Grillo dice sì a Draghi e lo avverte: “Attento a Renzi che frega tutti”
di Luca De Carolis e Paola Zanca | 7 FEBBRAIO 2021
Ha dovuto cedere alla sobrietà della mascherina bianca, unica concessione stilistica – lui che se n’è fatta confezionare perfino una a sua immagine e somiglianza – al solenne incontro con Mario Draghi. Per il resto, Beppe Grillo, seduto al tavolo delle consultazioni con il presidente del Consiglio incaricato, che qualche anno fa voleva mandare a processo per Mps, non rinuncia a fare Beppe Grillo. E va lungo, come al solito, senza lesinare consigli all’ex capo della Bce, che gli sta chiedendo aiuto: “Attento, quello della politica è un ambientaccio”. Poi scende nei dettagli e fa nomi e cognomi: “Di Matteo Renzi non c’è da fidarsi, sia cauto”. Infine parte in quarta, con i punti che ha anticipato sul suo blog annunciando che “le fragole sono mature”. Cinque priorità, salite a dieci dopo l’incontro a Montecitorio, che spaziano dagli aiuti ai diciottenni che non studiano e non lavorano alla nascita di nuovi ministeri, come quello della Transizione ecologica.
“In alto i profili”, lo intitola Grillo, parafrasando lo slogan “in alto i cuori” con cui per anni lui e i Cinque Stelle hanno chiuso i loro post (attirandosi pure le critiche di quelli a cui, più che la liturgia cattolica, quel motto ricordava una marcia dell’estrema destra). Ecco, adesso più che alle mozioni dei sentimenti, il Movimento dell’uno vale uno pensa ai “profili”. E in testa Grillo ne ha in particolare uno, quel Giuseppe Conte di cui ha stima e fiducia e che “ci ha fatto portare a casa le nostre riforme”. Non vuole perderlo, Beppe. E per lui si inventa il ministero del Recovery, ritenendo che tocchi a lui – che “quei soldi ce li a fatti prendere” – seguire la trattativa con i ministeri e con l’Europa.
Lo propone anche a Draghi, nel colloquio di quasi un’ora e mezza, ieri mattina. Dove, al contrario, non fa cenno all’annosa questione del “perimetro” che il sostegno parlamentare a Draghi dovrà avere. Per Grillo – esclusa la manifesta ostilità contro Renzi, riassunta nell’avvertimento a Draghi – la presenza di pezzi del centrodestra non è un ostacolo alla nascita del nuovo governo. Diverso invece il ragionamento dei 5Stelle, che di certo hanno una visione del campo un po’ meno naïf: “Se al governo si va da LeU a Salvini, che decisioni vuoi mai riuscire a prendere?”. Per questo – quando Grillo ha già lasciato Montecitorio e Vito Crimi deve presentarsi con i capigruppo davanti ai giornalisti – l’espressione “maggioranza politica” sostituisce il mantra del “governo politico” a cui si erano affidati nei giorni scorsi: non basta insomma che i partiti esprimano ministri dentro l’esecutivo, ma serve pure che ci sia una certa omogeneità d’intenti al loro interno. Il nodo non è ancora sciolto: o meglio, sarà nel secondo giro di consultazioni che inizia domani che si comincerà a discutere di “cosa fare” e soprattutto “con chi”. Quello del Movimento, dunque, sarebbe un “sì condizionato”, una “apertura con riserva”, anche se al momento nessuno si assume la responsabilità di dire che, se ci sono Renzi e Salvini, loro non entreranno. Anzi, ragionano, la presenza della Lega potrebbe paradossalmente “diluire” il peso dei renziani, vero nemico del M5S. Però è tutto maledettamente difficile. Anche il rapporto con il Pd. Perché le indiscrezioni di giornata sui dem indecisi se virare sull’appoggio esterno a diversi maggiorenti del Movimento sono parse una mossa tattica. “Volevano stanarci, vedere come avremmo reagito”. E comunque c’è il malessere di chi resterà fuori anche se il governo dovesse partire, cioè quasi tutti. Evidente ieri a Montecitorio. Grillo sa tutto.
Ieri ha ideato il pre-vertice prima delle consultazioni proprio per vedere le richieste di incontro. Si era messo in fila anche Davide Casaleggio, che doveva ripartire da Roma venerdì sera. Grillo lo ha fatto venire alla Camera assieme a Enrica Sabatini, dell’associazione Rousseau, e sono stati altri mal di pancia. Proprio per schivare gli sfogatoi, il Garante ha lasciato la Camera subito dopo l’incontro con Draghi, dentro un’auto. Ma l’onda di proteste e paure lo seguirà. Ovunque.
FONTE:
Il Pd ora scende dalla Sea Watch e trangugia Salvini: “È cambiato”
Coro di sì – I Dem accettano la Lega e aggirano gli imbarazzi: “Se si scoprono europeisti facciamo come col figliol prodigo”
di Lorenzo Giarelli | 7 FEBBRAIO 2021
Sul profilo Twitter dell’onorevole Alessia Morani il post in evidenza, in alto nella pagina, è del 3 agosto 2019. C’è un video di Matteo Salvini a petto nudo tra le cubiste del Papeete, accompagnato dal commento della deputata dem: “Da Milano Marittima è tutto”. Subito dopo, scorrendo verso il basso la pagina, ecco invece il tweet di ieri della Morani, ancora riferito al fu Capitano: “La svolta europeista per me è una buona notizia”.
Sta tutto nel giro di questi pochi pixel la terapia di gruppo del Partito democratico, che si è convinto a trangugiare la Lega in maggioranza pur di non tradire l’appello del presidente Sergio Mattarella, che ha auspicato una larga convergenza su Mario Draghi. Il tutto dopo anni di accuse, insulti, “mai coi sovranisti” e pure qualche protesta più appariscente delle altre, come quando alcuni esponenti dem salirono a bordo della nave Sea Watch insieme a Carola Rackete in polemica con la politica dei porti chiusi di Matteo Salvini. Una vicenda per cui il Pd ha votato pure per mandare a processo Salvini.
Ma la linea del partito, adesso, è proprio quella esplicitata dalla Morani: non siamo noi ad allearci coi leghisti, è la Lega che ha cambiato idea e si unisce a noi democratici nel sostegno a Draghi. Comunque la si veda, significa la caduta di un veto ideologico e politico – almeno a dispetto delle dichiarazioni del passato – che oggi resiste solo in LeU, tanto che l’altro giorno la senatrice Loredana De Petris, al termine del colloquio con Draghi, ha definito “incompatibili” il suo gruppo e il Carroccio.
Posizione che al Fatto ribadisce Nicola Fratoianni, uno di quelli a bordo della Sea Watch: “Continuo a pensare quello che ho detto nei giorni scorsi e cioè che siamo incompatibili con la presenza di Salvini al governo”. Con lui, nelle notti all’addiaccio, c’era tra gli altri il dem Matteo Orfini, tra i più spietati anti-leghisti ai tempi del governo gialloverde (e non solo). Oggi però Orfini preferisce glissare con una battuta: “Sto dicendo di no a tutte le richieste di intervista, parla solo la delegazione trattante. Noi comunisti siamo abituati così!”. La Ditta è la Ditta e allora anche l’eventuale dissenso, per il momento, resta latente. Graziano Delrio, un altro degli attivisti della Sea Watch, ha già detto e ridetto che per lui la Lega non è un problema: “Noi non siamo nelle condizioni di porre veti a nessuno, ma solo di imporre dei problemi di principio”. E pensare che ieri, a metà giornata, il dubbio a qualcuno viene. Le agenzie fanno filtrare malumori in casa dem, tanto che – riferiscono – il Pd potrebbe valutare l’appoggio esterno a Draghi per non ritrovarsi gomito a gomito con la Lega. Nel giro di cinque minuti, però, arriva la sdegnata smentita del partito: “Sono totalmente infondate le notizie su orientamenti assunti su un eventuale appoggio esterno al governo. La posizione del Pd è stata voltata alla direzione all’unanimità e illustrata al professore Draghi”.
Si torna a Delrio, allora: ben venga Salvini, tanto poi si farà come dice il Pd. Una linea simile a quella sostenuta da Riccardo Magi, radicale che ha partecipato alle consultazioni insieme ad Azione confermando il Sì a Draghi “senza condizioni“: “Come mi pongo rispetto alle politiche di Salvini è noto. Ma sono certo che non sarà questo il governo che le restaurerà, anche se lui può dire quello che vuole per la sua propaganda”. Imbarazzi? “Di motivi di imbarazzo ce ne è per tutti, perché questo è un governo che nasce sull’appello del presidente della Repubblica ed è normale ritrovarsi con partiti diversi”.
E allora ecco il Sì anche dell’onorevole Stefano Ceccanti: “Non è che faccio buon viso a cattivo gioco, qui il gioco è buono. C’è Draghi e a noi va benissimo, se qualcuno si converte all’europeismo noi lo accogliamo come fosse il figliol prodigo”. Lia Quartapelle, altra anti-sovranista orgogliosa, segue a ruota: “A me non sembra un problema se la Lega è in maggioranza, ma semmai è una vittoria nostra e del Paese se Salvini torna indietro rispetto alle sue posizioni sovraniste. Sarà un problema loro giustificare ai loro elettori perché, dopo aver fatto una campagna terroristica contro l’Ue, hanno cambiato idea”.
Alle fanfare si uniscono nomi di peso come Andrea Orlando (“Un primo effetto l’incarico a Draghi l’ha avuto: Salvini è diventato europeista”) e il capogruppo in Senato Andrea Marcucci: “Se la Lega cambia idea, diventa europeista e capisce che ha sbagliato per anni, meglio per tutti”. Su SkyTg24 è il turno del deputato Matteo Mauri: “La questione della Lega al governo non è un problema del Pd, ma è un problema di coerenza della Lega, che era contro l’Europa, voleva uscire dall’euro, è alleata con gli antieuropeisti di Orban e con la Le Pen”.
Un modo per fingere che davvero adesso Salvini e i suoi porteranno il santino di Alcide De Gasperi a ogni Consiglio dei ministri, disinnescando così i parecchi malumori che invece dentro al Pd ci sono eccome. Non tutti infatti sono convinti che basti far finta che Salvini sia cambiato per digerirlo in maggioranza senza neanche un ruttino, come peraltro testimoniano centinaia di commenti sui profili social del Pd.Monica Cirinnà, una delle esponenti dem più attive sui diritti civili, taglia corto: “Si figuri cosa posso pensare di un governo con Salvini”. Gianni Cuperlo ne ha parlato al Riformista nei giorni scorsi: “Non possiamo dar vita a una maggioranza che dovesse dipendere dalle forze sovraniste”; anche se poi, forse per lo stesso principio richiamato da Orfini, scuola comunista come lui, si accoda alla linea dei vertici senza polemiche: “Mi attengo alla indicazione della direzione Pd”. Pierfrancesco Majorino, eurodeputato dem, confida invece i propri malumori a Radio Popolare: “Penso che si debba dire di no a Salvini ed evitare questo abbraccio mortale”. Enrico Rossi, già governatore della Toscana, è netto: “A mio avviso, la Lega non è adatta a partecipare ad un governo che ha come scopo fondamentale di mantenere il rapporto con l’Europa e di utilizzare bene le risorse del Recovery Fund. Dobbiamo fare un governo europeista e serio che non può avere al suo interno i sovranisti antieuropeisti”.
Alla vicepresidente dem Debora Serracchiani, pur fedele alla direzione decisa dal partito, viene almeno un apprezzabile dubbio: “Prima viene la salvezza degli italiani e questa dev’essere la nostra stella polare, senza riserve. Ma il contributo sincero e disinteressato del Pd non fa velo alla memoria e al bisogno di chiarezza. Oggi Salvini ha deciso di dare fiducia al salvatore dell’Europa Mario Draghi, dopo aver propugnato per anni il sovranismo contro l’Europa. Vedremo se la sua conversione sarà sincera e duratura, o tattica e condizionata”.
Ma la narrazione dominante – una volta al Nazareno si dicevo “lo storytelling” – è un treno già in corsa e nessuno riesce più a fermarlo: avanti leghisti, c’è posto, basta che facciate piano.
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Nuovo Devoto-Draghi
di Marco Travaglio | 7 FEBBRAIO 2021
Ammucchiata. Classica definizione per un governo che mettesse insieme destra, centro e sinistra, europeisti e antieuropeisti, flat tax e patrimoniale, porti chiusi e aperti, un nove volte prescritto e gli abolitori della prescrizione, un corruttore seriale e gli autori della Spazzacorrotti, un frodatore fiscale e i fautori delle manette agli evasori, propugnatori dei sussidi e avversari del Sussidistan, Confindustria e quelli del Reddito di cittadinanza-salario minimo-decreto Dignità, autori dei Dpcm e nemici dei Dpcm, partigiani anti-dittatura sanitaria e dittatori sanitari, “chiudere tutto” e “riaprire tutto”, ambientalisti e cementificatori, Greta e Attila, No Triv e trivellatori, No Tav e partito dei cantieri, antimafia e Dell’Utri-Costantino-Giggino ’a Purpetta. Ma ora si chiama “unità nazionale” e “salute pubblica”. Draghi è come Dash: lava più bianco.
Bibitaro. Luigi Di Maio prima dell’avvento di Draghi. Ora invece è “il ministro che ha svolto un lavoro di raccordo proficuo nel preparare un governo Draghi spesso sfuggito ai media” (Gianni Riotta). Quindi non erano bibite: era Dom Pérignon Rosé Vintage 2000.
Compravendita. Se a Conte mancano quattro voti al Senato per la maggioranza assoluta dopo la fiducia di tutto il Parlamento e spera in quattro voltagabbana spaventati dalle urne, è “compravendita”. Se Draghi trova interi partiti voltagabbana spaventati dalle urne per far nascere il suo governo, è “salvare il Paese”.
Crisi. Se un governo lavora meglio del resto dell’Ue su Covid, vaccini e scuola, strappa 209 miliardi di Recovery e poi viene fatto esplodere da un kamikaze col 2%, la colpa non è del kamikaze col 2%: è del governo fatto esplodere, cioè delle vittime. E si chiama “fallimento di Conte” e “crisi di sistema” (Cacciari&Giannini).
Faccia (ci mettiamo la). Espressione salviniana che sta per “mettiamo il culo su un paio di poltrone perché abbiamo la faccia come il medesimo”.
Fascisti, antieuropei, populisti, razzisti, sovranisti. Sono la Lega e FdI secondo il Pd, LeU, Iv e Stampubblica. Ma se vanno con Draghi, scatta l’amnistia: “In 24 ore Salvini è diventato europeista!” (Orlando). Non è la sinistra che deve vergognarsi di governare con lui: è lui che è diventato buono. Ora può salire sulla nave di Carola a prendere il sole con Delrio, Orfini, Fratoianni e Faraone. Fino al prossimo sbarco.
Generali. “Non si cambiano i generali in guerra”, disse sette giorni fa Mattarella. Ora li cambia tutti: o la guerra è finita, o “i tedeschi si sono alleati con gli americani” (Sordi, La grande guerra).
Incoerenza. Pd e LeU che dicono “mai con Salvini” e poi ci vanno. Il M5S che dice “mai con B.” e poi ci va (e viceversa).
La Lega che dice “mai con Pd e M5S” e poi ci va. Tutti classici modelli di incoerenza. Ma non se c’è Draghi. “Che populisti nazionalisti di M5S e Lega maturino verso posizioni raziocinanti, progressiste, europee è un bene per il Paese. Maturare è la miglior virtù in politica, pessimo intignare negli errori per falsa ‘coerenza’. Non irrideteli, ma spronateli sulla giusta strada” (Riotta). La libera stampa è pregata di sostituire “incoerenza” con “falsa coerenza”, “bene per il Paese”, “virtù”, “giusta strada”.
Incompetenti. Tutti i ministri dei governi non-Draghi. Ma, se gli stessi emigrano nel governo Draghi, diventano premi Nobel ad honorem. Per contagio.
Migliori (governo dei). Il segnale convenuto sarà Giggino ’a Purpetta che fa la dichiarazione di voto per la fiducia a Draghi.
Mes. Prima a non volerlo erano quei puzzoni di Conte, 5S, Lega e FdI (oltre a tutta l’Ue). Ora pare non lo chieda neppure Draghi. Ma il suo modo di non chiederlo è ben diverso da quello degli altri: un no europeista, molto tecnico.
Paletti. Avete più sentito parlare di prescrizione, Servizi, Mes, Ponte, task force, 4 ministeri, Boschi, Bellanova, via Gualtieri, Bonafede, Azzolina, Arcuri, Tridico, Parisi, Benassi? Ecco, appunto.
Programmi. Un tempo si diceva: prima i programmi, poi le formule e i nomi. Errore, prendere nota: prima i nomi e le formule, poi i programmi, se resta tempo.
Ritardi. Se Iv dal 5 dicembre a oggi blocca il Recovery Plan da presentare il 30 aprile, “Conte è in ritardo col Recovery”. Se le consultazioni di Draghi vanno a rilento per due o tre giri e il Recovery Plan non se lo fila nessuno, niente fretta. Anzi, siamo in anticipo.
Spread. Conte lo ereditò a 237 punti (1.6.2018) e lo lascia a 105 (3.2.2021), ma nessuno se ne accorse. Con Draghi è sceso da 105 a 98 e tutti gridano al miracolo (“Spread verso quota 50”, arrotondando un po’). Il famoso spread intermittente.
Trasformismo. Se Conte e i 5Stelle governano prima con la Lega e poi con Pd e LeU, è “trasformismo”. Se Draghi governa contemporaneamente con 5Stelle, Lega, Pd e LeU, è “coesione”.
Vulnus democratico. Sinonimo di Conte, reo di essersi confrontato col Parlamento 37 volte in 16 mesi e di aver fatto il Recovery Plan in 19 riunioni fra i ministri. Ma ora, con un governo nato sul Colle all’insaputa del Parlamento e un premier mai indicato da alcun partito, da appoggiare al buio, “prendere o lasciare”, il vulnus è sanato.
Zingaretti. Segretario del Pd inviso ai Saviano e alle Concite in quanto troppo destrorso, sbiadito, “ologramma” perché stava con i putribondi Conte&5Stelle anziché con Enrico Berlinguer. Invece, ora che governa pure con Salvini, è Che Guevara.
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