giovedì, 19 Settembre 2024
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Da metà luglio non ci saranno più latte per conservare i pomodori pelati./ • La corte d’assise di Bergamo nega ai difensori di Bossetti l’accesso/In Messico si è chiusa la campagna elettorale più sanguinosa della storia: 35 candidati assassinati e altri 782 feriti ai reperti del processo che ha portato all’ergastolo del muratore per l’omicidio di Yara/Tra pesce, vino e politici, Bruno Vespa apre il suo ristorante nel Salento.

Clamoroso

Da metà luglio non ci saranno più latte per conservare i pomodori pelati. La carenza di bobine di banda di stagnata dovuta al lockdown ha fatto impennare il prezzo della tonnellata da 400 a più di mille dollari [Ricciardi, Rep].

In prima pagina

• Sui ristoranti in zona bianca passa la linea delle regioni: nessun limite all’aperto, al chiuso massimo sei per tavolo
• Il commissario Figliuolo chiede alle regioni flessibilità nelle prenotazioni dei vaccini per evitare che i cittadini saltino la seconda dose perché in vacanza
• L’agente Marco Mancini andrà in prepensionamento. A farlo scivolare l’incontro con Matteo Renzi in un autogrill
• I contabili della Lega sono stati condannati a cinque e quattro anni di carcere per il caso della sede della Lombardia Film Commission. Confiscate due ville sul Lago di Garda
• Cartabia illustra oggi la sua riforma, Salvini presenta sei quesiti referendari in materia di Giustizia
• M5s-Pd insieme per mandare Conte e Letta in Parlamento
• Recovery, in 500 per la task force
• In Italia il tasso di positività risale al 2%, ieri i morti per Covid sono stati 59. Il Molise è la prima zona verde d’Italia. Tanti giovanni vogliono il vaccino
• Per la prima volta dall’avvio delle campagne vaccinali, il numero di cittadini dell’Ue che ha ricevuto almeno una dose ha superato quello degli Stati Uniti: 175 contro 168 milioni.
• Il Canada autorizza immunizzazioni diverse per prima e seconda dose. Biden offre una birra a chi si vaccina
• La Danimarca non vuole migranti in casa e vara una legge per accoglierli fuori dall’Ue
• Joe Biden ha firmato un ordine esecutivo che rafforza ed estende il procedente divieto di Donald Trump alle aziende Usa di investire in compagnie cinesi legate a difesa e tlc
• Il gestore della funivia del Mottarone, Luigi Nerini, era già indagato per due incidenti a un altro impianto
• A Ibiza una coppia muore cadendo dal balcone dell’albergo. Lei, 21 anni, era italo-spagnola. Lui, 26 anni, marocchino. La polizia non esclude l’omicidio-suicidio
• Scontro tra tir e furgone in autostrada vicino a Piacenza: cinque operai morti
• Alitalia non ha i soldi per pagare il restante 50% degli stipendi di maggio. Deve aspettare l’accredito dei 100 milioni del Sostegni bis.
• La corte d’assise di Bergamo nega ai difensori di Bossetti l’accesso ai reperti del processo che ha portato all’ergastolo del muratore per l’omicidio di Yara
• Nell’anniversario di piazza Tienanmen, la polizia di Hong Kong ha arresta Chow Hang-tung, noto attivista per la democrazia
• Per la morte di George Floyd l’accusa chiede 30 anni di carcere, la difesa spera nella libertà vigilata perché «l’agente ha commesso un errore in buona fede». La sentenza è attesa per il 25 giugno
• In Messico si è chiusa la campagna elettorale più sanguinosa della storia: 35 candidati assassinati e altri 782 feriti
• Sri Lanka, affondata la X-Press Pearl: petrolio in mare, microplastiche sulla costa
• Gates e Buffet, insieme per le rinnovabili con mini centrali nucleari
• Gedi ha trovato l’accordo con Buzzfeed per rilevare il 100% dell’Huffington Post Italia
• La Commissione Ue riapre il caso Mediaset-Vivendi per la legge salva Biscione approvata dal governo lo scorso anno
• È stato completato il sequenziamento del genoma umano. La nuova mappa comprende ora 3,9 miliardi di paia di basi, contro i 3,2 della prima sequenza del genoma umano ottenuta vent’anni
• L’Fbi non ha prove che gli alieni esistano
• Il nuovo film di Nanni Moretti Tre piani sarà in concorso a Cannes
• Tra pesce, vino e politici, Bruno Vespa apre il suo ristorante nel Salento.
• Sinner e Cecchinato raggiungono Berrettini, Fognini e Musetti al terzo turno del Roland Garros. Vince anche Federer
• L’Inter ha ufficializzato l’ingaggio di Simone Inzaghi come nuovo allenatore per le prossime due stagioni

QUARTA PAGINA

«Se quel giorno
fosse avvenuto un colpo di Stato,
la gente avrebbe risposto:
“Va bene, però lasciami vedere
che succede a Vermicino”»
Emilio Fede

Alfredino

di Francesco Piccolo

la Repubblica

Il 10 giugno 1981 è la data in cui un bambino, Alfredo Rampi, tornando a casa finisce dentro un pozzo della zona di Vermicino, vicino a Roma. È un pozzo artesiano incustodito, rimasto aperto, scavato senza chiedere permessi, con un pezzo di lamiera a proteggerlo. Sono le sette di sera, ma è estate, c’è luce. Da quel momento comincia una lunghissima tragedia. In realtà, anche se è terribile dirlo, doveva essere uno di quei fatti di cronaca strazianti e che finiscono sui giornali, in cui ci si dice, leggendoli o ascoltandoli alla radio o in tv, che è intollerabile, terribile – come è potuto succedere. Ma si partecipa da lontano, e il dolore vero è quello della famiglia, delle persone intorno. Un dolore invisibile agli occhi di chi è solo informato del fatto tragico.

Soltanto che il giorno dopo, Alfredo è ancora lì sotto; i telegiornali cominciano a raccontare la vicenda perché le difficoltà di tirare fuori il bambino dal pozzo sono tante, e le ore passano. Il tg3 apre una finestra per un po’ dal luogo dove continuano a non riuscire a tirare fuori il bambino. Gli italiani cominciano a provare ansia, empatia. Insomma, sul posto è arrivata la televisione. Ed è questo che succede.

Il 12 giugno 1981 io e il mio compagno di scuola Salvatore non siamo andati a scuola perché stiamo preparando una di quelle interrogazioni che si fanno alla fine dell’anno, dopo aver evitato di studiare tutto l’anno. Accendiamo la tv in una pausa, c’è questa storia di Vermicino, e il telegiornale decide di continuare a seguire la diretta. Quindi lasciamo la tv accesa, un po’ studiamo, un po’ guardiamo. E poi pian piano smettiamo di studiare e guardiamo soltanto. Cosa guardiamo? Niente. Delle immagini di persone intorno al pozzo che parlano, aspettano, movimenti, vigili del fuoco, volontari, folla intorno. Guardiamo la madre di Alfredo lì accanto al pozzo, disperata e sudata, che continua a gesticolare e a parlare con persone che stanno cercando di tirare Alfredino fuori dal pozzo. Poiché assistiamo a tutto questo, non si tratta più di una notizia. Dai cronisti a noi a casa si comincia a dire Alfredino; si stampa nel cervello, per sempre, il vestito della mamma. Man mano che il tempo passa, il bambino sprofonda sempre più giù – ma non racconterò oggi, a quarant’anni di distanza, quell’orrore non visibile e raccontato minuto dopo minuto per ore e ore – alla fine si conteranno diciotto ore consecutive di diretta tv, quasi tutte a reti unificare del primo e secondo canale, con punte di più di 28 milioni di spettatori a guardare e aspettare.

Quello che non sappiamo ancora, io e il mio amico Salvatore, e i milioni di persone che come noi non riescono più a staccarsi dallo schermo, sono due cose: che finirà male, e che quella data è anche il momento in cui la televisione cambia per sempre e diventa il luogo dove le cose accadono.
Il motivo per cui la televisione cambia, inconsapevolmente, e si ferma su questa storia, è esattamente il contrario di come finirà: sono tutti sicuri che finirà bene, che ce la faranno – è questo il motivo per cui si decide di fare la diretta: gli italiani sono coinvolti emotivamente, sono catturati emotivamente, questo fatto di cronaca terribile si trasforma in un racconto e chi decide di farlo è sicuro che avrà un finale che riscatterà tutta questa sofferenza.
Arrivano esperti, arriverà lo speleologo ed è la prima volta che ci accorgeremo che esistono gli speleologi. Si calerà nel pozzo, si sentiranno voci strazianti. Anche la voce di Alfredino riusciremo a sentire, perché vengono calati microfoni, con la convinzione testarda che andrà a finire bene.
E poi, come tutti ricordano, arriva anche il presidente della Repubblica, Sandro Pertini. Resterà lì fermo con gli altri, per ore, accanto alla mamma del bambino, non vuole andarsene più. E Pertini è la sintesi perfetta di ciò che sta accadendo, di ciò che sta cambiando: rappresenta il coinvolgimento emotivo degli italiani, come nessuno finora. È stato rabbioso pochi mesi prima per il terremoto dell’Irpinia, avrà un entusiasmo fanciullesco un anno dopo per la vittoria ai mondiali – e qui sintetizza l’apprensione e il dolore di tutti. Rappresenta l’attesa.
E poi, pian piano (succede tutto pianissimo, è questo che è insopportabile e inedito) ci si rende conto che le cose non stanno andando bene, che non andranno a finire bene. Ma è troppo tardi, per tutti, per tutti noi, per ritirarci, per allontanare le telecamere, per spegnere la tv. Lo strazio dei genitori di Alfredo Rampi non è più possibile preservarlo, anzi è diventato il nostro. Durante la notte, la mattina dopo ancora.
Finora, non avevamo assistito ai fatti come si svolgevano, non avevamo assistito in diretta a qualcosa che non sapevamo come sarebbe andata a finire. Per fare l’esempio più indimenticabile di quegli anni, non avevamo assistito alle ricerche (vane) del corpo di Moro nel lago della Duchessa: non avevamo assistito all’apertura del bagagliaio della Renault rossa (sono immagini riproposte dopo). E lo facciamo assistendo alla terribile morte di un bambino dopo ore in fondo a un pozzo. Scopriamo che la televisione può stare lì dove accadono le cose, anche se le cose diventano tragiche e dolorose. E da lì non torneremo più indietro. Verranno coniati slogan come “la tv del dolore” quando questa proseguirà a mostrare, quando si faranno programmi che mostreranno.
Le cose, da Vermicino in poi, appunto, accadranno in tv. Fino a quelle ore non era successo. Il racconto giornalistico ci aveva accompagnato per mano così come faceva la televisione fin dagli anni della sua comparsa: con intento pedagogico e spiegando perché e come le cose erano successe. E invece da quei giorni è finita per sempre la tv pedagogica, quella che aveva cominciato a insegnare l’italiano, aveva diffuso i classici della letteratura attraverso gli sceneggiati, aveva indirizzato il racconto dell’informazione, bene o male, verso una sopportabilità dei telespettatori che, come si diceva: all’ora del telegiornale sono a tavola per la cena. Nessuno ci aveva mai lasciati soli davanti alla tv ad assistere a una tragedia senza accompagnarci, fidandosi della nostra emotività, o forse abbandonandola. In quelle ore è successo spinti dall’emozione e dalle sollecitazioni che arrivavano da tutto il Paese. Ma come molti cambiamenti, è stato inconsapevole, involontario. E voleva raccontare tutt’altro – intendeva dare sollievo ai cittadini che avevano tralasciato ogni cosa per stare davanti alla tv. Cioè, molto più inconsapevolmente di quanto si creda, aveva trasformato un fatto di cronaca tragico in una opera di finzione, più precisamente che confondesse la realtà della cronaca con il racconto della finzione. Con l’intento di ricucire le ferite con un lieto fine commosso.
Tutti lì davanti, ad aspettare, cercare di capire, sperare, illudersi, nel lieto fine. E poi disilludersi.
Tutti quelli che c’erano ricordano lo speleologo magrissimo e infangato che risale su senza respiro, tramortito, e disperato di essere stato vicinissimo al bambino, e di non avercela fatta. A quel punto, tramortiti tutti noi, abbiamo perso le speranze. E abbiamo capito la verità dolorosa che ci aspettava: eravamo tutti lo speleologo, eravamo usciti infangati e sconfitti; ma non ce lo aspettavamo, non lo avevamo chiesto; e, in realtà, non avremmo voluto esserlo.

Brusca

di Marco Travaglio

Il Fatto Quotidiano

Nel dibattito dadaista sulla scarcerazione di Giovanni Brusca dopo 25 anni di galera, si dice che è uno scandalo liberare chi ha ucciso Falcone e altre cento persone, tra cui un bambino sciolto nell’acido: peccato che a liberarlo sia una legge voluta da Falcone, senza la quale non sapremmo che Brusca ha ucciso Falcone e altre cento persone, fra cui un bimbo sciolto nell’acido. In un Paese serio, anziché di Brusca, tutti si preoccuperebbero delle sentenze della Cedu e della Consulta contro l’ergastolo “ostativo” (che poi è l’ergastolo vero, ma nel Paese della giustizia finta occorre specificare), che stanno per liberare non i mafiosi che hanno parlato, ma quelli che stanno zitti. I quali non avranno più alcun motivo per parlare. Ora però i garantisti alla vaccinara si sono inventati un nuovo mantra: “Brusca non ha detto tutto”. Possibile. Ma che hanno in mente per fargli dire tutto: la tortura? Un modo civile ci sarebbe: imitare gli Usa. Lì, se un criminale collabora, non ottiene sconti di pena: non viene proprio processato. E può parlare quando gli pare.

Invece noi, furbi, grazie a una legge criminogena del 2000 voluta dal centrosinistra, diamo ai pentiti sei mesi per dire tutto. Se si ricordano qualcosa dopo, non vale. Il che rende ridicola l’accusa a Brusca di “non aver detto tutto”: anche se avesse altro da dire, essendo i suoi sei mesi scaduti da 24 anni e mezzo, non potrebbe più dirlo. E, se lo dicesse dimostrerebbe di non aver detto tutto e rischierebbe di perdere i benefici e tornare dentro. Qualcuno vuole che dica il resto? Cancelli la regola dei sei mesi. Poi però il rischio è che Brusca abbia davvero altro da dire. E lo dica. Per esempio sui mandanti esterni delle stragi, sulla trattativa Stato-mafia (che svelò un anno prima che la confermassero Mori e De Donno), sul ruolo di B. e Dell’Utri che l’ha visto sempre reticente. Perché un mafioso pentito, soprattutto all’inizio, non dice tutto? Per due motivi: il desiderio di proteggere i suoi amici o parenti; e il timore di inimicarsi qualche rappresentante dello Stato che lo protegge e firma con lui il contratto di collaborazione. Gaspare Spatuzza smontò il depistaggio su via D’Amelio, scagionò il falso pentito reo confesso Scarantino, dimostrò di essere l’autore della strage: e fin lì applausi scroscianti. Poi però fece i nomi di B. e Dell’Utri sui rapporti del boss Graviano durante le stragi. Napolitano tuonò contro le “rivelazioni più o meno sensazionalistiche di soggetti, diciamo così, piuttosto discutibili”. Il governo B. gli levò la protezione. E Spatuzza non disse più una parola. Se davvero qualcuno vuole scucirgli la bocca, rimuova la regola dei sei mesi dalla legge sui pentiti e Forza Italia dal governo. Secondo voi, così a naso, lo faranno?

e della Cedu e della Consulta contro l’ergastolo “ostativo” (che poi è l’ergastolo vero, ma nel Paese della giustizia finta occorre specificare), che stanno per liberare non i mafiosi che hanno parlato, ma quelli che stanno zitti. I quali non avranno più alcun motivo per parlare. Ora però i garantisti alla vaccinara si sono inventati un nuovo mantra: “Brusca non ha detto tutto”. Possibile. Ma che hanno in mente per fargli dire tutto: la tortura? Un modo civile ci sarebbe: imitare gli Usa. Lì, se un criminale collabora, non ottiene sconti di pena: non viene proprio processato. E può parlare quando gli pare.

Invece noi, furbi, grazie a una legge criminogena del 2000 voluta dal centrosinistra, diamo ai pentiti sei mesi per dire tutto. Se si ricordano qualcosa dopo, non vale. Il che rende ridicola l’accusa a Brusca di “non aver detto tutto”: anche se avesse altro da dire, essendo i suoi sei mesi scaduti da 24 anni e mezzo, non potrebbe più dirlo. E, se lo dicesse dimostrerebbe di non aver detto tutto e rischierebbe di perdere i benefici e tornare dentro. Qualcuno vuole che dica il resto? Cancelli la regola dei sei mesi. Poi però il rischio è che Brusca abbia davvero altro da dire. E lo dica. Per esempio sui mandanti esterni delle stragi, sulla trattativa Stato-mafia (che svelò un anno prima che la confermassero Mori e De Donno), sul ruolo di B. e Dell’Utri che l’ha visto sempre reticente. Perché un mafioso pentito, soprattutto all’inizio, non dice tutto? Per due motivi: il desiderio di proteggere i suoi amici o parenti; e il timore di inimicarsi qualche rappresentante dello Stato che lo protegge e firma con lui il contratto di collaborazione. Gaspare Spatuzza smontò il depistaggio su via D’Amelio, scagionò il falso pentito reo confesso Scarantino, dimostrò di essere l’autore della strage: e fin lì applausi scroscianti. Poi però fece i nomi di B. e Dell’Utri sui rapporti del boss Graviano durante le stragi. Napolitano tuonò contro le “rivelazioni più o meno sensazionalistiche di soggetti, diciamo così, piuttosto discutibili”. Il governo B. gli levò la protezione. E Spatuzza non disse più una parola. Se davvero qualcuno vuole scucirgli la bocca, rimuova la regola dei sei mesi dalla legge sui pentiti e Forza Italia dal governo. Secondo voi, così a naso, lo faranno?

PADRINI FONDATORI

di Marco Lillo e Marco Travaglio