Kabul, atto secondo

(di Stelio W. Venceslai)

            Monica Maggioni, nota giornalista televisiva, di ritorno da Kabul, raccontava stamattina alla TV che i Talebani avrebbero ucciso ieri due artisti afghani, un comico e un cantante, ammazzandoli, al solito, per il solo crimine d’essere degli artisti, ovviamente senza processo. La giustizia del popolo.

            Tra l’altro, uno dei primi provvedimenti presi dal nuovo establishment afghano è il divieto della musica.

            L’orrore che viene da Kabul trova ogni giorno nuovi motivi di stupore. Il ritorno al medioevo si manifesta in tutta la sua tragica grandezza. Vent’anni di presenza occidentale non hanno cambiato nulla. Il terrorismo non è stato sconfitto, i morti sono aumentati, soprattutto nella popolazione civile, e la situazione economica è semplicemente disastrosa. Tempi duri per gli Afghani, ma se la sono voluta.

            Il piagnisteo occidentale sulle bambine violate, sulle nubili e le vedove rapite per fare le “spose di guerra”, sulle lapidazioni delle adultere e sulle uccisioni per strada senza processo, sulle fustigazioni pubbliche per chi indossa un abbigliamento occidentale, suscitano sdegno e riprovazione. Ma non sono una novità nel mondo islamico. Tutti, in un certo senso, ci sentiamo turbati e offesi. Che fare? Un’altra guerra, oltre quella che s’è persa?

            La propaganda occidentale postuma evidenzia questi orrori e stimola il disprezzo e l’odio per i Talebani. Ciò che è accaduto a Kabul preoccupa tutti, l’Occidente, il “nemico” e i Paesi vicini all’Afghanistan per ragioni strettamente politiche: Pakistan, Turchia, Iran, Cina e Russia. Tutti temono la ripresa del terrorismo e, per varie ragioni, il contagio fondamentalista (v. Cina e Russia).

            Scoperta la pentola, dentro vi bolle di tutto, compresa la resistenza nel nord del Paese, il contrasto fra i Talebani “buoni” e quelli “cattivi”, la concorrenza in corso con l’Isis risorto e al-Qaeda. Una nuova guerra civile è possibile in questo disgraziato Paese.

            Alcune riflessioni, tuttavia, sono necessarie per capire come si svolgono effettivamente le cose.

            L’esodo degli Occidentali occupanti è stato fissato e riconfermato da Biden per la fine di agosto. La più lunga guerra combattuta  dagli Stati Uniti nella loro storia è finita con una sconfitta. I Talebani concordano e non ammettono dilazioni. È normale. Hanno vinto e gli stranieri non sono graditi. L’Afghanistan agli Afghani!

            Gran parte della popolazione è in fuga. Non vogliono il regime che si profila, magari si sono compromessi durante i vent’anni di occupazione militare, temono per il loro futuro. Il ricordo di Pol Pot in Cambogia terrorizza. Però, mezzo Afghanistan non si può trasferire altrove. Dove va?

            Non certo in Cina o in Iran e, tanto meno, nel Tagikistan. Quando sprovveduti politici occidentali di mezzatacca parlano di corridoi umanitari, parlano di cose che non sanno. Chi li fa? Chi li organizza? Chi alimenta migliaia di persone? Con quali mezzi? Per andare dove? In altri campi di concentramento? Il Pakistan, Paese naturale di esodo, è già pieno di profughi afghani.

            Le famiglie ammassate a migliaia davanti ai cancelli dell’aeroporto di Kabul fanno pena, molta pena. Ma non hanno speranza.

            Se il nuovo regime talebano è così temuto, perché quegli uomini e quelle donne che oggi si sentono abbandonati dall’Occidente non hanno combattuto? Tra l’altro, il Paese è pieno di armi. Non dovevano combattere con i sassi. L’esercito afghano, foraggiato, addestrato e armato dall’Occidente non ha sparato un colpo. Si è dissolto, peggio ancora dell’esercito di Franceschiello. Nessuno, pare, li vuole, i Talebani, ma nessuno si è mosso.

            Dopo vent’anni di guerra il vincitore detta la sua legge, la sharia. Lo sapevano, la temevano, dopo una ventata di modernizzazione, ma nessuno ha mosso un dito. Gli Occidentali hanno abbandonato l’Afghanistan dopo una serie di errori, come fecero gli Inglesi a suo tempo e, più tardi, i Russi, ma gli Afghani hanno abbandonato se stessi, ed erano i più diretti interessati a resistere.

            Fanno pena, ma mica tanto.

            Dopo una lunga guerra civile le vendette, i massacri, gli orrori, con l’aggiunta di un tocco di estremismo, li abbiamo conosciuti anche noi. Tra il 1945 e il 1946 l’Italia, alla fine della 2^ guerra mondiale fu, percorsa da una lunga scia di sangue. Vorrei ricordare due attori, allora molto conosciuti e oggi, quasi dimenticati, Osvaldo Valente e Luisa Ferida, uccisi solo perché erano fascisti. Fanno il paio con i due artisti afghani citati dalla Maggioni.

Ma i collaborazionisti di allora non li ha salvati nessun ponte aereo. Finirono fucilati o impiccati, nelle foibe o nei gulag, in tutti i Paesi vincitori, in Francia come in Russia, in Polonia come in Belgio o in Norvegia, in Slovenia o in Croazia o in Italia.

Ha un bel dire Papa Francesco che la pace si può raggiungere concentrandosi nella preghiera. La pace è cultura, è tolleranza, è rispetto della vita. Tutte cose astratte, lontane dal vivere di oggi. L’uomo bestia è dovunque.

 

 

Roma, 30/08/2021