi: da essi si notava, per esempio, un crollo del 10,9% delle esportazioni cinesi verso la Russia in gennaio e febbraio rispetto agli stessi mesi di un anno fa.
Poi tutto è stato rimosso. O almeno non è più consultabile dall’esterno. Non avremo dunque più facile accesso a informazioni sull’andamento dell’export della Cina verso gli Stati Uniti, la Germania, l’Italia, ma anche verso Paesi accusati (dall’amministrazione Trump) di essere usati da Pechino come piattaforme per aggirare i dati americani: Vietnam, ma soprattutto Cambogia, Laos, Thailandia o Malesia.

 

 

Inutile chiedere all’Amministrazione delle Dogane perché abbia smesso di pubblicare le sue statistiche mese per mese, privando gli analisti di tutto il mondo di uno strumento prezioso per capire un po’ meglio la Cina e l’economia internazionale. Di certo la coincidenza colpisce. I dati erano ancora disponibili quando Trump ha imposto il primo ciclo di dazi al 10% contro Pechino all’inizio di febbraio ed erano ancora lì quando è arrivato il secondo ciclo di un altro 10% a inizio marzo. Al momento dei dazi «reciproci» su 185 Paesi e dell’escalation contro Pechino, la trasparenza è scomparsa. Forse perché è così che si giocano le sfide geostrategiche, non tanto quelle puramente commerciali. Ed è anche in questi dettagli che tramonta la globalizzazione dell’ultimo trentennio.

 

6. Un’opportunità, nonostante tutto
editorialista
rita Querzè

Ogni crisi nasconde opportunità. Ne è convinta Alessandra Lanza, senior partner di Prometeia, esperta di politiche industriali. «Quando la Cina entrò nel Wto (l’Organizzazione mondiale del commercio, ndr ) all’inizio degli anni Duemila avevamo ragione a temere Pechino: i loro prodotti a basso costo competevano direttamente con i nostri — esordisce Lanza —. Ma oggi le cose stanno in modo diverso». E come stanno? «I cinesi si sono spostati sulle produzioni tecnologiche, ambito in cui noi italiani non siamo particolarmente forti. Ormai i prodotti a basso costo cinesi finiscono soprattutto nei Paesi emergenti, oltre che in Giappone e in Australia. Sia chiaro, questo non significa che il rischio di un incremento della concorrenza cinese dovuto ai dazi Usa non ci sia. Ma potrebbe essere gestito».

Alessandra Lanza

 

In pratica, secondo Lanza, bisognerebbe fare leva sulla complementarietà delle nostre produzioni e trovare un accordo. «I cinesi non esporteranno più materiali critici negli Usa. Ma a noi quei materiali servono. Come anche batterie e microchip. L’Italia e l’Europa potrebbero impegnarsi ad acquistarne una quota da Pechino, in cambio loro dovrebbero accettare dazi su una serie di beni che noi abbiamo bisogno di tutelare. Se gli Usa mettono i dazi a tutto il mondo, il resto del mondo può allearsi per toglierli reciprocamente. È un’occasione storica per costruire alleanze. E tornare a far funzionare gli organismi come il Wto. Nonostante Trump».

 

7. L’«intoccabile» cacciato da Xi Jinping
editorialista
paolo salom

 

Non c’è soltanto il fronte esterno e la guerra dei dazi con gli Stati Uniti. C’è anche un fronte interno, che in Cina si chiama «campagna anti corruzione», un termine che vuole dire tutto e niente: sotto questa accusa si eliminano funzionari che davvero accumulano ricchezze immense ma anche nemici personali. Oggi per volere del presidente Xi Jinping è scomparso dalla scena un (altro) «intoccabile» dell’Esercito di liberazione del popolo.

Si tratta del generale He Weidong, il secondo ufficiale più in alto in grado nell’esercito e il terzo nel comando delle forze armate della Cina. Lo ha rivelato oggi il Financial Times citando ben cinque fonti, cosa che suggerisce la volontà di far uscire la notizia, almeno all’estero. He Weidong, il più giovane dei due vicepresidenti della Commissione militare centrale, massimo organismo strategico, composta da sei membri e presieduta dal presidente Xi Jinping, è stato rimosso dal suo incarico nelle ultime settimane.

 

 

Si tratta della prima volta in quasi 60 anni che un vicepresidente in servizio della Commissione militare centrale viene rimosso, dunque dai tempi in cui il leader era lo stesso Mao Zedong. La rimozione di He, secondo un’ipotesi circolata da varie settimane e non confermata finora in via ufficiale, sarebbe l’ultima di una lunga serie di ufficiali espulsi da Xi per presunta corruzione, maturata appena sei mesi dopo la sospensione di Miao Hua, uno dei sei alti ufficiali della Commisione militare centrale per «gravi violazioni disciplinari».

Anche se l’anzianità di He renderebbe il suo licenziamento molto più serio della vicenda di Miao, che è stata confermata dal ministero della Difesa. He è risultato assente in più eventi ai quali di solito partecipa un vicepresidente della Commissione: ad esempio non c’era a una recente riunione dell’Ufficio del Politburo sulla diplomazia cinese, a cui ha partecipato anche Zhang Youxia, l’altro vicepresidente dela Commissione, il militare di grado più alto delle forze armate.

Neil Thomas, esperto di politica cinese presso l’Asia Society Policy Institute, ha affermato all’Ft che la caduta di He Weidong sarebbe la prima di un vicepresidente in uniforme dai tempi del generale He Long nel 1967. «Il fatto che Xi possa epurare un vicepresidente dimostra quanto sia serio nel combattere la corruzione nell’ esercito», puntando a «trasformare l’Esercito popolare di liberazione in una forza di combattimento efficace oltre i confini della Cina, ma anche in un completo servizio al suo programma interno». Tradotto: il generale He ha fatto o detto qualcosa di sbagliato.

Negli ultimi due anni, il leader cinese ha rimosso i due capi dell’unità d’élite della Forza missilistica (decisiva in un eventuale conflitto nucleare), nonché un ex ministro della Difesa, Wei Fenghe, e uno in carica, Li Shangfu. Il problema di questi licenziamenti è che per un osservatore esterno è virtualmente impossibile capire se sono legati davvero a reati di corruzione (molto frequenti nelle forze armate cinesi, esattamente come in quelle russe). Oppure se si tratta di questioni politiche, ovvero di scontri nella nomenclatura legati all’influenza di questa o di quella cordata (dove Xi è sempre l’arbitro finale).

 

8. Lamy: «Il dietrofront di Trump non era calcolato»
editorialista
stefano montefiori
corrispondente da Parigi

«La globalizzazione non si fermerà, il capitalismo troverà degli aggiustamenti e chi non fa più affari negli Stati Uniti li farà altrove. Il commercio è come l’acqua, trova sempre il modo di scorrere. E ad approfittarne potrebbe essere l’Europa», dice Pascal Lamy, che sull’argomento ha qualche esperienza: 78 anni, commissario europeo al Commercio (1999-2004), poi direttore generale dell’Organizzazione mondiale del commercio (2005-2013), oggi coordinatore dei think tank Jacques Delors di Parigi, Berlino e Bruxelles.

Pascal Lamy

Che cosa pensa delle mosse di Trump?
«Sogno un mondo in cui le questioni legate al commercio torneranno noiose, come sono sempre state. Ma Donald Trump è un tale genio della comunicazione che ha infiammato tutto».
Lo definisce genio della comunicazione, non genio dell’economia.
«No, da quel punto di vista si tratta di decisioni totalmente insensate. Trump pone un non-problema per il quale offre non-soluzioni».

Perché la visione di Trump è sbagliata?
«Il deficit commerciale americano non dipende dal fatto che l’America è depredata da furfanti. Nessun economista serio può pensarlo. Il punto è che gli americani consumano molto più di quanto producano, al contrario dei cinesi. E non hanno alcun problema a finanziare il loro deficit commerciale perché hanno il dollaro. Funziona così da 50 anni».

E l’idea di proteggere i lavoratori americani?
«L’idea di riuscire a farlo con i dazi è una credenza voodoo, una cosa da stregoni, una follia. Ma penso che Trump ci creda davvero».

E la marcia indietro? Tutto calcolato, come adesso cercano di raccontare a Washington?
«Macché. Dopo l’annuncio dei dazi, c’erano due scuole di pensiero: secondo la prima, Trump stava facendo una rivoluzione, creando un nuovo mondo che tutti eravamo chiamati a immaginare e affrontare. In base alla seconda scuola, invece, quella realista alla quale appartengo, quei dazi erano talmente insensati che la realtà avrebbe finito con il prendere il sopravvento. E la mia tesi è sempre stata che il ritorno alla realtà si sarebbe prodotto proprio negli Stati Uniti».

Il ritorno alla realtà è arrivato prima del previsto?
«Sì, ma non sono state le Borse, il punto sono i tassi di interesse a lungo termine. Le obbligazioni di Stato a 10, 20, 30 anni. Un segno che il credito americano è colpito, e questo credo sia un dato durevole. E non mi sorprenderebbe se i cinesi avessero contribuito a fare alzare volutamente i tassi, a costo di perdere un po’ di soldi».

La marcia indietro non riguarda la Cina, anzi lì il confronto diventa più duro.
«Di fatto Trump ha imposto un embargo sulla Cina, anche se non lo chiama tale. E i cinesi non lo stanno gestendo affatto come una questione commerciale, ma geopolitica.
Sono pronti allo scontro».

Questa situazione può andare a vantaggio dell’Europa?
«Sì, anche quanto al credito perso dagli Stati Uniti. Dove andrà? Lo yuan rappresenta una piccola parte del sistema monetario internazionale, l’euro è più importante.
Certo l’Europa dovrebbe muoversi».

Che pensa della reazione europea finora?
«Ursula von der Leyen avrebbe potuto essere più ferma, ma ha una formazione atlantica che le è difficile abbandonare. I dazi sono una competenza europea del 1957 e questo resta, anche se la missione della premier Giorgia Meloni può essere utile politicamente. Macron ha avuto il consueto riflesso gollista, ma la novità è la reazione della Germania, che non può tollerare che vengano colpite le sue automobili. Possiamo aspettarci un governo tedesco più reattivo e europeista».

9. Ue: «Adesso trattiamo»
editorialista
francesca basso
corrispondente da Bruxelles

 

L’Unione europea congelerà per 90 giorni le contromisure in risposta ai dazi americani del 25% su acciaio e alluminio, approvate dai Paesi Ue solo due giorni fa, come segnale di pace nei confronti della mossa del presidente Usa Trump di abbassare per 3 mesi i cosiddetti «dazi reciproci» sui prodotti Ue dal 20% al 10%.

 

«Vogliamo dare una possibilità alle trattative», ha spiegato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, aggiungendo anche che «se le trattative non saranno soddisfacenti, le nostre contromisure entreranno in vigore». E dunque «il lavoro preparatorio per ulteriori contromisure prosegue» e «tutte le opzioni rimangono sul tavolo». Insomma, nessun assegno in bianco e nessuna fuga in avanti… (qui l’articolo completo).

10. Quali sono i dazi rimasti?
editorialista
samuele finetti

Il passo indietro di Trump — la pausa di 90 giorni annunciata mercoledì — riguarda tutti i dazi imposti dagli Usa ai partner commerciali?
No. Trump ha rinviato solo le «tariffe reciproche» annunciate alla Casa Bianca il 2 aprile, che coinvolgevano una sessantina di Paesi, dal Lesotho (50%) al Camerun (11%). Restano dunque in vigore altre tariffe, a partire dal 10% generico per ciascun Paese, effettivo dalle 6.00 italiane di mercoledì. Ma anche tutte quelle sui beni cinesi (145%), quelle sull’import di alluminio, ferro e automobili (25%), e una parte di quelle che colpiscono il Messico e il Canada (sempre del 25%, ma sono esclusi i beni il cui scambio è regolato dall’Accordo Stati Uniti-Messico-Canada, che nel 2020 ha rimpiazzato il Nafta).

Una cascata in Lesotho

Come hanno reagito i partner commerciali di Washington?
Già nei giorni scorsi, come ha rivelato lo stesso Trump, i leader di diversi Paesi hanno contattato la Casa Bianca per avviare dei negoziati diretti volti a diminuire le tariffe. Ieri, dopo la «pausa» annunciata da Trump, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha dichiarato che l’Ue sospenderà a sua volta per 90 giorni le contromisure (dazi del 25% su alcuni prodotti statunitensi, prodotti dal valore di circa 21 miliardi di euro). «Vogliamo dare una possibilità ai negoziati», ha affermato von der Leyen: «Se i negoziati non saranno soddisfacenti, entreranno in vigore le nostre contromisure».

11. Musk e il nonno tecno-utopista
editorialista
massimo gaggi
da New York

 

Technate of America, guidato da un ingegnere visionario, Howard Scott: voleva affrontare i problemi del Paese con metodi scientifici anziché politici, dando il governo a ingegneri, scienziati e tecnici, chiamati ad applicare due criteri: massimizzare l’efficienza produttiva, minimizzare gli sprechi.

 

 

Il movimento, in forte espansione negli anni della Grande Depressione, perse terreno col successo del New Deal di Roosevelt e il grade sviluppo economico del Dopoguerra. Tra i luogotenenti di Scott c’era Joshua Haldeman, un tecnoutopista e cospirazionista dalla vita movimentata (foto sopra): chiropratico, agricoltore che perse le sue terre colpite da una grave siccità, aviatore, politico. Arrestato in Canada per le sue mire rivoluzionarie, si trasferirà in Sud Africa dove diventerà un grande sostenitore dell’apartheid.

 

 

Haldeman era il nonno, da parte di madre, di Elon Musk. Anche se il giovane Elon fu affascinato da quella figura, come ha raccontato Walter Isaacson nella sua monumentale biografia del miliardario di Tesla e SpaceX, collegare le idee del nonno a quelle del suo celebre e potente nipote sarebbe, ovviamente, arbitrario. Ma la storia dei tecnoutopisti, ripercorsa da molti in tempi recenti — come la storica Jill Lepore in un saggio per Atlantic o, in Italia, da Paolo Benanti, il francescano consigliere del Papa che guida la commissione di Palazzo Chigi sull’intelligenza artificiale — fa riflettere da almeno due punti di vista… (qui l’articolo completo).

 

12. L’elicottero caduto a New York
redazione online

Un elicottero è precipitato nel fiume Hudson a New York e si è inabissato. A bordo c’erano sei persone: il pilota, due adulti e tre bambini che erano i componenti di una famiglia di turisti spagnoli. Tutti sono morti, hanno riferito fonti di polizia.

 

 

L’elicottero stava compiendo un volo turistico sulla città, sopra i grattacieli di Manhattan: era partito circa 15 minuti prima del disastro. I testimoni raccontano di aver sentito una forte esplosione e subito dopo il velivolo precipitare nel fiume; uno di loro ha riferito di aver visto un motore staccarsi prima dell’impatto dell’elicottero sull’acqua… (qui l’articolo completo).

 

13. Americana: l’espulsione dei migranti «come Amazon Prime»
redazione esteri

Donald Trump dichiarerà la legge marziale negli Usa il 20 aprile: la bufala circola sui social con l’hashtag #martiallaw, anche se da parte del presidente non ci sono prove, annunci o dichiarazioni. Alla base della fake news c’è un ordine esecutivo firmato da Trump, che impone ai dipartimenti di Difesa e Sicurezza di valutare entro il 20 aprile se al confine col Messico sia necessario ricorrere all’Insurrection Act. La norma — ben diversa dalla legge marziale, che sospende diverse libertà civili — consente «di schierare l’esercito o la Guardia Nazionale per reprimere eventi quali ribellioni, insurrezioni e disordini civili o per far rispettare la legge». L’ha usata l’ultima volta nel 1992 George H.W. Bush.

Migranti al confine Messico-Usa

Gestire l’espulsione dei migranti come Amazon gestisce la spedizione super celere dei pacchi: è una «soluzione» invocata nei giorni scorsi da Todd Lyons, direttore (facente funzione) dell’Agenzia federale Usa per l’immigrazione. In un discorso tenuto alla Border Security Expo di Phoenix, Lyons ha detto al pubblico che «dobbiamo imparare a trattare la questione» migranti «come un business». «Come Amazon Prime, ma con gli esseri umani». «Dobbiamo comprare più letti, abbiamo bisogno di più voli aerei». Lyons ha anche indicato che l’Agenzia potrebbe utilizzare l’intelligenza artificiale per «liberare posti letto» e «riempire gli aerei», consentendo all’Ice di espellere gli immigrati più rapidamente.

 

L’amministrazione Trump sta preparando una escalation nei confronti della Columbia University. Secondo fonti del Wall Street Journal, il piano sarebbe di mettere l’ateneo sotto un «consent decree», una sorta di commissariamento di fatto che potrebbe aumentare significativamente la pressione sull’università dopo il blocco dei fondi federali a causa delle proteste pro-Gaza della scorsa primavera. Il decreto potrebbe restare in vigore per anni: in pratica affiderebbe a un giudice federale il compito di assicurarsi che la Columbia modifichi le proprie pratiche in materia di antisemitismo e politiche Dei (diversità, equità e inclusione) secondo le linee guida stabilite dal governo.

 

14. La Corte Suprema: «Riportatelo a casa»
editorialista
sara gandolfi

 

«Riportatelo negli Stati Uniti». Dopo vari tira e molla, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha emesso il verdetto finale: Kilmar Abrego Garcia, l’operaio salvadoregno di 29 anni espulso dagli Usa e deportato «per errore» in un supercarcere in El Salvador, deve tornare nel Maryland, dove l’aspettano moglie e figli.

 

Un caso delicato per l’amministrrazione Trump. In un primo tempo la Corte Suprema, accogliendo l’appello della Casa Bianca, aveva sospeso l’ordine di un tribunale distrettuale, che intimava al governo di «facilitare ed effettuare» il rientro di Abrego. Tre giorni dopo, però, tutti e nove i giudici dell’alta corte, compresi i conservatori, hanno deciso di avallarlo.
Centinaia di migranti, perlopiù salvadoregni e venezuelani, sono stati trasferiti a marzo su aerei militari nel Centro per il Confinamento del Terrorismo, il famigerato super-penitenziario dove il presidente salvadoregno Bukele ha rinchiuso, spesso senza processo, migliaia di criminali, o presunti tali.

 

Kilmar era entrato illegalmente negli Stati Uniti da adolescente. Arrestato nel 2019, gli era però stata subito concessa protezione dall’espulsione perché considerato a rischio di persecuzione nel suo Paese d’origine da parte delle stesse bande criminali con cui ora si trova dietro le sbarre.

 

15. Ucraina, oggi il Gruppo di Contatto
editorialista
lorenzo cremonesi
inviato a Kiev

 

L’idea non è nuova: l’Ucraina potrebbe comprare armi americane anche grazie agli aiuti finanziari forniti dall’Europa. Se ne era già parlato appena dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca il 20 gennaio. E nella nuova era della politica internazionale dominata dalla logica della necessità del profitto a tutti i costi imposta da Trump l’iniziativa potrebbe avere successo.

 

Le conseguenze di un attacco russo oggi in Ucraina

 

Oggi quest’idea torna all’ordine del giorno con la riunione del Gruppo di Contatto a Bruxelles che raccoglie la sessantina di Paesi disposti a fornire aiuto militare all’Ucraina per combattere l’invasione russa. Assente d’eccellenza sarà il segretario alla Difesa Pete Hegseth. Il suo predecessore ai tempi dell’amministrazione Biden, Lloyd Austin, aveva personalmente diretto almeno 25 riunioni del Gruppo di Contatto. Hegseth sarà invece collegato via remoto e la sua mancata presenza fisica alla riunione segnala in modo evidente la decisione di Trump di non chiedere al Congresso nuovi invii di armi all’Ucraina… (qui l’articolo completo, con tutti gli aggiornamenti sulla guerra).

 

16. Spiragli in Medio Oriente?
editorialista
marta serafini

Mentre la guerra a Gaza prosegue (continuano i bombardamenti e gli ordini di evacuazione mentre da quasi 6 settimane i varchi per l’ingresso degli aiuti restano chiusi), Israele ed Egitto si sono scambiati le bozze di documenti per un accordo di cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi, riporta la tv pubblica israeliana Kan. La proposta egiziana prevede il rilascio di otto ostaggi vivi e di otto corpi in cambio di una tregua della durata compresa tra i 40 e i 70 giorni e il rilascio di un gran numero di terroristi e prigionieri palestinesi. Si tratta di una nuova bozza che va oltre quella proposta il mese scorso dell’inviato speciale degli Stati Uniti Steve Witkoff che prevedeva il rilascio di cinque ostaggi in cambio di un gran numero di prigionieri palestinesi e di un cessate il fuoco di due mesi.

Gaza oggi

 

Gli otto ostaggi vivi non verrebbero rilasciati tutti in una volta, ma a tappe. Al momento, nessuna delle due parti ha rilasciato una risposta definitiva alla proposta. Si tratta ovviamente di uno spiraglio molto stretto, anche perché le forze israeliane stanno  proseguendo con i loro piani militari nella Striscia, con la creazione di un nuovo corridoio tra le città meridionali di Rafah e Khan Yunis. Tuttavia, ieri il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha dichiarato «Qualora si raggiunga un accordo sugli ostaggi, l’offensiva si fermerà immediatamente». Parole cui aggrapparsi nella speranza che possa aver fine un conflitto in atto ormai da 553 giorni.

Per domani in Oman è atteso l’avviso dei colloqui tra Iran e Usa sul programma nucleare di Teheran. E dopo una certa confusione scaturita dall’uso dell’espressione da parte di Washington di «colloqui diretti» (per l’Iran si tratta di trattative mediate dagli omaniti), il ministro degli Esteri di Teheran Abbas Araghchi su X ha scritto: «Questo fine settimana l’Iran sta dando ai colloqui con il suo acerrimo nemico, gli Stati Uniti, «una vera possibilità». Altri spiragli cui aggrapparsi.

17. Turchia, Imamoglu in tribunale
editorialista
monica ricci sargentini

Prima udienza in tribunale oggi per Ekrem Imamoglu, sindaco di Istanbul e principale rivale del presidente Tayyip Erdogan, che il 19 marzo era stato arrestato con le accuse di corruzione e favoreggiamento di un’organizzazione terroristica scatenando le proteste dei cittadini turchi che, in centinaia di migliaia, sono scesi per giorni in piazza in tutto il Paese per reclamare la sua scarcerazione.

 

I capi di imputazione che affronterà oggi riguardano le sue critiche al procuratore capo di Istanbul, protagonista in diversi processi che hanno coinvolto gli oppositori di Erdogan, tra cui un altro ex candidato alla presidenza, Selahattin Demirtas, l’ex leader del principale partito filo curdo, in carcere dal 2016. Imamoglu rischia di fare la stessa fine e non poter sfidare Erdogan alle prossime presidenziali, previste nel 2028 ma che potrebbero essere anticipate per permettere al Sultano di ricandidarsi (un terzo mandato è vietato dalla Costituzione). Al sindaco di Istanbul, pochi giorni prima del suo arresto, era stata anche annullata la laurea, requisito indispensabile per ambire alla carica più alta del Paese.

Intanto ieri sono state rilasciate su cauzione 127 persone, perlopiù studenti universitari, che erano state fermate durante le proteste per l’arresto di Imamoglu. In tutto sono stati oltre duemila i manifestanti arrestati per avere partecipato a quelle che sono state senza dubbio le più grandi manifestazioni di massa negli ultimi dieci anni.

18. Orgoglio inuit contro l’avventuriera «ignorante e neo-colonialista»

 

(Sara Gandolfi)  Il padre, Sir David Hempleman-Adams, è un rispettato avventuriero inglese, il primo a concludere con successo il Grande Slam dell’Esploratore, raggiungendo i Poli Nord e Sud geografico e magnetico, scalando le vette più alte di tutti e sette i continenti, il primo a volare al Polo Nord in mongolfiera.

 

La figlia Camilla, aspirante avventuriera-influencer, non voleva esser da meno, ma inseguire le orme paterne, e vantarsene senza conoscere la storia e la geografia dei luoghi, rischia di diventare un pericolosissimo boomerang.
La giovane del Wiltshire lo ha scoperto dopo aver concluso quella che a leggere i media britannici doveva essere un’avventura epica: attraversare in solitaria l’isola di Buffin, la più grande del Canada, tra i ghiacci dell’estremo Nord artico, da Qikiqtarjuaq a Pangnirtung, attraverso l’Akyashuk Pass… (tutta la storia nella nuova puntata di Mondo Capovolto).

19. Il Titanic e il suo gemello digitale (nell’anniversario del naufragio)
editorialista
michela rovelli

 

Proprio lì, dove il Titanic si è spezzato in due, nella parte posteriore della sezione di prua, si notano gli enormi locali che ospitavano le caldaie. Caldaie che risultano essere concave, un indizio da cui possiamo dedurre che erano ancora in funzione mentre si immergevano nelle acque dell’oceano Atlantico. E che dunque conferma le testimonianze di alcuni dei sopravvissuti: le luci sul ponte sono rimaste accese fino all’ultimo. Fino a pochi minuti prima del naufragio più famoso della storia, avvenuto nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1912.

 

La prua del Titanic. Credit: Atlantic Productions/Magellan

 

Poco più di un secolo dopo, nel 2022, è iniziato un progetto che aveva l’obiettivo di far «risorgere» il Titanic. Una resurrezione «digitale» che ha previsto la raccolta di 16 terabyte di dati, tra cui 715mila immagini e riprese in 4K catturate da due robot subacquei controllati a distanza chiamati (romanticamente) Romeo e Juliet. E un’analisi durata due anni di storici, ingegneri, esperti forensi. La più grande scannerizzazione 3D di un oggetto che si trova sott’acqua: un lavoro che ha permesso una ricostruzione nei minimi dettagli del relitto che ancora oggi si trova adagiato nei fondali al largo di Terranova, a 3.800 metri di profondità… (qui l’articolo completo).

 

20. Da Elvis a Mandela, la serie podcast sui testamenti più famosi
editorialista
tommaso pellizzari

Bill Gates e Mark Zuckerberg, ad esempio (ma anche Elton John e Sting), hanno deciso di lasciare ai figli il minimo indispensabile, convinti che la ricchezza vada conquistata e non tramandata. Steve McQueen lasciò alla moglie Barbara Minty 2 milioni di dollari e la Harley Davidson verde militare che la donna imparato a guidare (tra le 210 del parco moto del marito). Karl Lagerfeld assegnò un milione e mezzo di euro alla sua governante Françoise Caçote, ma solo come mantenimento per l’adorata gatta birmana Choupette.

 

Storie come queste le potete ascoltare da ieri e ogni giovedì per le prossime 8 settimane nella seconda stagione de «L’ultima volontà», la serie podcast del Corriere della Sera e del Consiglio nazionale del Notariato. Se la prima stagione raccontava l’Italia attraverso i testamenti dei nostri compatrioti più o meno illustri, la seconda fa invece il giro del mondo per raccontare le differenze nella disciplina (e nella psicologia) di chi fa testamento, mentre i progressi della tecnologia stanno rivoluzionando anche questo aspetto delle nostre vite… (qui l’articolo completo).

 

21. La vedova novantenne che non vende la casa al campo da golf
salvatore riggio

 

«I soldi non sono tutto». È la frase che ormai da anni gli organizzatori dell’Augusta National – il torneo di golf più importante del mondo che si tiene negli Stati Uniti, in Georgia (l’edizione 2025 inizia oggi, 10 aprile) – si sentono dire da una signora di nome Elizabeth Thacker. È una vedova di 93 anni, che non ha nessuna intenzione di vendere la casa di famiglia – che si trova nei pressi della buca 6 – per permettere al Masters di trasformare la sua proprietà in un parcheggio.

 

Lei ci vive dal 1959 e da quasi 10 anni si rifiuta di vendere la sua proprietà immobiliare, nonostante da qualche tempo ormai si sia trasferita in una casa di riposo. Gli organizzatori dell’Augusta National hanno come obiettivo quello di espandere le proprie strutture: puntano a costruire, appunto, un nuovo parcheggio, altre case e un campo da golf a 18 buche. In tutti questo anni gli organizzatori hanno investito circa 200 milioni di euro per acquistare tutte le proprietà circostanti e aumentare la superficie totale dei propri possedimenti del 75%. La stessa Elizabeth in passato ha già venduto una seconda proprietà nelle vicinanze, ma la casa non si tocca:

22. Occhio a Cannes
editorialista
paolo mereghetti

 

Forse l’unica chiosa che si può fare sul programma di Cannes prima di vedere i film (al di là dell’orgoglio per i tre titoli italiani selezionati) è la conferma che Hollywood non sta attraversando un gran momento.

 

Se si esclude Mission Impossible (è soprattutto un’operazione di marketing) non ci sono film da prima pagina: Linklater e Kelly Reichard sono campioni del cinema indipendente, Wes Anderson è ormai più europeo che americano, Alpha di Ari Aster è prodotto da A24, cioé la major delle minor indipendenti. Certo, l’anno scorso con l’indipendentissimo (e modesto) Anora Cannes era tornata a mettere le mani sull’Oscar dopo anni di «dominio» veneziano, ma con Juliette Binoche presidente di giuria (foto sopra) ho l’impressione che le alzate di testa di Greta Gerwig, responsabile di quella scandalosa Palma d’oro, non si ripeteranno… (qui l’articolo completo).

Grazie. A lunedì. Cuntrastamu.
Michele Farina«America-Cina» esce dal lunedì al venerdì alle ore 13
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