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LA SCUSA PUERILE DEGLI STRONZI DELLA LEGA: Luca Morisi, “la droga non è sua”.
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“Il flacone con del liquido non era di Luca Morisi“. Dopo un giorno e mezzo arriva la prima controffensiva legale dell’ex responsabile della comunicazione di Matteo Salvini, indagato a Verona per cessione di sostanze stupefacenti. La difesa dell’ex guru della “Bestia” social della Lega sottolinea come l’autorità giudiziaria stia ancora compiendo accertamenti sul contenuto di quel flacone ritrovato in casa di Morisi e che dunque sia prematuro dare per scontato che si tratti di droga liquida, o “droga dello stupro“. Ma che in ogni caso non appartenga all’indagato, “il quale – evidentemente – non può averlo ceduto a terzi”.
Questo trapela da fonti della difesa dell’ex social media manager del Capitano. Proprio per questo, aggiungono le stesse fonti, “c’è piena fiducia nel lavoro degli inquirenti” e condivisione delle parole del procuratore della Repubblica di Verona secondo il quale “si tratta di un fatto banale per quanto riguarda l’autorità giudiziaria”. Da giorni l’attenzione degli inquirenti è concentrata proprio sul flacone. I ragazzi romeni fermati l’avrebbero indicata come ‘droga dello stupro’ e, sempre secondo la loro versione, l’avrebbero ricevuta da Morisi nel corso di un “festino” casalingo.
Secondo quanto riportato da Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera, il momento-chiave risale al 14 agosto scorso, quando i carabinieri entrano a palazzo Moneta nell’appartamento al primo piano di una villa veneta, a Belfiore, nel Veronese. È quello di Morisi e “i vicini parlano di ‘una retata’”. In realtà, quel pomeriggio “i militari effettuano un controllo nell’abitazione e poi vanno via con tre uomini: 2 giovani e un adulto di circa 50 anni. Nel verbale di sequestro annotano di aver trovato cocaina. Per Morisi scatta la segnalazione al prefetto per uso personale, ma poi sono le dichiarazioni dei due giovani ad aggravare la sua posizione facendo ipotizzare la cessione di stupefacenti. I due giovani erano stati fermati in auto poco dopo aver lasciato la casa di Morisi.
Legge bavaglio, audizioni al via Anm: “L’informazione rischia”
Magistrati contro la legge sulla presunzione di innocenza, in discussione in Commissione Giustizia della Camera. Ieri ci sono state le audizioni, molto critiche, dei vertici dell’Anm, preoccupati non solo per la “ingessatura” dei procuratori e la “burocratizzazione dei giudici”, ma anche per il bavaglio alla stampa che ne deriverebbe da questa legge. Sembrano non comprendere i rischi, invece, l’Ordine dei giornalisti, che ha declinato l’invito a essere ascoltato in Commissione e la Federazione nazionale della stampa, che ha disdetto il giorno prima.
Al centro dei lavori della Commissione è lo schema di decreto legislativo del governo sulla presunzione di innocenza, deciso dalla Camera, che ha approvato a marzo un emendamento, su spinta di Enrico Costa di Azione, e dei renziani, che a sua volta recepisce una direttiva europea del 2016. L’emendamento era stato bocciato a novembre 2020 in Commissione, ma con l’avvento del governo Draghi è stato inserito nella legge di delegazione europea.
E così c’è il rischio concretissimo che assisteremo a conferenze stampa di procuratori che sembreranno dei pesci in un acquario, perché non potranno dire nulla con la scusa che ciascuno è innocente fino a sentenza definitiva: “La diffusione di informazioni sui procedimenti penali è consentita solo quando è strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o ricorrono altre rilevanti ragioni di interesse pubblico”. In silenzio pm e polizia giudiziaria, potranno parlare, si fa per dire, solo i procuratori “esclusivamente tramite comunicati ufficiali oppure, nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti, tramite conferenze stampa”. I cronisti non possono quindi neppure chiamarli al telefono. Il diritto dei cittadini a essere informati viene così calpestato, diventerebbe un’impresa ardua se non impossibile conoscere intercettazioni, ordinanze di custodia cautelare e altri provvedimenti di rilevanza sociale, che riguardano politici, membri del governo, magistrati e altri esponenti istituzionali. Per non parlare dei provvedimenti che dovranno scrivere i giudici, talmente burocratici e a rischio contestazioni, che si può determinare, come ha denunciato l’Anm ieri, un ulteriore allungamento dei tempi dei processi. Quanto all’indagato o all’imputato, non deve essere indicato come colpevole “fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza” definitiva e ha il diritto alla rettifica.
Secondo il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia, sentito anche dal Fatto, è una “ingessatura eccessiva” limitare la comunicazione dei procuratori. Si tratta di una “formalizzazione che può essere lesiva del bisogno di una corretta informazione”. Poi Santalucia rileva una incongruenza: da un lato, per esempio, un’ordinanza di custodia cautelare ( eseguita) è pubblicabile, dall’altro abbiamo “un procuratore molto irrigidito nei suoi rapporti con la stampa. Mi pare, dunque, che il decreto legislativo si muova non in armonia con il testo del codice, perché l’esigenza di pubblicabilità risponde a un’esigenza di trasparenza. Bisogna tutelare i diritti delle persone – ha proseguito – ma bisogna evitare che il processo si chiuda alla possibilità che la collettività, attraverso l’informazione, sia informata su snodi fondamentali e che questa forma di indebita segretazione non vada a scapito del bisogno di una corretta informazione”. In Commissione è stato ascoltato pure Nello Rossi, ex avvocato generale della Cassazione, sulla stessa lunghezza d’onda dell’Anm, anche per quanto riguarda i limiti che si vogliono mettere al giudice che deve scrivere un provvedimento: “È un punto tortuoso del decreto, il giudice deve argomentare sugli indizi di colpevolezza, ma facendo salva la presunzione di innocenza, quindi con artifici linguistici non desiderabili ai fini di una motivazione seria”. E, per evitare danni, suggerisce: “Andrebbe usata una formula in cui emerga con chiarezza che il convincimento del giudice è relativo a quel dato momento in cui si trova il procedimento”. Critico Vittorio Ferraresi, M5S: è preoccupato “per il diritto dei cittadini a essere informati su fatti di rilievo pubblico e anche per i giudici” trasformati in burocrati “per non violare questo diritto”. Infine, sul bavaglio all’informazione, dichiara: “Siamo per la presunzione di innocenza, ci mancherebbe, ma il silenzio è preoccupante”. La settimana prossima la Commissione voterà il parere.