Cadrà il reato di tortura? L’avvocato Giuseppe Stellato ne è più che convinto. Deciderà la Cassazione?

L’articolo 613 bis del Codice Penale stabilisce che :”Chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona. Se i fatti di cui al primo comma sono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, la pena è della reclusione da cinque a dodici anni”.

Erano queste le intenzioni degli agenti di custodia? Volevano torturare i detenuti oppure spaventarli per evitare pericolose sommosse? Il discorso diventa molto sottile e si rischia di eccedere o di minimizzare con ipotesi che – secondo il mio modesto parere – esulano dal vero scopo della “sforbiciata” seguita dal “Sant’ Antonio” del carcere sammaritano.

La verità – come ci hanno insegnato – non sta mai da una sola parte. Qual è dunque il rovescio della medaglia? E’ vero, il Tribunale del Riesame in una recente decisione ha stabilito che (come ha  riportato Il Mattino di ieri con un pezzo a firma del cronista giudiziario Biagio Salvati ) – “Il Tribunale della Libertà si adegua sostanzialmente all’impianto accusatorio della Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, in relazione ai pestaggi – ma si parla anche di torture – ai danni dei detenuti avvenuti il 6 aprile 2020 nel locale penitenziario. L’ottava sezione del Tribunale della Libertà, infatti, a conclusione dell’udienza fissata per valutare la posizione di quattro agenti della penitenziaria finiti in arresto il 28 giugno scorso, ha  confermato due misure restrittive, attenuandone una terza e annullando la quarta con conseguente scarcerazione. Per tutte le posizioni valutate però sono stati ritenuti sussistenti i gravi indizi di colpevolezza. In particolare i giudici  hanno confermato l’ordinanza in carcere per  Salvatore Mezzarano, 40 anni, (difeso da Giuseppe Stellato), ispettore coordinatore del Reparto Nilo del carcere di Santa Maria Capua Vetere, dove avvennero le violenze e la misura degli arresti domiciliari per l’agente Fabio Ascione (difeso dall’avvocato Michele Spina). Il collegio ha invece mentre ha scarcerato per carenza di esigenze cautelari l’agente penitenziario Oreste Salerno (difeso da Angelo Raucci), che dal carcere passa ai domiciliari e l’ex agente Claudio Di Siero (assistito dall’avvcato Domenico Pigrini), che era ai domiciliari e che ora è completamente libero: quest’ultimo era andato in pensione dopo il 6 aprile del 2020, per cui da mesi ormai non fa più parte della Polizia Penitenziaria.

 L’avvocato  Stellato, che difende Mezzarano, aveva sostenuto che i fatti, per come sono andati, non potevano integrare questo tipo di accusa ma possono dar luogo a ipotesi generiche di lesioni, violenza privata, percosse, in quanto mancherebbero le caratteristiche richieste per qualificare i fatti come torture, ovvero «quella capacità afflittiva che si traduce in acute sofferenze fisiche o in un verificabile trauma psichico, in condizioni inumane e degradanti».

Dunque per il legale la condotta realizzata sarebbe frutto di una circostanza ben precisa, ovvero la protesta realizzata dai detenuti il giorno prima della perquisizione, quando i reclusi del Reparto Nilo vi si barricarono dopo aver avuto notizia di un detenuto positivo al Covid.

Metterà il  sigillo su questa vicenda la Cassazione una volta interessata con i vari ricorsi? L’attesa del mondo carcerario, della società civile e dell’opinione pubblica è pregna di incertezze ma le speranze non sono poche.