sabato, 15 Marzo 2025
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IL MEGLIO E IL PEGGIO DAI GIORNALI DI OGGI

Tutti “neri” e composti: il giuramento come un Cda

Tutti “neri” e composti: il giuramento come un Cda

di  | 14 FEBBRAIO 2021

Mario Draghi presta giuramento tre minuti prima delle dodici e l’anticipo sigilla – per gli ottimisti – il nuovo tempo che incombe. Nel salone delle feste del Quirinale, prima fila distanziata, ricompare però il trio Brunetta-Gelmini-Carfagna. Era dai tempi di Silvio unto del Signore che non facevano più gruppo assieme, ma l’esecutivo di salvezza nazionale, o anche dei “migliori”, ha dovuto subire, per via della forza gravitazionale della politica, un cambio di moto. Quindi il nuovo tempo si è fatto vecchio, e il cambio di guardia ha subìto inaspettati innesti.Questo non vuol dire che delle novità e anche rilevanti non ci siano state. Le mascherine, per la prima volta purtroppo a infierire sui volti, hanno coperto ogni segno di imbarazzo come di euforia, e il rito, efficientista nel tono e anche nella scenografia che non ha ammesso padri e madri e fratelli e mogli e figli al seguito dei neo ministri, ha attutito di molto il segno della festa e dato ritmo al cambio di passo. Ci è sembrato di notare che solo Luigi Di Maio, autore di una bella tripletta ministeriale, fosse assai sollevato nell’umore tanto da essere l’unico vispo nella compagine che origina dall’emergenza e dunque risulta virtuosa per principio. Cosicché, per esempio, sette delle otto ministre si sono presentate in tailleur con pantalone nero, e parevano tutte provenienti da Francoforte, dove ha sede la Bce, a confermare un già risolto clima tecnocratico dell’esecutivo. “Ho trovato tanta bella gente”, ha detto Patrizio Bianchi, più sciolto dei colleghi, economista e accademico di gran corso alla guida dell’Istruzione. Proprio Bianchi è il segno vivente che il tempo è cambiato. Ha saputo solo la sera precedente della nomina: “L’ho imparato ieri sera”, ha detto. È certo che il professore abbia voluto intenzionalmente incespicare nell’italiano e infatti nessuno ha obiettato perché questo resta pur sempre il governo dei migliori.La cerimonia, comprensiva della foto di gruppo, è stata rapida, come succede nei consigli di amministrazione. I grillini, che tre anni fa avevano raggiunto il Colle in pulmino e facendo una gran caciara, ora ne sono ridiscesi compostamente e silenziosamente nelle auto di servizio. La delegazione cinquestelle, in blu con lievi approssimazioni verso l’azzurro, aveva appena confermato davanti a Mattarella il timbro neo-efficientista della squadra. Tanto che Stefano Patuanelli, uno dei quattro salvati dalla selezione draghiana, si è presentato al tavolo del giuramento da neo ministro dell’Agricoltura recitando a memoria l’articolo della Costituzione. Solo Elena Bonetti, la renziana che un mese dopo aver fatto gli scatoloni si trova a doverli riaprire e ritornare nel luogo esatto dell’abbandono, lo ha imitato. Gli altri hanno letto. L’unico col trolley Vittorio Colao, anche l’unico a mettersi sull’attenti (per via della naja fatta come ufficiale dei carabinieri) al momento di giurare. I tre leghisti (Giorgetti, Garavaglia e Stefani) enormemente riflessivi. L’unica con le scarpe tigrate Fabiana Dadone, la più giovane del gruppo (37 anni contro un’età media di 55) destinata per competenza alle politiche giovanili. Nota trasgressiva proveniente da sinistra: due cravatte rosse, una delle quali indossata da Andrea Orlando, delegato al Lavoro.Nessuno ha incespicato, due hanno salutato con la mano sul cuore. Uno solo, Roberto Cingolani, il fisico chiamato a guidare il neonato ministero della Transizione ecologica, è risultato essere nel cuore di due partiti e dunque, oggettivamente, in una sorta di comproprietà. Infatti mentre su Facebook i grillini lo chiamavano “il nostro Elon Musk”, Matteo Renzi scriveva dell’antica amicizia che lo lega. Cingolani – colpito da tanto affetto – è rimasto in silenzio e amen.Quando tutto è finito, nemmeno un’ora dopo, e a Roma si respirava una bella aria di neve, la Volkswagen station wagon di Draghi ha raggiunto palazzo Chigi. Lo aspettavano Giuseppe Conte e la campanella per lo scambio di rito. Due minuti e nessun segno di emozione. Conte ha girato i tacchi e ha trovato la compagna Olivia Palladino ad attenderlo nel cortile. Fanfara di saluto, ma anche gli imprevisti applausi dei dipendenti alle finestre. E così – almeno per quel battimani – il tempo vecchio gli sarà parso nuovo. Poi però ad aspettarlo al cancello non più l’Audi presidenziale ma un’Alfa modestuccia e i lucciconi di Rocco Casalino.

l governo Dragarella

di  | 14 FEBBRAIO 2021

Siccome ogni Restaurazione ha i suoi rituali, non avrebbe guastato se il governo Dragarella avesse giurato in uniforme da Congresso di Vienna: parrucche imbiancate con codini e fiocchi neri, volti incipriati e impomatati, marsine a coda, culotte, scarpe a punta. Invece i nuovi (si fa per dire) ministri erano tutti in borghese, per non farsi riconoscere. Avevamo promesso un giudizio sul governo quando ne avessimo visti i ministri (per il programma c’è tempo: uscirà dal cilindro di Super Mario un minuto prima della fiducia, o forse dopo, fa lo stesso: è il ritorno della democrazia dopo la feroce dittatura contiana, come direbbe Sabino Cassese). E il momento è arrivato.

Ministri. Il bottino di 209 miliardi del Recovery se lo pappano il premier, il suo amico Giorgetti (Mise) e i suoi tecnici, cioè gli uomini delle lobby: Franco (Mef e Bankitalia), Cingolani (renzian-leopoldino di Leonardo- Finmeccanica che Grillo ha scambiato per grillino) e Colao (Morgan Stanley, McKinsey, Omnitel, Vodafone, Rcs, Unilever, Verizon, con breve parentesi di incompetenza quando lo chiamò Conte per il piano-fuffa Fase-2 e ora tornato il genio di prima); più Giovannini (ottimo prof di statistica alle Infrastrutture). Del resto Draghi se ne infischia e lascia pasturare i partiti con i loro nanerottoli, scelti aumma aumma dai Quirinal Men: so’ criature.

Pandemia. Speranza resta alla Salute, per la gioia di Salvini e dei teorici della “dittatura sanitaria” e del “riaprire tutto”. Ma arriva la Gelmini alle Regioni al posto di Boccia, protagonista di epici scontri con gli sgovernatori. Sarà uno spasso vederla genuflessa alle loro mattane. Al suo fianco, come viceministro, vedremmo bene Bertolaso. E, commissario al posto di Arcuri, troppo efficiente sui vaccini, il mitico Gallera: era stanco, ma si sarà riposato.

Discontinuità. Undici ministri, la metà del governo Draghi, vengono dal Conte-2: i 9 confermati più Colao più il neotitolare dell’Istruzione Bianchi, capo della task force dell’Azzolina per la scuola (tecnico del congiuntivo, dice “speriamo che faremo bene”, ma non è grillino, quindi è licenza poetica). E ora chi la avverte la Concita del “basta ministri scadenti, arrivano quelli bravi”? Fatti fuori Conte, Bonafede, Gualtieri, Amendola e regalato il Recovery ai soliti noti, si digerisce tutto.

Cielle. I garruli squittii di Cassese a edicole unificate indicano che, dopo il lungo digiuno del Conte-1 e del Conte-2, qualche protégé l’ha piazzato. Tipo Marta Cartabia, Guardasigilli di scuola ciellina (come la ministra dell’Università, Cristina Messa), ma pure napolitaniana e mattarelliana, celebre per l’abilità di non dire nulla, ma di dirlo benissimo, fra gridolini estatici di giubilo.

Di lei si sa che sogna “una giustizia dal volto umano” (apperò) e una “pena che guarda al futuro” (urca). Ora, più prosaicamente, dovrà dare subito il parere del governo sul ritorno della prescrizione, previa seduta spiritica con Eleanor Roosevelt che – assicura il Corriere – è “tra le figure femminili ‘decisive’ per la sua formazione” (accipicchia).
Pd. Sistemati tutti i capicorrente Franceschini (al quinto governo), Guerini e Orlando, prende pure l’Istruzione con il finto tecnico Bianchi, due volte assessore dem in Emilia-Romagna: 4 ministri come il M5S, che però ha il doppio di seggi.
5Stelle. Machiavellici alla rovescia, sapevano che senza di loro il Pd e Leu si sarebbero sfilati e Draghi, per non finire ostaggio delle destre, avrebbe rinunciato. Bastava mettersi in attesa e, se proprio Grillo voleva entrare, dettare condizioni minime: Giustizia, Lavoro, Istruzione, Mise o Transizione Ecologica. Invece han detto subito di sì, presentandosi a Draghi con le brache calate e le mani alzate. E hanno ammainato le loro bandiere Bonafede, Azzolina e Catalfo (con Reddito e Inps). Risultato: SuperMario li ha sterminati e pure umiliati, con i pesanti ma inutili Esteri a Di Maio, Patuanelli degradato dal Mise all’Agricoltura, più i Rapporti col Parlamento e Politiche giovanili (sventata la Marina mercantile, ma solo perché non c’è più). Ciliegina sulla torta: la Transizione Ecologica, subito dimezzata, è finita a un renziano. Meno male che Draghi era grillino: figurarsi se non lo era. Insomma: aperta finalmente la scatoletta di tonno, i 5Stelle hanno scoperto che il tonno erano loro.
FI-Lega. Il capolavoro del Rignanese, prima di tramutare Iv da ago della bilancia a pelo superfluo, è aver riportato Salvini e B. al governo. Il resto l’han fatto Draghi e Mattarella, regalando alla destra un governo tutto nordista e i ministeri politici più lucrosi: Mise e Turismo (Giorgetti e Garavaglia), Pa (Brunetta), Regioni (Gelmini) e Sud (Carfagna, con i fondi di coesione Ue, nel fu serbatoio di voti dei 5Stelle).
Ps. Nota per gli storici della mutua che vaneggiano di “fallimento della politica come nel 1993 e nel 2011” e paragonano l’avvento di Draghi a quelli di Ciampi e Monti. Nel ‘93 Ciampi arrivò mentre gli italiani lanciavano le spugne ad Amato e Conso per il decreto Salvaladri e le monetine a Craxi per l’autorizzazione a procedere negata dal Parlamento al pool di Milano. Nel 2011 Monti arrivò mentre due ali di folla maledicevano B. che saliva al Quirinale a dimettersi e poi fuggiva dal retro dopo aver distrutto l’Italia per farsi gli affari suoi. Nel 2021 Draghi arriva mentre Conte esce da Palazzo Chigi a testa alta fra gli applausi e le lacrime. Mica male, per un fallito.

l giovane Consulente e il noto Personaggio: la crisi è un bel thriller

Il giovane Consulente e il noto Personaggio: la crisi è un bel thriller

La riunione per farlo cadere

di Maurizio de Giovanni | 14 FEBBRAIO 2021

Se fosse un romanzo, qualche mese fa ci sarebbe stata una riunione.

In un posto lussuoso e segreto, con una ampia vetrata che dà sul mare e consente di guardare gli yacht ondeggianti placidamente, coi marinai a bordo che preparano un perfetto pranzo a base di pesce.

Alla riunione avrebbero partecipato pochi uomini, sei o sette. Di mezza età ma ben tenuti, nessuno dei quali noto alla stampa o alla televisione, abituati a non farsi vedere e a dare secchi comandi a qualche collaboratore incaricato di muovere le fila. Una riunione rara, perché normalmente si sentono attraverso linee criptate e sicure: ma il momento è grave, meglio parlarsi de visu.

Se fosse un romanzo, l’occasione sarebbe enorme e pressoché irripetibile: arrivano duecentodieci miliardi dal cielo in questo piccolo povero paese che la mezza dozzina di uomini riuniti ha già spolpato fino all’osso. Non si può lasciare che tutto questo ben di Dio venga gestito da quattro politici inconsapevoli e ignoranti, peraltro in gran parte provenienti da movimenti populisti, da vecchi partiti allo sbando e da sovranisti arrabbiati. Bisogna intervenire.

Gli uomini riuniti di fronte al mare non portano la mascherina, perché appena trovato il vaccino hanno ricevuto le primissime dosi. Ma sono preoccupati lo stesso, perché non possono lasciare che la faccenda gli sfugga dalle rapaci mani. Tutto rimonta a loro: la grande finanza, l’industria, la comunicazione; e anche il riciclaggio, l’evasione, le organizzazioni criminali. Sono a monte di tutto, nel romanzo. Sono la cupola delle cupole.

Nel romanzo si apre una porta ed entra il Consulente, il braccio armato, quello che in genere si occupa della messa in opera delle soluzioni concordate. Resta rispettosamente in piedi, e nessuno lo invita a sedersi. Fuori le barche ondeggiano, i marinai sfaccendano e il mare è più azzurro che mai.

Il Consulente ascolta le paure degli uomini riuniti. Resta in silenzio e pondera, come è abituato a fare. Poi propone la soluzione.

Basta trovare un politico giovane e in gamba, determinato a un’azione apparentemente suicida che faccia saltare il banco, pilotando le cose in maniera da evitare stravolgimenti elettorali dall’esito imprevedibile. L’azione peraltro sembrerà così onesta e idealista da non essere accusabile di interesse privato. Certo, costerà: ma il giovane politico coi poteri forti ha già una stretta consuetudine, magari qualche vecchio debito da saldare che può essere messo all’incasso, e farà sempre in tempo a rimettersi all’impiedi, magari tra una legislatura o due. Nel romanzo qualcuno degli uomini, preoccupato, chiede al Consulente che cosa succederà dopo che il giovane politico avrà fatto saltare il banco.

Il Consulente, con la voce calma di chi ha già visto tutto e il contrario di tutto, spiegherà che il pallino andrà necessariamente a un nome super partes, di grande prestigio internazionale e che, guarda caso, proviene proprio dal mondo della finanza e della gestione delle risorse continentali. Nel romanzo questo Personaggio esiste, e ognuno degli uomini presenti alla riunione in qualche modo ci avrà avuto a che fare.

Qualcuno a quel punto chiede, con residua inquietudine, come se la caverebbe il Personaggio col parlamento litigioso e violento, impossibile da mettere d’accordo su qualsiasi fesseria, figurarsi su una cosa grossa come questa.

Il Consulente, nel romanzo, sorride sornione. Dice che di fronte all’eventualità di tornarsene a casa perdendo poltrone e stipendi e soprattutto il potere di gestire formalmente, perché nella sostanza tutto resterebbe saldamente nelle mani dei presenti, tutto quel ben di Dio, l’accordo lo troverebbero. Eccome, se lo troverebbero.

E il Consulente nel romanzo parlerebbe di un governo politico nella gestione ordinaria e tecnico per i ministeri seri, quelli che dovranno ricevere i recovery funds. Dell’alleggerimento sostanziale della presenza meridionale, privilegiando ministri provenienti dai luoghi dove hanno sede grandi banche e grandi industrie, non sia mai che qualcuno abbia ripensamenti territoriali. Della ricompensa per il Personaggio che dovrà guidare il governo, in corrispondenza dell’elezione di un presidente che potrebbe tornare sempre utile.

Nel romanzo la strategia del Consulente provocherebbe un progressivo, largo sorriso dei presenti. E la riunione sarebbe sciolta in corrispondenza della perfetta cottura dello spaghetto allo scoglio sulla più bella delle navi alla fonda nel piccolo porticciolo privato, al di là della vetrata.

Fortuna che i romanzi non sono la realtà. Per questo sono sempre così belli.

Bassolino: “Mi candido a sindaco di Napoli”. Corsa a ostacoli: il Pd è ostile, veto del M5S

Bassolino: “Mi candido a sindaco di Napoli”. Corsa a ostacoli: il Pd è ostile, veto del M5S

Antonio Bassolino si candida a sindaco di Napoli, spiazza tutti e rovina il pomeriggio dei membri della segreteria Pd tifosi del Napoli: il segretario Marco Sarracino ha convocato la direzione per un vertice d’urgenza, svolto durante Napoli-Juventus. Decisione presa un’oretta dopo l’annuncio di Bassolino: “Fare il sindaco – ha scritto sui social – è stata l’esperienza più importante della mia vita e sento il dovere di mettermi al servizio della città. Napoli prima di tutto, prima di ogni interesse di parte”. Bassolino è stato sindaco dal 1993 al 2000, il “Rinascimento Napoletano”. Meno felice la stagione successiva, i dieci anni da governatore, stretto nella morsa di Mastella e De Mita e travolto dall’emergenza rifiuti. Già cinque anni fa si era riproposto alle primarie, perse di un soffio contro Valeria Valente tra le polemiche e i ricorsi sui presunti brogli e le monetine regalate all’ingresso dei seggi. Bassolino per ora conta solo sulle sue forze: i dem gli sono ostili, il M5s ha posto un veto. La candidata sindaco di De Magistris, Alessandra Clemente, gli ha fatto gli auguri.

Salerno, giornalista citato per rivelare le fonti. Fnsi e Sugc: «Tutelare il segreto professionale»

È successo al cronista del Fatto quotidiano Vincenzo Iurillo per un articolo sul processo all’ex Procuratore generale di Catanzaro Otello Lupacchini. Alla collega del Mattino Viviana De Vita, che si è occupata della stessa vicenda, è stata annunciata querela. «Inquietante», rileva il sindacato.

Il tribunale di Salerno (Foto: Google)

Il giornalista del Fatto quotidiano Vincenzo Iurillo è stato citato come testimone per rivelare la fonte del suo articolo sul processo nel quale l’ex Procuratore generale di Catanzaro Otello Lupacchini è imputato per “falso”. L’accusa nei confronti del magistrato è quella di aver omesso informazioni per ottenere il rafforzamento della scorta.

«È evidente – rilevano Federazione nazionale della Stampa italiana e Sindacato unitario giornalisti della Campania – che il giornalista del Fatto, come prevede la deontologia della nostra professione e come ribadito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, non rivelerà mai la propria fonte. Ma è chiaro che il solo fatto di essere parte nel processo lo mette nella condizione di non potersene più occupare serenamente come cronista. Tra l’altro nell’articolo non è stato violato alcun segreto, ma si è fatto riferimento ad atti pubblici. La stessa cosa vale per la giornalista del Mattino Viviana De Vita, che si è occupata della stessa vicenda e per la quale è stata annunciata querela».

«Se qualcuno pensa di poter delegittimare e intimidire i colleghi che si stanno occupano dell’inchiesta su Lupacchini – incalza il sindacato –, sappia la Fnsi e il Sugc sono pronti a tutelare i colleghi e ad affiancarli in ogni sede. Si tratta di una vicenda inquietante che rilancia la necessità di colpire chi molesta il diritto di cronaca e di mettere in sicurezza il segreto professionale, ancora oggi regolato da norme contraddittorie e ambigue».