Da “cazzeggio” a “populismo”: parole nuove che ci raccontano

Da “cazzeggio” a “populismo”: parole nuove che ci raccontano

Il libro – Una storia d’Italia “vivente”, dalla politica ai social

di  | 28 AGOSTO 2021

 

Non è un caso che nell’uso su “neologia” sia prevalso il dispregiativo “neologismo”: delle parole tendiamo a diffidare. È un atteggiamento sbagliato, perché le parole nuove non sono invasori destabilizzanti, sono semplicemente il segno della vitalità della lingua (e dunque della società). Ce lo spiega un libro che merita due superlativi – interessantissimo e insieme piacevolissimo alla lettura – appena uscito per il Mulino: Storia di parole nuove del professor Ugo Cardinale. È una storia d’Italia degli ultimi sessant’anni attraverso l’introduzione di forme verbali prima sconosciute, che servono a raccontare i mutamenti politici e del costume. Una fotografia che parte dalla lingua parruccona delle tribune politiche, passa per le rivoluzioni del decennio di piombo e il “cazzeggio” desemantizzato degli anni Ottanta fino all’“imbagascimento” (parola che si deve a un genio della sperimentazione linguistica, Carlo Emilio Gadda) nell’era dei social network. Ma chi inventa le parole nuove? Gabriele D’Annunzio fu un coniatore di prima grandezza: inventò il tramezzino, la Rinascente, i vigili del fuoco, il velivolo. E fu il Vate a stabilire il sesso dell’automobile, con parole oggi impronunciabili: “Ha la grazia, la snellezza, la vivacità di una seduttrice; ha inoltre una virtù ignota alle donne: la perfetta obbedienza”. Quel che un tempo era appannaggio degli scrittori, oggi è opera di influencer e giornalisti (sic). Qui di seguito un breve assaggio delle parole nuove che hanno attraversato gli ultimi sei decenni di storia italiana.Politichese. Prima del Sessantotto politici e giornalisti, lontani dalle masse poco alfabetizzate, utilizzavano un parlare “togato”, nel cui profondo si agitava lo spettro del tediosissimo Don Ferrante manzoniano. Poi il mondo studentesco e quello operaio proclamano “l’autogestione, il collettivo, la comune, l’autonomia, l’autonomia operaia, che scavalca le mediazioni sindacali e transita verso la lotta armata, il partito armato”, lo “stragismo”. Ma accade anche qualcosa di più profondo, la distanza tra l’alto e il basso comincia ad attenuarsi. La parola scritta inizia il percorso di accoglienza del lessico familiare parlato, di usi linguistici più informali come scafato, mazzo, pallista.

Cazzeggio. Gli anni Ottanta – quelli del reflusso, dell’edonismo reaganiano, del cazzeggio, dell’insostenibile leggerezza di Milan Kundera – si distinguono per un florilegio di nuove parole (yuppies e paninari ne coniano parecchie). “È il momento del rampantismo, dell’arrembante, del griffato, del rambismo, del sorpasso (parola ‘mutante’), effetto della conquista del duopolio televisivo da parte di Sua Emittenza Berlusconi, della vittoria del Pci alle europee nel 1984 dopo la morte di Berlinguer, del presunto superamento dell’economia italiana su quella britannica nell’era dei governi Craxi”. I governi “balneari”, i governi “ponte” o “fotocopia” fanno spazio a un desiderio di stabilità, che si esprime con la passiva “governabilità” (che ci trasciniamo, tristemente, fino ai nostri giorni). La tv diventa fenomeno di massa (le “tele-risse”, il “baudismo”, il “funarismo”, il “celentanismo”) così come il calcio, che introduce termini destinati a essere esportati in altri àmbiti: “dribblare”, “pressing”, “catenaccio”.

Berluscones. “Tangentopoli” provoca la “discesa in campo” di Berlusconi, la conseguente genesi dei suoi discepoli, i “berluscones”, e del movimento avverso: “l’antiberlusconismo”. I Novanta però sono anche gli anni dell’inciucio con la sinistra, il “patto della crostata” a casa di Letta (l’altro, il conte zio). Inciucio è una parola del dialetto napoletano: “Ha il significato principale di ‘pettegolezzo’. Il verbo ‘inciuciare’ ha un’origine onomatopeica. Non se ne distinguono le parole, nemmeno le sillabe, ma solo le leggere affricazioni di un ciù-ciù: ‘nciuciare”. Inciucio diventa l’accordicchio sottobanco tra destra e sinistra (dove spopolano le metafore botaniche in cerca di un’identità smarrita dopo il terremoto di “Mani pulite”: “margherita”, “quercia”, “ulivo”).

Esodati. E alla fine arrivano i tecnici in loden, e tra un “Salva-Italia” e l’altro si perdono per strada un bel po’ di “esodati”. Il linguaggio asettico dell’economia (spesso con parole prese dall’inglese) diventa pervasivo: spending review, default… Poi è l’era del “rottamatore”: breve parentesi, chiusa dopo la sconfitta referendaria (a cui i “professoroni” danno un considerevole aiuto). Intanto a Bologna i “Meetup” di Grillo, avevano dato vita con il primo “V-Day” al Movimento 5 Stelle, che senza i “social-network” non sarebbe nato e prosperato fino ad arrivare in parlamento come prima forza, una rivoluzione “due punto zero”. Sono i populisti contrapposti agli europeisti. Arriva “l’avvocato del popolo” Conte, due governi colorati: “giallo-verde”, “giallo-rosso”. Ma arriva anche la pandemia, e durante il lockdown si capisce che in realtà è una sindemia (“la presenza di due o più patologie concomitanti, che interagiscono negativamente, influenzando sfavorevolmente il corso specifico di ciascuna e aumentano la vulnerabilità”).

C’era una volta la Sinistra

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