Governo tecnico/ di Annalisa Cuzzocrea/ La Stampa, venerdì 29 settembre

«Simul stabunt simul cadent» è il motto più citato – in queste ore – nei palazzi di governo e Parlamento. «Vivranno insieme o insieme cadranno», è il significato, e le protagoniste sono ancora una volta Giorgia Meloni ed Elly Schlein. Lo spettro che spaventa entrambe: la premier dal primo giorno in cui ha messo piede a Palazzo Chigi; la segretaria pd da quando ha cominciato ad analizzare meglio le mosse del Correntone che nascerebbe in teoria per appoggiarla, non è nuovo alla politica italiana. Questo spettro si chiama governo tecnico.

Alle tre e mezzo del pomeriggio, mentre i deputati sono impegnati a varare un provvedimento su cui hanno appena votato l’ennesima fiducia, a Montecitorio si diffonde rapida l’ultima agenzia che arriva dai mercati: «Lo spread ha toccato 200 punti base». Il differenziale tra i nostri titoli di Stato e quelli tedeschi è salito molto più rapidamente di quanto non avesse previsto, solo pochi giorni fa, Morgan Stanley. La banca d’affari scriveva, preoccupata, che di questo passo sarebbe potuto arrivare a 200 punti a dicembre. Sono bastati quattro giorni invece di tre mesi, segno che le fibrillazioni sono maggiori di quanto gli stessi investitori non avessero previsto.

La politica, però, era già sul pezzo. Orologio indietro, martedì mattina, funerali di Giorgio Napolitano: un capannello di deputati ricorda uno dei momenti più controversi della sua storia, quando diede vita al governo Monti sacrificando così anche il suo partito sull’altare dei tecnici. «Sta accadendo di nuovo», dice Andrea Orlando, «non lo vedete? Ed è per questo che cominciano a massacrare anche Elly. Loro due vanno insieme».

I segnali non sono pochi: cominciano il 6 settembre, con l’intervento di Mario Draghi sull’Economist: «All’Europa servono nuove regole e più sovranità condivisa». Non proprio miele, per le orecchie dei sovranisti. Continuano il 13, quando l’ex premier accetta dalla Commissione Ue l’incarico di delineare una strategia sul futuro della competitività europea. Poi il 16, quando arriva un incarico anche per Enrico Letta, tanto da far dire a Carlo Fidanza, plenipotenziario di Meloni in Europa: «Evidentemente in questo periodo gli ex premier italiani sono molto gettonati a Bruxelles». Ma a far scattare l’allarme rosso a Palazzo Chigi è l’editoriale del Financial Times del 18 settembre: il titolo è «La luna di miele è finita». E poi: «La legge di bilancio di Meloni metterà alla prova l’instabile relazione con gli investitori». È lì che comincia a scattare la retromarcia: sulle banche non si può tirare troppo la corda, e la tassa sugli extraprofitti viene rivista e di fatto neutralizzata. Gli attacchi al commissario europeo agli Affari Economici Paolo Gentiloni rientrano, da giornalieri che si erano fatti. Con le istituzioni europee e con i mercati non si scherza, si sta seduti bene a tavola. Meloni c’era, quando nel 2011 questo costò il governo a Silvio Berlusconi. «Quella lezione è stata imparata – dice il sottosegretario all’Economia Federico Freni – questo livello di spread è fisiologico, non c’è una maggioranza elettorale frastagliata, i fondamentali economici sono completamente diversi. Nel Conte 1, lo spread aveva toccato 300 punti». Solo che poi, appunto, il Conte 1 è caduto. Ma Claudio Borghi, al Senato, fa gli stessi identici ragionamenti, quelli circolati in queste ore nella Lega: «Quando siamo arrivati al governo lo spread era a 250, il momento a livello europeo è complicato, ma non siamo neanche lontanamente vicini alle condizioni del governo Berlusconi».

È vero. Ma questo non ferma la paura strisciante, e le contromosse nascenti. «Che questo spettro ci sia è provato dal fatto che Meloni lavora dal primo giorno affinché non si materializzi», dice in Transatlantico il deputato pd Matteo Orfini elencando le cautele: da quelle in economia ai buoni rapporti con l’amministrazione americana. Poi, certo, Meloni va da Orban a difendere Dio, ma quelle mosse – dice chi la conosce bene – nascono dal suo timore più grande: tradire sé stessa e la sua storia. Solo che, l’”irrituale” lettera a Scholz sulle Ong, la fuga di Piantedosi dalla riunione dei ministri Ue che di fatto ha bloccato il nuovo patto sulle migrazioni, il tira e molla sul Mes, sono tutti tasselli che formano un nuovo puzzle agli occhi di Europa e mercati. E sulla scatola si legge: “inaffidabilità”. Così si comincia a intravedere un cordone di sicurezza attorno all’Italia: Draghi, Letta, ma anche il governatore designato della Banca d’Italia Fabio Panetta. «Se ci fosse lui, non sarebbe necessario spaccare Fratelli d’Italia, la stessa Meloni potrebbe decidere di lasciar vivere un governo di larghe intese per poi lucrarci su elettoralmente altri dieci anni», ragiona un ex ministro. Tutto questo chiaramente in caso i dati economici e l’autunno caldo portassero il Paese a una situazione di estremo malessere. È un’ipotesi decisamente lontana, ma non vuol dire che non ci sia chi si prepara.

E a prepararsi, come sempre, è il Partito democratico. Che ha letto in questa chiave l’incontro accordato da Sergio Mattarella al commissario europeo dem Paolo Gentiloni lo scorso 21 settembre: un segnale all’Europa, lui ha l’appoggio italiano, nei giorni degli attacchi di Meloni e Salvini. Ma anche un segnale a premier e vicepremier: attenzione a destabilizzare, che poi a cercare un nuovo equilibrio è il capo dello Stato. L’ha già fatto una volta. E qui veniamo a Schlein, che ha capito – in queste ore – che l’operazione Arcipelago che le era stata presentata come un sostegno, potrebbe ribaltarsi in poco tempo nel suo contrario. All’incontro con il capo di Areadem Dario Franceschini sono stati chiamati i rappresentanti di tutte le correnti che hanno sostenuto Schlein al Congresso, tranne una: la sinistra di Andrea Orlando e Peppe Provenzano. Quella che ha detto chiaramente No all’agenda Draghi, e che davanti a un nuovo scenario direbbe: elezioni. A dire “al voto” sarebbe anche Schlein. Ma più grande è il “correntone” che dice di sostenerla, più forte il rischio che la butti giù, se lo schema cambiasse. A quel nascente correntone lei ha dato entrambi i capigruppo, di Camera e Senato. Mossa azzardata, che ora la preoccupa. «È un’operazione a doppio taglio», ha detto in queste ore. «Simul stabunt simul cadent», appunto. E anche per questo, l’idea di correre alle elezioni europee da capolista sfidando Giorgia Meloni, si fa sempre più concreta. Come fosse il primo tempo di una partita che entrambe vorrebbero giocare fino in fondo, scacciando la paura che qualcuno – o qualcosa – possa fischiare prima del tempo.

 

Meloni di Francesco Grignetti/  La Stampa, sabato 30 settembre

«Già si fanno i nomi dei ministri del governo tecnico, mi fa sorridere….». Eppure non sorrideva, Giorgia Meloni, ieri, a margine del vertice di Malta con i Paesi europei mediterranei. La premier ha letto con disappunto i giornali. Le preoccupazioni per lo spread che sale, non ultime quelle del presidente di Confindustria Carlo Bonomi. I consensi che scendono a fronte di un’impennata di sbarchi. Una Finanziaria in salita. I dissidi nella maggioranza. E le voci di un possibile governo tecnico che potrebbe sostituire il suo, qualora la situazione finanziaria precipitasse.

Insomma, gli ingredienti per un crisi di governo ci sono tutti. Così Giorgia Meloni ha voluto troncare sul nascere ogni ipotesi che il suo partito possa appoggiare un tecnico, anche e soprattutto di area. Lo fa con parole crude, affinché nessuno si illuda che possa cambiare idea: «La preoccupazione sullo spread la vedo solo nei desideri di chi immagina che un governo democraticamente eletto, che ha una maggioranza forte e che ha una solidità e sta facendo il suo lavoro, debba andare a casa per essere sostituito da un governo che nessuno ha scelto».

Nulla di nuovo, in fondo. Meloni avversò la nascita del governo Monti nel 2011. Di nuovo si è tenuta fuori dal governo Draghi nel 2021. Ha teorizzato che non avrebbe mai sostenuto un premier non eletto. Ora che potrebbe toccare a lei, è ancora più dura: «Ma il governo tecnico da chi dovrebbe essere sostenuto? Da quelli del Superbonus? È lì che vedo un problema per i conti pubblici italiani; non in chi le poche risorse che ha, le spende per metterle nei redditi più bassi. Senza lasciare voragini per chi viene dopo. Non vedo questo problema, vedo questa speranza da parte dei soliti noti».

E conclude: «Voglio tranquillizzare: il governo sta bene. La situazione è complessa, ma l’abbiamo maneggiata con serietà l’anno scorso e quest’anno. Lo spread che lanciate (rivolta ai giornalisti, ndr) come se fosse la fine del governo Meloni stava adesso a 192 punti, a ottobre scorso era a 250, e durante l’anno precedente al nuovo governo (riferendosi a Draghi, ndr) è stato più alto… E i titoli non li ho visti. So leggere la politica e so leggere la realtà: la sinistra continui a fare la lista dei ministri del governo tecnico, che noi intanto governiamo».

Lollobrigida/ di Virginia Piccolillo/ Corriere della sera, ieri

Ministro Francesco Lollobrigida, lo spread in salita, la Borsa in calo e l’irrigidirsi di posizioni estere allungano ombre sul governo?

«No. È il solito cinema».

Ma gli indicatori economici non vi preoccupano?

«Anche all’opposizione non abbiamo mai considerato questi indicatori per valutare la solidità di un governo».

Allora quali considerare?

«Dovrebbe essere sempre il giudizio dei cittadini a stabilirla. Ma anche volendo giocare a questo gioco bisogna dire la verità».

Ovvero?

«Lo spread è assai più basso di quando abbiamo iniziato a governare. E anche di valori raggiunti durante l’attività di esecutivi precedenti. E non mi ricordo all’epoca strilli o titoli che sottolineavano presunte impennate. Anche la Borsa segna una crescita eccezionale. Superiore ai valori pre crisi del 2008. Forse la migliore nella Ue. Dunque questo tifo spregiudicato di alcuni a descrivere una crisi economica e finanziaria insostenibile non corrisponde a realtà».

La premier denuncia manovre pro governo tecnico. «Paranoie», come dice il Pd?

«Tifosi della crisi anticipata sono scesi in campo dal giorno dopo l’insediamento del governo Meloni. Paventavano isolamento internazionale, violazioni dei diritti, economia allo sbando. Nulla si è verificato. E in realtà non c’è alcuna alternativa possibile. Alle amministrative, in Lombardia, nel Lazio, in Friuli-Venezia Giulia, in Molise abbiamo stravinto. Comunque una cosa è certa».

Quale?

«Dopo il governo Meloni, tra 4 anni o quando dovesse finire, ci saranno le elezioni».

Cosa intende?

«FdI, che in Parlamento è decisivo, non convergerà su alcun governo tecnico. O non uscito da un voto popolare».

Sulla lealtà degli alleati confidate?

«Ne siamo certi. Lo dimostrano i fatti, più delle dichiarazioni».

Alcune critiche di Salvini, o del suo inner circle, non vi sembrano sgambetti?

«Giudico gli atti. Non siamo un partito unico. E ciascuno ha il diritto di esprimere posizioni politiche, motivando gli elettori in vista del voto europeo che sarà con il sistema proporzionale. Ma su temi importanti come l’economia c’è piena sintonia perché tutti i leader sono nell’esecutivo – Meloni è premier, Salvini e Tajani sono vicepremier, Giorgetti ministro dell’Economia – e non si può più, come in passato, scaricare responsabilità sulle politiche del governo».

C’è sintonia anche a proposito del Ponte sullo Stretto?

«È un impegno che ha assunto il governo e Salvini in prima fila. Ma è un impegno di mandato».

Giorgetti lamenta una situazione più delicata del previsto. Preoccupato?

«La crisi è congiunturale e nessuno ne è esente. Ma al netto delle ragioni internazionali, dalla guerra in Ucraina ai colpi di Stato in Africa, noi subiamo l’effetto di superbonus e reddito di cittadinanza».

Giorgetti annuncia scelte difficili e privatizzazioni. Non eravate contrari?

«Sempre stati contrarissimi a privatizzare asset e reti strategiche. Ma favorevoli a un quadro sistemico con una compartecipazione dei privati in altre realtà economiche».

Ha dato vita al patto anti inflazione. Slogan o qualcosa di concreto?

«Se 32 realtà intermedie si accordano per ridurre il proprio margine su prodotti di un paniere è un segnale e qualcosa di concreto. Lo abbiamo visto con la carta “Dedicata a te”: è un sostegno per i più fragili, ma ha anche un effetto moltiplicatore garantito da sconti ai prodotti aggiunti da filiere e distribuzione».

Ma risale la benzina, perché non tagliate le accise?

«In un quadro futuro è un obiettivo. Ora aiutiamo i più deboli».

Sull’immigrazione, ora che la Francia si è ammorbidita, siete ai ferri corti con la Germania. Era necessario?

«In realtà c’è un dialogo in corso. Questo governo non ha un alleato del cuore, ma, sui singoli temi, guarda sempre all’interesse degli italiani per costruire coalizioni utili a difenderlo. Meloni ha avuto il merito di far tornare centrale l’Italia nell’imporre un’agenda di corresponsabilizzazione. E adesso la gran parte degli Stati europei sono con noi per convincere la Germania ad avere un atteggiamento più solidale e coerente».

Sulle ong non lo è?

«In questi giorni la Germania sta abolendo il finanziamento pubblico ai partiti, ma i Verdi che propongono di finanziare le ong ricevono contributi proprio dalle ong».

La premier ha detto che non si fa la solidarietà con i confini degli altri. Perché?

«Perché proprio mentre la Germania difende le attività delle ong che portano gli immigrati in Italia, irrigidisce il controllo alle frontiere sostenendo di avere difficoltà a continuare ad accoglierli».

I pescatori di Lampedusa si appellano a lei perché nelle reti trovano resti dei migranti: se li portano a terra la burocrazia blocca loro le navi.

«Me ne occuperò immediatamente. Per ragioni umanitarie: il diritto delle famiglie delle vittime ad avere notizie dei loro cari, annegati. Ma anche per dare la possibilità a chi, per pietas umana, si fa carico di riportare a terra ciò che può consentire a un familiare un tragico riconoscimento, di non subire un danno di natura economica».

Ha assunto un dirigente Coldiretti, associazione amica di FdI. Conflitto di interesse?

«La Coldiretti è un sindacato. Lui era arrivato lì dal ministero. Era capo di gabinetto del ministro Bellanova. Trasparenza e onestà per me sono una precondizione. Da che sono ministro non ricevo mai critiche nel merito: ma su amicizie, parentele, frasi riportate male».

Anche quella sul vino che fa bene allo sport?

«Certamente. Ho auspicato che uno dei nostri settori più ricchi sostenga l’attività sportiva con sponsorizzazioni sempre maggiori come già avviene nel ciclismo, nell’automobilismo e nella vela. Altra cosa è consigliare di bere alcol durante lo sport».

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