*Autonomia differenziata e referendum: bluff politico o giuridico?*
di Vincenzo D’Anna*
In questi giorni di calura si discute di politica sotto gli ombrelloni. Il tema dominante è certamente quello dell’annunciato referendum abrogativo della legge sull’Autonomia differenziata. Una norma che consente allo Stato di trasferire ulteriori competenze alle Regioni su materie che attualmente sono materia “concorrente” tra governo ed enti locali. La questione è complessa da trattare in questa sede. Sceglieremo quindi di preferire la sintesi alla completezza, perché quel che qui ci interessa è rendere i lettori maggiormente edotti sull’argomento. Innanzitutto, al di là dei clamori di stampa, delle dichiarazioni che ci vengono propinate nei pastoni giornalistici dei vari telegiornali, con interviste a questo o a quel rappresentante politico, c’è da rendere evidente che la consultazione elettorale potrebbe anche non tenersi affatto!! Che la raccolta di firme, puntualmente esaltata per il cospicuo numero delle medesime già apposte dai cittadini, potrebbe rimanere fine a se stessa e trasformarsi in una mera dichiarazione di volontà. Secondo esimi giuristi, mai comparsi in tv, la legge approvata dal Parlamento non può essere, infatti abrogata, almeno non per intero. Vale la pena ricordare che non si tratta di legge costituzionale, bensì di legge ordinaria, coerente con la Costituzione vigente. Essa, pertanto, non ha bisogno di referendum confermativo essendo già vigente. Peraltro gli articoli inerenti l’autonomia differenziata sono intimamente connessi e ricompresi nell’atto che ha approvato, con altri articoli, anche il Bilancio dello Stato. La Costituzione così recita: “Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”. Quindi la Corte Costituzionale potrebbe tranquillamente non ammettere il referendum abrogativo, ripeto, chiesto per l’intera legge e quindi contenente materia di bilancio. Ci sarebbe poi il fattore tempo da considerare. La legge, come detto, è vigente e le Regioni più pronte ed interessate (Lombardia e Veneto) certamente l’applicheranno nel giro di un paio d’anni a pronuncia avvenuta da parte della Consulta. Volendo essere pignoli, al massimo il quesito referendario dovrebbe essere cambiato in: “Volete restituire allo Stato centrale le competenze che oggi sono della vostra Regione?”. Insomma le classiche porte chiuse dopo che sono entrati i ladri. Ed è a questa tempistica che l’astuto e cinico Calderoli si affida, ed a nulla varranno i montanti compensativi che Fratelli d’Italia e Forza Italia hanno chiesto ed imposto alla Lega. La compensazione sarebbe il premierato, ossia l’elezione diretta del capo del governo e l’aumento dei suoi poteri, per arginare la maggiore forza concessa all’autonomia delle Regioni del Nord. Tuttavia anche questi conti sono sbagliati perché la legge sul premierato è di tipo costituzionale. Cambiando essa gli articoli della Magna Carta l’atto è soggetto a quattro letture in parlamento, due alla Camera e due al Senato, con una lasso di tempo di sei mesi l’una dall’altra. Nulla lascia prevedere che la legge costituzionale venga approvata con la richiesta maggioranza dei voti qualificata e quindi andrà soggetta a referendum confermativo. Il che significa altri due/tre anni da aggiungere al computo, qualora essa venisse confermata dagli elettori. Nella più rosea delle previsioni e con il non scontato consenso popolare, il premierato potrà vedere la luce tra un lustro. Nel contempo? Ci troveremo le Regioni che a pieno titolo già legiferano e si organizzano nelle nuove materie loro delegate, ossia innanzi ad una Repubblica Federale già costituita ed operante. Insomma il disegno leghista si realizzerebbe a causa dell’occorrente tempistica parlamentare. Come uscirne senza traumi per la coesione nazionale, per l’equità e l’effettiva, uniforme, efficace erogazione dei Livelli Essenziali di Prestazioni (LEP) ai cittadini di Aosta e di Marsala? Visto come si erogano i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) in sanità è più un illusorio miraggio che una concreta speranza. Ed allora, a ben vedere, non resta che il più classico dei ricorsi alla furbizia levantina dei politici italiani. Quale? Semplicemente accantonare la definizione dei LEP e della copertura finanziaria occorrente, ossia la determinazione del fondo economico perequativo nazionale e rallentare in tal modo il trasferimento delle competenze ulteriori alle regioni. Una situazione di tal fatta già capita da tempo per talune attribuzioni rimaste sulla carta. Sono 23 le materie da delocalizzare in base alla Legge Calderoli, ma per 14 di esse la norma non è ancora entrata in vigore, dovendosi definire i relativi atti e le procedure. Insomma bisogna immaginare un futuro fatto di ritardi e di tranelli parlamentari. La doppiezza e non la bellezza ci salverà.
*già parlamentare