“Ho scelto la libertà sull’impossibilità di ottenere giustizia. Voglio essere totalmente chiaro. Non sono libero oggi perché il sistema ha funzionato. Sono libero oggi perché dopo anni di carcere mi sono dichiarato colpevole di giornalismo“. Il fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, parla per la prima volta in pubblico da quando è stato liberato alla fine del giugno scorso dopo aver trascorso gli ultimi quattordici anni nell’ambasciata ecuadoriana a Londra e poi detenuto nel carcere britannico di alta sicurezza di Belmarsh. La sua testimonianza davanti alla commissione affari giuridici e i diritti umani dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa comincia proprio da quel momento: da quando il padre di Wikileaks si è dovuto dichiarare “colpevole di cospirazione per ottenere e diffondere informazioni sulla difesa nazionale”. L’unico modo per il 52enne Assange per mettere fine al suo calvario giudiziario. Un patteggiamento che ha messo fine alla sua detenzione ma che rappresenta anche un punto di non ritorno: “Vedo più impunità, più segretezza, più rappresaglie per aver detto la verità, e più autocensura. E’ difficile non tracciare una linea tra il governo degli Stati Uniti che attraversa il Rubicone criminalizzando a livello internazionale il giornalismo e il freddo clima attuale per la libertà di espressione“.
L’intervento di Assange è legato al rapporto preparato della socialista islandese Thorhildur Sunna Aevarsdottir, che l’assemblea discuterà e voterà domani 2 ottobre, proprio sulla sua detenzione e condanna. Ma soprattutto sull’effetto dissuasivo e di autocensura che la vicenda Assange ha su tutti i giornalisti, gli editori e altri soggetti che riferiscono su questioni essenziali per il funzionamento di una società democratica. “La libertà di espressione e tutto ciò che ne consegue si trovano a un bivio oscuro. Temo che, a meno che istituzioni che stabiliscono norme come il Consiglio d’Europa non si sveglino di fronte alla gravità della situazione, sarà troppo tardi“, è il monito di Assange. Il padre di Wikileaks aggiunge: “Se l’Europa vuole avere un futuro in cui la libertà di parola e la libertà di pubblicare la verità non siano privilegi riservati a pochi ma diritti garantiti a tutti, allora deve agire in modo che ciò che è accaduto nel mio caso non accada mai a nessun altro”. Assange chiede a tutti di fare la propria parte “per garantire che la luce della libertà non si affievolisca mai, che la ricerca della verità continui a vivere e che le voci di molti non vengano messe a tacere dagli interessi di pochi”.
“Ora la giustizia per me è preclusa poiché il governo degli Stati Uniti ha insistito per iscritto nel suo patteggiamento che non posso presentare un caso alla Corte europea per i diritti dell’uomo o anche una richiesta di legge sulla libertà di informazione per ciò che mi è stato fatto a seguito della richiesta di estradizione“, sottolinea Assange. Che poi dice: “Gli europei devono obbedire alla legge sullo spionaggio degli Stati Uniti“. Il suo caso, spiega il fondatore di WikiLeaks, ha aperto la porta alla possibilità che qualsiasi grande Stato possa perseguire i giornalisti in Europa. “Se le cose non cambiano, nulla impedirà che quanto è accaduto a me accada di nuovo“, avverte ancora Assange. “La questione fondamentale è semplice: i giornalisti non dovrebbero essere perseguiti per aver svolto il loro lavoro. Il giornalismo non è un crimine. È un pilastro di una società libera e informata”.
“Tutti i giornalisti devono essere degli attivisti per la verità“, prosegue Assange rispondendo alle domande dei parlamentari del Consiglio d’Europa. “A volte si discute sul fatto che una persona sia un giornalista o un attivista. Per me la chiave è essere sempre accurati“, sottolinea il fondatore di Wikileaks, evidenziando l’importanza di “restare uniti per far fronte alle minacce alla libertà di stampa“. “La mia ingenuità è stata credere nella legge. Quando si arriva al dunque, le leggi sono solo pezzi di carta e possono essere reinterpretate per convenienza politica”, dice Assange rispondendo ad un’altra domanda. Le leggi “sono le regole stabilite dalla classe dirigente in senso più ampio e se quelle regole non si adattano a ciò che vuole fare, le reinterpreta o le cambia. Nel caso degli Stati Uniti, abbiamo fatto arrabbiare uno dei poteri costituenti: l’intelligence” che è “abbastanza potente da spingere per una reinterpretazione della Costituzione“, osserva il fondatore di WikiLeaks. “Penso che questa sia una lezione importante – aggiunge – quando una fazione di potere importante vuole reinterpretare la legge può spingere una parte dello Stato, in questo caso il Dipartimento di giustizia degli Stati Uniti, a farlo. Non curandosi troppo di ciò che è legale“.