Vino, formaggio e spaghetti
(di Stelio W. Venceslai)

Questo viaggio della Meloni in America è diventato l’argomento più dibattuto della settimana. Che va a fare la Meloni in America?
Lasciamo da parte le storie sul fatto che sarebbe amica di Trump e di Musk, che è un ponte tra l’America e l’Europa ed il premier più stabile d’Europa. Queste sono sciocchezze per indorare la pillola.
La verità è che la Meloni si azzarda ad una missione infelice.
Trump è quello che è: un satrapo bizzarro e cafone. L’Europa non ha dato nessun mandato alla Meloni, l’Italia è nell’incertezza tariffaria, come tutti i Paesi dell’Unione, dopo la moratoria di novanta giorni a mondo da concessa al mondo da Trump che, in tal modo, nel giro di quattro ore, si è messo in tasca 400 milioni di dollari.
Con la stessa disinvoltura con la quale prima ha messo i dazi e poi li ha sospesi, potrebbe all’improvviso riapplicarli, tanto per fare un altro giretto lucroso in borsa. Trump è imprevedibile e non saranno certo le grazie della Meloni a farlo rinsavire.
Sulle tariffe la competenza dell’Unione europea è esclusiva. Se non ha un mandato, e la Meloni non ce l’ha, non potrebbe neppure parlarne. Ha l’influenza necessaria per moderare il governo americano? Certamente no. E neppure per influenzare in un modo o in un altro la politica dell’Unione europea. Viene da ridere solo a pensarci.
Può essere un canale di comunicazione fra Trump e la von der Layen, ma gli Stati Uniti non hanno certo bisogno di lei per esternarsi.
Quindi: a che serve questa missione? A salvare vino, formaggio e spaghetti?
Questa missione nasce disgraziata. Concepita in un momento in cui si temeva il peggio, occorreva cercare di salvare il salvabile. Ora, la moratoria ha rimesso tutto in discussione. La situazione resta difficile, ma non ci sono fatti nuovi all’orizzonte. Annullare l’udienza, dopo averla faticosamente ottenuta, sarebbe stato difficile. Mantenerla ed ottenere dei risultati lo è ancora di più.
La Meloni si aggiunge ai settanta o novanta Paesi in fila per impietosire Washington, tutti trasformati in fedelissimi discepoli del trumpismo imperante. Con evidente disprezzo e linguaggio da trivio il satrapo americano ha fatto vedere ai suoi elettori americani quanto è importante il loro eletto. La Meloni si può vantare solo d’essere “antemarcia”, fedelissima, forse, ma fino a che prezzo?
C’è un riallineamento globale delle alleanze. Cina, Giappone e Corea del Sud stanno per varare un’intesa commerciale importante. Ex nemici da secoli, cercano di fronteggiare l’intraprendenza americana e non è escluso che l’Australia si unisca a questa intesa.
Nuovi rapporti si stanno allacciando fra l’Europa e la Cina. Abbandonata la pretenziosa via della seta, nuovi interessi emergono fra le due potenze economiche. In modo forse inconscio si sta creando un fronte anti Stati Uniti che sono sempre più isolati. America first ma anche America alone. L’Italia e l’Europa, poi, si rivolgono all’India, il gigante demografico dell’Asia. Purtroppo, per quanto grande, è ancora un Paese povero con un mercato internazionale che stenta a decollare.
La questione di fondo è se dobbiamo considerare l’America ancora un alleato oppure no. Trump non si comporta come un alleato. In Europa ha basi militari importanti. Da alleato o da potenza coloniale? È una questione che nessuno vuole affrontare, ma che esiste.
Finché ci sarà una NATO il problema non si pone ma se persiste l’insistenza americana ad alzare i contributi al 5% del PIL degli Stati membri, si aprirà uno scenario del tutto diverso. La richiesta di Washington rischia di mettere in ginocchio tutte le economie dei Paesi dell’alleanza tranne, forse, quella tedesca. In cambio, si profila un’intesa fra il Giappone e la NATO. Un altro passo verso l’isolazionismo americano.
Le questioni, come si vede, sono molte e complesse. Sino ad ora la politica di Trump è stata fallimentare. Solo smargiassate.
In Ucraina la guerra si trascina nonostante la presunta tregua. Zelenski invoca uomini ed armi. Con la buona stagione ci saranno nuove offensive, dall’una e dall’altra parte. La “mediazione” americana non è servita a nulla, se non ad umiliare Zelenski. Il recente massacro di Sumy, nella domenica delle Palme, dimostra chiaramente che la guerra, per Putin, è uno strumento essenziale per restare al potere. Le sue intenzioni di pace sono solo chiacchiere buone per Trump che è l’unico che ci crede.
In Palestina: idem. Secondo Trump, sarebbero bastati tre giorni per chiudere la partita. Continuano invece le stragi israeliane ed Hamas è più forte che mai. Forse, da quel che trapela dagli ambienti diplomatici, l’amministrazione americana ha bloccato l’idea di Netanyahu di attaccare l’Iran. Il silenzio dei Paesi arabi, in proposito, è eloquente: Hamas disturba gli affari e il turismo e l’Iran va ricondotto a una succursale medievale dell’Afghanistan. Meno se ne parla meglio è. E, poi, Teheran non fa più paura nessuno dopo le botte che ha preso senza reagire in Libano, in Siria e nello Yemen degli Houthi.
In questo quadro così convulso e in movimento, la missione della Meloni appare incongrua ed inutile. Dialogare è sempre utile, ma le posizioni devono restare ferme.
L’Italia è con l’Europa, nonostante un cinquantennale servaggio nei confronti degli Stati Uniti, fin dai tempi del Trattato di pace. Non può essere diversamente. A torto o a ragione siamo un Paese europeo, dentro l’Unione europea, nonostante gli errori fatti e le carenze di una politica solo mercantile (ma non estera, non di difesa, non fiscale, non finanziarie e così via). Per salvare gli spaghetti non si cambia continente.
Un assetto diverso dei nostri rapporti con gli Stati Uniti sarà necessario e, comunque competitivo, non da territorio da colonizzare. Dirà questo la Meloni a Trump o parlerà solo di vini formaggio e spaghetti?
Il giorno dopo la Meloni tornerà a Roma, per incontrare l’ineffabile Vice Presidente Vance, il figlioccio cafone di Trump. È quello che ci ha definiti parassiti, scrocconi e contrari alla libertà di espressione. Una specie di quell’altro cretino di Medved, alla corte di Putin. Sarà un altro incontro inutile. Francamente, non invidio la Meloni.