Campania rossa, Veneto e Friuli arancioni. Rezza: “Sos brasiliana”
La terza ondata
di Alessandro Mantovani | 6 MARZO 2021
Per la prima volta, dopo sette settimane, l’indice di trasmissione del virus Rt supera 1 e si colloca a 1,06 (range 0,98-1,20) nel periodo 10-23 febbraio. C’è “un’importante accelerazione nell’aumento dell’incidenza”, scrive la Cabina di regia di ministero della Salute e Istituto superiore di sanità: da 145 a 195 nuovi casi ogni 100 mila abitanti, con un aumento del 34,5% in sette giorni. Sono i dati al 28 febbraio: ieri era già a 222. “In netto aumento” i malati in terapia intensiva che sono passati in una settimana da 2.146 ai 2.327 (+8,4%) del 2 marzo, ma ieri erano 2.525 con un ulteriore +8,5% in appena tre giorni. Siamo al 28%, la soglia d’allerta è al 30% e nove Regioni l’hanno superata.
Non ci vuole molto a prevedere che il virus, anche per effetti delle varianti e di quella inglese in particolare ormai “prevalente” (54% dei nuovi contagi al 18 febbraio, chissà da allora…), non si fermerà da solo. “Bisogna intervenire in maniera tempestiva e radicale per contenere le varianti del virus”, ha detto ieri il professor Silvio Brusaferro, presidente dell’Iss. Il direttore della Prevenzione della Salute, professor Gianni Rezza, ha sottolineato i pericoli della variante brasiliana: corrisponde al 4,3% dei casi al 18 febbraio, è radicata soprattutto in Umbria, Toscana, Abruzzo, Marche e Lazio e ha mostrato una parziale resistenza al vaccino. Secondo il matematico Giovanni Sebastiani del Cnr, i numeri sono paragonabili a quelli del marzo 2020: “Le curve delle terapie intensive di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna in crescita esponenziale, con tempo di raddoppio di poco sopra a 4 giorni per le prime due e pari a 7 giorni circa per l’ultima. E ci sono situazioni critiche anche in alcune regioni del Centro-Sud”.
Eppure mezzo Paese rimane in zona gialla, mantiene cioè la normativa che secondo il Comitato tecnico scientifico “ha dimostrato una capacità di contenere l’aumento dell’incidenza ma non la capacità di ridurla” (dal verbale del 23 febbraio). Solo la Campania, che ha Rt medio a 0,96 e i nuovi casi in rapido aumento, passerà lunedì in zona rossa, dove ci sono già Basilicata e Molise, ma solo perché l’ha chiesto il presidente Vincenzo De Luca. Veneto (Rt a 1,08) e Friuli-Venezia Giulia (0,92), ha disposto il ministro della Salute Roberto Speranza, raggiungeranno le altre Regioni in arancione. Che sono Lombardia (1,13 ma la stessa Regione ritiene più attendibile il dato degli ospedalizzati: 1,24), Piemonte (1,15), Trento (1,1), Bolzano (0,75 e incidenza in calo ma sempre altissima: 377 nuovi casi in 7 giorni per 100 mila abitanti), Marche (1,08), Toscana (1,18) e Umbria (0,79: il peggio sembra passato ma le terapie intensive sono al 55%, quasi il doppio della soglia di allerta) ed Emilia-Romagna (1,13 e ospedali in affanno). Lombardia ed Emilia-Romagna hanno dati peggiori della Campania, ma Rt non supera 1,25 e quindi la zona rossa, con il Dpcm attuale come col precedente, non è possibile. Le due Regioni hanno adottato misure locali. Bologna è da tre giorni zona rossa e altre province sono “arancione scuro”. La Lombardia da giovedì è “arancione scuro”: scuole chiuse e restrizioni varie per i parchi e il commercio. Secondo il presidente Attilio Fontana “le misure rafforzate hanno scongiurato la zona rossa”. Ma in realtà i dati analizzati a Roma risalgono ai giorni precedenti.
Si ipotizza che Rt salga meno anche perché con le varianti aumentano i casi fra i giovani, spesso asintomatici, mentre l’indice è calcolato sui soli sintomatici: “È possibile, almeno in parte”, dicono i tecnici della Salute. Che, se i numeri e le regole lo consentissero, avrebbero preferito provvedimenti più drastici.
Tutte le Regioni meno la Sardegna, già zona bianca, sono a rischio “alto” o “moderato”. Restano gialli il Lazio, la Liguria e la Puglia, dove Rt è rispettivamente a 0,98, 0,96 e 0,93, perché gli ospedali sono sotto le soglie d’allerta. Speriamo che duri.
Si conferma il calo dei contagi tra gli operatori sanitari e gli over 80, molti dei quali già vaccinati. Il piano vaccinale cambierà: ci lavorano il neocommissario, generale Francesco Paolo Figliuolo e il nuovo capo della Protezione civile, ingegner Fabrizio Curcio.
Draghi chiama McKinsey e soci per il Recovery Plan
di Gianni Barbacetto e Carlo Di Foggia | 6 MARZO 2021
Magari il Recovery Plan – come ci ricorda certa stampa – “se lo scrive da solo Mario Draghi” con il ministro dell’Economia, Daniele Franco. Di certo, però, al Tesoro non hanno disdegnato un aiuto esterno, quantomeno nel valutare i progetti. Il ministero ha infatti appena arruolato il gigante mondiale della consulenza McKinsey per farsi dare una mano sul Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che deve stabilire come spendere i 209 miliardi del piano europeo entro il 2026.
Il coinvolgimento di McKinsey – rivelato ieri da Radio Popolare – va inquadrato in un contesto più ampio. A quanto risulta al Fatto, ci sarebbero altri tre o quattro colossi del settore al lavoro sulla revisione del Pnrr. Con la Pa, specie coi ministeri già lavorano le big four contabili (Kpmg, Deloitte, E&Y, Pwc) ma anche quelle della consulenza (Bain & Company e Boston Consulting). Nella prima versione del Piano, quella redatta ai tempi del governo Conte nella cabina di regia a Palazzo Chigi coordinata dal Comitato per gli affari europei (Ciae), qualcuna è stata già coinvolta (per esempio Kpmg e Pwc nelle schede di progetto della parte Sanità). Si trattava di una fase, come si suol dire, di lavoro bottom up (dal basso verso l’alto). La novità è che con l’arrivo di Mario Draghi si è deciso di coinvolgerle nella fase di cesura finale, quella che conta davvero.
Il ministero dell’Economia ha deciso di rivedere in parte il Piano trovato in eredità e, vuoi anche per i tempi assai stretti, ha chiamato i colossi. McKinsey è il leader mondiale nella consulenza strategica (dove si muovono anche Bain & Company e Boston Consulting): avrà un ruolo di supporto alle scelte, che restano politiche. In sostanza fornisce analisi dei dati e di impatto sui progetti selezionati dal Tesoro. Dovrà spiegare, per esempio, se un investimento ha funzionato o no in altri Paesi e fornire studi sui possibili effetti. Dall’analisi di questi dati può dipendere la scelta politica.
Il contratto, pare, non si basa su cifre elevate, è pensato per coprire i costi di lavoro del team (di norma poche persone) che si interfaccia col ministero. Il Tesoro è formalmente il cliente unico, ma i gruppi starebbero lavorando con tutta la cabina di regia incaricata di rivedere il Pnrr insediata al ministero sotto il coordinamento del dirigente della Ragioneria, Carmine Di Nuzzo, fedelissimo di Franco, e che coinvolge diversi ministeri, dalla Transizione ecologica (Cingolani) a quello della Transizione digitale guidato dall’ex manager Vodafone, Vittorio Colao, che proprio in McKinsey si è formato. Sul fronte digitale, peraltro, già lavorano con la Pubblica amministrazione colossi specializzati come Accenture.
Difficile che questi nuovi contratti siano particolarmente onerosi per il Tesoro. Contribuire alla stesura del Piano che determinerà gli investimenti pubblici dell’Italia nei prossimi sei anni vale già come riconoscimento. E, magari, come posizionamento.
La variante saudita
I sogni, vedi quello di Padellaro e quello mio su Conte, portano sfiga. Ma nessuno li può controllare, né costringere a un minimo di attendibilità. Infatti l’ultimo è quanto di più fantasioso si possa immaginare. C’erano tutti i capitribù del Pd (che è peggio della Libia) in conclave nei loro caratteristici costumi e copricapi. Era giovedì sera e s’interrogavano sul da farsi dopo le dimissioni di Zingaretti. Ciascuno sfornava il nome del suo segretario preferito, un po’ come Guzzanti-Veltroni che cercava il candidato premier del 2001 (Heidi, Topo Gigio, Napo Orso Capo, Amedeo Nazzari…). E col medesimo effetto-risata. Guerini? “E chi è?”. Bonaccini? “Sta in zona rossa e poi è già mezzo imparolato con Salvini”. Franceschini? “Aridaje!”. Lotti? “È inquisito e a quel punto tanto vale richiamare Matteo”. Pinotti? “Dài, è uno scherzo!”. Di nuovo Zinga? “Ma se dice che si vergogna di noi!”. Zanda? “Tanto vale chiamare De Benedetti”. Fassino? “Seee, serve giusto un portafortuna”. Gentiloni? “Meglio la melatonina”. Orfini? “Piuttosto un cappio”. Marcucci e Delrio? “Allora meglio Fassino!”.
Il barista che portava le tisane aveva La7 sullo smartphone e guardava uno strano tipo dall’accento emiliano che spiegava a un misirizzi due o tre cose sulla sinistra. Che non può innamorarsi di Draghi. Che non può farsi fare di tutto senza reagire, tipo la cacciata di Arcuri (“Con lui eravamo primi in Europa per i vaccini e dopo il taglio siamo ancora ai livelli di Germania, Francia e Spagna: fra sei mesi vedremo dove siamo”). Che non può rinunciare a Conte, massacrato e poi silurato non certo perché poco di sinistra, semmai troppo. Che deve lavorare a un campo largo progressista col M5S e col 40-45% di incerti, delusi e astenuti, anziché ammucchiarsi con Lega e Forza Italia Viva. Che deve battersi per i brevetti liberi dei vaccini e dei farmaci salvavita e contro l’ennesimo condono fiscale. A quelle parole, i capitribù ebbero una strana sensazione, come di déjà vu. “Queste cose mi pare di averle già sentite da qualche parte”. “Anch’io, ma tanti anni fa”. “Pure a me sono familiari, forse mio nonno, la maestra, chissà…”. “Una volta, in un incubo terribile, ho sognato che le dicevo anch’io”. “A me quel tipo pare tanto di averlo già visto, ma non mi ricordo dove!”. Il barista li interruppe: “Coglioni, quello è Bersani, il vostro ex segretario, che avete lasciato andare via perché non piaceva a quello di Rignano! Fatevi curare”. Lo presero in parola e chiamarono un virologo. Il quale li visitò, diagnosticò a tutti una nuova mutazione del Covid e dettò una terapia d’urto: mettersi in quarantena per 10 anni e richiamare Bersani come segretario. Quelli, terrorizzati, obbedirono. Poi lessero il referto: “Variante saudita”.
Graviano “canta” coi pim: nuova indagine su B.
Le origini. I soldi del capo di Forza Italia. Cose loro “Mio nonno era in contatto con l’ex Cavaliere”: e i pm di Firenze scavano sui patrimoni iniziali di Silvio. Volano a Palermo. Risentono l’ex gelataio Baiardo
di Marco Lillo | 6 MARZO 2021