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L'ex premier Giuseppe Conte, al termine di una conferenza stampa sul futuro del M5S a Roma, 28 giugno 2021. MAURIZIO BRAMBATTI/ANSA

Grillo & 5stelle: ovvero ” chi fravaca e sfravaca nun perde mai tiempe”

Comitato dei 7, Conte non cede: “Il no alla diarchia punto fermo”

Comitato dei 7, Conte non cede: “Il no alla diarchia punto fermo”

“Ben venga il tentativo di mediazione, ma senza toccare i principi fondamentali”. Dopo l’annuncio del tavolo dei sette mediatori 5 Stelle, Giuseppe Conte lascia intendere quale sia la direzione dei lavori. E così, il primo giorno di trattative tra i pontieri grillini – oltre a Luigi Di Maio e Roberto Fico ci sono il capo reggente Vito Crimi, i capigruppo Davide Crippa e Ettore Licheri, la n.1 a Bruxelles Tiziana Beghin, il ministro Stefano Patuanelli – porta a un’infinita call online da cui emerge più che altro la volontà di limare il testo a cui ha lavorato Conte.

Col concetto sembra ormai aver fatto pace anche Beppe Grillo, il fondatore che per qualche giorno ha sfidato l’ex premier fino alla rottura, ma poi ha accettato di fare un passo indietro. Merito anche della mediazione di Di Maio e Fico, che venerdì pomeriggio si sono trattenuti per circa sette ore nella casa toscana di Grillo, a Marina di Bibbona, andandosene soltanto a tarda sera dopo che il Garante si era rassegnato ad annunciare su Facebook l’addio al progetto del direttorio, per il quale aveva indetto una votazione su Rousseau.

Il passo indietro di Grillo dice già molto su cosa aspettarsi. E le parole di Conte di ieri, fatte filtrare tramite “fonti vicine all’ex premier”, raccontano che il nodo dell’agibilità politica del capo non potrà conservare ambiguità: “Ben venga il tentativo di mediazione per rilanciare il Movimento ed evitare scissioni – sono le parole attribuite a chi ha parlato con l’ex premier – ma restino fermi alcuni principi fondamentali su cui Conte si è già espresso con chiarezza”. Tradotto: niente diarchie vere o mascherate; la distinzione tra capo e garante deve essere un principio ben chiaro a tutti. Le stesse fonti fanno sapere al Fatto che venerdì “Conte era informato” delle intenzioni di Grillo, segno che il dialogo ha ripreso ben altri toni rispetto a quelli di una settimana fa. E poco importa se per chiudere la mediazione ci vorranno sette o dieci giorni, facendo dunque saltare l’assemblea in cui domani Conte avrebbe voluto illustrare il suo progetto agli eletti. Il tentativo dei pontieri è l’ultimo possibile e si è mosso sulle uova per giorni, perciò meglio prendersi il tempo necessario.

Non a caso Conte continua a rimarcare con i suoi l’importanza “di non spaccare il Movimento”, improvvisamente ritrovatosi a dover scegliere tra il fondatore e il leader politico più apprezzato.

E infatti fonti vicine all’avvocato ricordano anche le sue parole al Tempio di Adriano, quando propose di far votare agli iscritti il suo Statuto assicurando che non si sarebbe accontentato “di una maggioranza risicata”, alla ricerca proprio di una investitura che non creasse fratture.

Il concetto è lo stesso sottolineato ieri da Luigi Di Maio: “È un momento particolarmente delicato, proprio per questo si deve parlare pochissimo e lavorare per trovare una soluzione comune. Io ci credo, come ci credono in diversi, non è semplice ma troveremo una soluzione per riuscire a far ripartire questo progetto il prima possibile”.

E questo è anche il tono di gran parte delle dichiarazioni di ieri dei 5 Stelle, con gli eletti che predicano in coro l’unità. A partire dal ministro Federico D’Incà: “Un grande progetto e una grande storia possono attraversare fasi difficili, che grazie a processi partecipati e alla discussione interna si possono e devono superare. È questo il senso del comitato dei sette. Ho sempre creduto che questo fosse l’unico metodo per superare lo stallo di questi giorni”.

E se Francesco D’Uva definisce “una buona notizia” la scelta di affidarsi ai pontieri, lo stesso ex capogruppo alla Camera ricorda “la necessità di una leadership politica forte”. La stessa su cui neanche Conte non accetterà passi indietro durante le trattative.

Sennò?

È il classico sillogismo a cazzo, visto che è proprio Draghi a tifare Inter e Milan, governando con Letta e Salvini. Infatti il manifesto Salvini-Orbán fa infuriare Letta, ma non Draghi. E Salvini, per nulla preoccupato di regalare Draghi a Letta (mission impossible), risponde: “Se non gli sta bene Orbán, Letta esca dal governo”. Infatti anche Letta tifa Inter e Milan. Almeno finché non risponderà ai “sennò?” salviniani con la conclusione di ogni aut aut che si rispetti: “Sennò il Pd esce dal governo”. Ma è proprio questo che spaventa Letta: il fatto che poi, siccome Salvini non ha alcun motivo per non essere Salvini, il Pd dovrebbe uscire per davvero. E non ne ha alcuna intenzione (certi miracoli, tipo stare al governo avendo perso le elezioni, càpitano una volta nella vita, e per il Pd è già la sesta in dieci anni). Anche perché né Salvini né Draghi lo rincorrerebbero. Quindi Letta continuerà a chiedere a Salvini di uscire dal governo e a restare al governo con Salvini, riuscendo persino a farlo apparire più coerente di lui. Sennò rischia di regalare Salvini a Draghi.

Un solo grillino tra i saggi. Poi contiani e “pontieri”

Un solo grillino tra i saggi. Poi contiani e “pontieri”

La composizione della squadra dei sette mediatori voluta da Beppe Grillo aiuta a capire una certa rassegnazione da parte del fondatore.

Non sfugge, infatti, che quasi tutti i 5 Stelle chiamati a mediare sullo Statuto siano vicini a Giuseppe Conte o abbiano come minimo un ruolo equidistante.

I più “contiani” tra i sette sono senza dubbio Stefano Patuanelli ed Ettore Licheri. Il primo è stato ministro durante il governo giallorosa (rimanendolo con Mario Draghi, seppur all’Agricoltura e non più ai Rapporti col Parlamento) e ha da tempo un rapporto di fiducia con Conte. Durante i giorni peggiori della crisi grillina, Patuanelli è andato proprio insieme a Licheri e a Paola Taverna a casa dell’ex premier per convincerlo a non chiudere la porta a Grillo. Entrambi, Patuanelli e Licheri, sono da sempre indicati tra i 5 Stelle che sarebbero stati pronti a seguire Conte anche in un suo partito.

Diverso è il caso di Luigi Di Maio, spesso posto in contrapposizione rispetto all’avvocato anche solo per il suo passato da leader dentro il Movimento. In queste settimane però il ministro ha cucito la tela del compromesso. Venerdì, insieme a Roberto Fico, è stato per diverse ore a Marina di Bibbona per convincere Grillo a lasciar perdere il voto sul direttorio e ad accettare la posizione di Conte. Missione compiuta con l’aiuto del presidente della Camera, appunto, il quale, grillino della prima ora nel Meet Up di Napoli, è di certo riconoscente al fondatore, ma deve all’avvocato lo spostamento – forse definitivo – dell’asse dei 5 Stelle verso il centrosinistra, l’area più vicina alla storia e alle idee di Fico.

Ma Conte può anche contare sulla sponda di Vito Crimi, un altro dei sette mediatori a essersi schierato dalla sua parte. Quando la frattura sembrava insanabile, Crimi aveva persino annunciato il probabile addio al Movimento, in forte polemica col fondatore. E Crimi, da capo reggente, arriva da una lunga battaglia legale sui dati degli iscritti combattuta insieme a Conte contro Davide Casaleggio, circostanza che ha rafforzato l’unione tra i due.

E se Tiziana Beghin rappresenta i parlamentari europei, l’ex premier ha di che stare tranquillo: nell’assemblea del gruppo di qualche sera fa, gli umori erano quasi tutti favorevoli a Conte. Resta così soltanto Davide Crippa, l’unico pontiere considerabile più vicino a Grillo che all’avvocato. Troppo poco per non leggerci buone notizie per Conte, almeno nelle premesse dei lavori.

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