«Il marchese del Grillo nun chiede mai sconti:paga o nun paga… e io nun te pago!»
Alberto Sordi
La vergona del Papa per gli abusi in Francia
Durante l’udienza generale di ieri mattina in Aula Paolo VI, Francesco ha commentato il rapporto sulla pedofilia della Chiesa in Francia che ha stimato abusi su 330 mila bambini tra il 1950 e il 2020. «Desidero esprimere alle vittime la mia tristezza, il mio dolore per i traumi che hanno subito e anche la mia vergogna, la nostra vergogna» per «la troppo lunga incapacità della Chiesa di metterla al centro della sua preoccupazione», ha detto il Papa assicurando la sua preghiera: «Preghiamo: a te Signore la gloria, a noi la vergogna, questo è il momento della vergogna».
Assolto per mancanza di prove don Martinelli
Il Tribunale vaticano ha assolto per insufficienza di prove don Gabriele Martinelli, ex allievo del preseminario San Pio X, accusato di violenza sessuale ai danni di L.G., chierichetto del Papa, quando entrambi erano minori. Assolto anche l’ex rettore, don Enrico Radice, accusato di favoreggiamento. «I rapporti sessuali sono “accertati”, ma i due imputati non sono stati condannati, perché per uno, don Gabriele Martinelli, mancano le prove che abbia coartato la presunta vittima. E per l’altro, don Enrico Radice, che abbia coperto i fatti […]. Per don Martinelli, la sentenza riconosce la sua non punibilità per i fatti contestatigli fino al 9 agosto 2008 in quanto minore di 16 anni. Lo assolve per i fatti contestatigli dopo quella data per insufficienza di prove» [Muolo, Avvenire]. La vicenda non è ancora chiusa perché bisogna vedere se il promotore di giustizia ricorrerà in appello.
Processo Becciu, annullati i rinvii a giudizio
In Vaticano il processo sulla compravendita del famoso palazzo di Londra e sulla gestione dei fondi riservati della Segreteria di Stato – che ha portato sul banco degli imputati dieci persone, tra cui il cardinale Angelo Becciu – è stato dimezzato. Il presidente del Tribunale Giuseppe Pignatone ha riconosciuto che gli imputati non hanno potuto esercitare in quei casi il diritto di difesa e ha di fatto azzerato per loro il procedimento. «In pratica sono state annullate le citazioni a giudizio di Mauro Carlino, per tutti i reati contestati, così come dei finanzieri Raffaele Mincione, Fabrizio Tirabassi, Nicola Squillace; per il cardinale Angelo Becciu per il reato di peculato relativo al finanziamento di 100 mila euro alla cooperativa Spes di Ozieri, dove lavora anche il fratello, e per il reato di subornazione di teste, ovvero il tentativo di fare ritrattare monsignor Giorgio Perlasca, testimone chiave dell’accusa. Mentre restano in piedi quattro ipotesi di peculato e due di abuso di ufficio [Giansoldati, Mess]. «Il Tribunale ha disposto anche che entro il 3 novembre si proceda al deposito degli atti ancora mancanti, tra cui le video registrazioni del testimone chiave monsignor Alberto Perlasca, del quale dovrà anche essere definita, sempre secondo l’ordinanza di ieri, la veste processuale: teste o imputato? La prossima udienza è fissata al 17 novembre. Ma conseguenza pratica della decisione di ieri è che il procedimento ora potrebbe dividersi in due o più tronconi. O per alcuni degli imputati (e dei reati) potrebbe anche non riprendere, se per esempio dagli interrogatori di garanzia che non sono stati effettuati nei due anni di indagini (e che ora dovranno esserlo) emergeranno comprovate non colpevolezze» [Muolo, Avvenire].
Boom di maltrattamenti in famiglia
Nel 2020 le violenze in famiglia a danno di minori che hanno visto l’intervento delle forze dell’ordine sono aumentate del 13 per cento. Per l’esattezza sono 1.260 bambine e 1.117 bambini che hanno subito maltrattamenti o violenze sessuali da parte di familiari o conviventi. «E il drammatico rialzo non pare un’eccezione. Analizzando i dati relativi al decennio 2010-2020 l’aumento sale addirittura al 137 per cento. Prime vittime, le bambine» [Arnaldi, Leggo].
Iniezione letale nel Missouri
Ernest Johnson, 61 anni, afroamericano, è stato messo a morte con il metodo dell’iniezione letale nella prigione di Bonne Terre, nel Missouri, Stati Uniti. Gli avvocati della difesa avevano chiesto più volte la sospensione dell’esecuzione a causa delle gravi fragilità mentali di Johnson, che aveva ucciso tre dipendenti di una stazione di servizio durante una rapina nel 1994. Anche Papa Francesco aveva chiesto clemenza per Johnson.
L’Australia e i migranti
I governi di Australia e Papua Nuova Guinea hanno annunciato che il prossimo 31 dicembre verrà chiuso il centro di detenzione per richiedenti asilo che è gestito dal governo australiano sull’isola di Manus, nel nord-est della Papua Nuova Guinea. Il centro di detenzione è stato usato dall’Australia a partire dal 2012 grazie a un accordo con il governo del paese, che prevedeva di far risiedere sull’isola i migranti soccorsi in mare per dissuaderli dal cercare di raggiungere l’Australia. Resterà invece aperto un centro simile nello stato insulare di Nauru. La politica migratoria australiana è contestata da anni dalle organizzazioni per i diritti umani.
Terremoto in Pakistan, 15 morti
In Pakistan un terremoto di magnitudo 6 ha scosso la provincia del Belucistan. Il bilancio è di almeno 15 morti e 60 feriti. Tra le vittime, anche sei bambini. L’epicentro della scossa è stato vicino alla capitale distrettuale Harnai. Il sisma è stato registrato alle 2.31 ora locale, un minuto dopo la mezzanotte italiana.
Varriale non va in onda
L’ex vicedirettore di Rai Sport Enrico Varriale, indagato per stalking e lesioni personali aggravate dopo la denuncia dell’ex compagna, è stato sospeso dal video per decisione dei vertici Rai fino a quando non sarà tutto chiarito. Al momento nei confronti del giornalista il giudice ha disposto la misura cautelare del «divieto di avvicinamento a meno di 300 metri dai luoghi frequentati dalla persona offesa».
Assolto Azouz Marzouk
Azouz Marzouk, il marito di Raffaella Castagna e padre del piccolo Youssef, due delle quattro vittime della strage di Erba del 2006, è stato assolto dall’accusa di calunnia «perché il fatto non sussiste». Marzouk era finito imputato dopo la richiesta fatta alla Procura generale milanese di raccogliere nuove prove necessarie alla revisione del processo sui quattro omicidi che si è chiuso con la condanna all’ergastolo di Olindo Romano e Rosa Bazzi. Nel presentare la richiesta, Marzouk aveva accusato i coniugi Bazzi di aver reso confessioni fasulle sulla strage. Da qui l’accusa di calunnia.
Buzzi ha aperto un pub
Apre oggi in via di Tor Vergata, a Roma, il Buzzi’s Burger, il pub di Salvatore Buzzi. Nomi dei panini: Gomorra, Suburra, Samurai, Mondo di Mezzo e Agro Pontino. Ci sono poi gli hot dog Er Terribile e Er Negro e l’insalate Genny e Scrocchiazzeppi. «In questo locale pagano tutti: amici, parenti e conoscenti, i pubblici ministeri pagano doppio e i giudici triplo. Hanno diritto allo sconto gli ex soci e i dipendenti del gruppo 29 giugno», ha detto Buzzi all’AdnKronos.
Vitaliano Trevisan ricoverato in psichiatria
«Prigioniero, da domenica in psichiatria (accertamento psichiatrico obbligatorio). Resisto». Alle 19 di martedì Vitaliano Trevisan ha scritto questo su Facebook. Poco dopo ha pubblicato un secondo post, in cui lo scrittore, attore e regista vicentino entra nei dettagli della vicenda di salute che lo riguarda: «Per accertare la mia “sanità mentale” possono tenermi recluso 15 giorni. Ne sono passati tre. In teoria potrei chiedere di andarmene, essendo l’accertamento non coercitivo, ma, se lo facessi, come mi è stato fatto chiaramente intendere, rischierei il Tso (Trattamento sanitario obbligatorio, ndr). Perciò rinuncerò al mio diritto, non chiederò di andarmene e resterò in osservazione».
«Al telefono, l’autore del romanzo “I quindicimila passi” spiega la situazione. È ricoverato in Psichiatria, a Montecchio Maggiore. All’origine del ricovero ci sarebbe un Aso, accertamento sanitario obbligatorio: “Nasce – dice Trevisan – dall’istanza che ha fatto la mia compagna, che vive in Toscana e l’ha fatta mentre io ero qua, a 450 chilometri di distanza. L’ha fatta, sembra, per il mio bene, perché teme per la mia salute mentale: questo è. E io sono costretto qua perché una persona che è a cinquecento chilometri teme per la mia salute mentale…”. Sabato scorso il regista/attore è stato contattato dal comandante dei carabinieri di Crespadoro, che ha chiesto di parlargli. Domenica, Trevisan si è presentato in caserma, rientrando prima da un viaggio. Lì, due agenti della municipale gli hanno notificato l’Aso e un’unità del 118 lo ha portato a Vicenza, reparto psichiatrico. Lunedì il trasferimento a Montecchio» [Piva, CdS].
Un coniglietto per Playboy
Per la prima volta Playboy mette in copertina un coniglietto maschio. Si chiama Bretman Rock, è gay e di colore. Bretman ha 18 milioni di follower sui social ed è stato indicato nel 2018 da Time come uno dei trenta adolescenti più influenti del mondo.
«Uno strike nelle intenzioni dei comunicatori della rivista consapevoli che qualsiasi assurdità ben comunicata può essere elevata a messaggio di libertà e di eguaglianza. Certo, convincersi che avere un uomo oggetto in copertina possa contribuire a qualche causa progressista è veramente difficile. Questione di percezione. “Ci aspettavamo tutto queste reazioni”, ha detto un portavoce del PLBY Group, che pubblica la rivista. “Sono simili a quelle che Playboy ha ricevuto quando nel 1971 mise in copertina l’afroamericana Darine Stern, quando nel 1991 scelse la modella trans Tula Cossey; quando ci siamo battuti per l’aborto al tempo di ’Roe contro Wade’ e negli anni Settanta per la riforma della cannabis”» [Corbi, Sta].
FONTE:

TERZA PAGINA
«A fine mese, quando ricevo lo stipendio,
faccio l’esame di coscienza
e mi chiedo se me lo sono guadagnato»
Paolo Borsellino
Giuda
di Mattia Feltri
La Stampa
In dodici giorni s’è capovolto il mondo ma in pochi sembrano essersene accorti. Il 23 settembre una sentenza ha stabilito l’inconsistenza del processo Stato-mafia e dunque no, la verità raccontata per un ventennio con profusione di scandalo, secondo cui istituzioni, ministri e servizi segreti tramarono nell’interesse della mafia e contro lo Stato, e Paolo Borsellino fu ammazzato per essersi opposto, non è una verità. Martedì un’altra sentenza (definitiva) ha stabilito che i processi sulla macellazione di Borsellino, e che portarono a una sequela di ergastoli rifilati a innocenti, originarono da un «colossale depistaggio»: una mostruosa costruzione calunniatrice e una delle pagine più vergognose della storia giudiziaria: sono parole pronunciate martedì in Cassazione per ratificare la sentenza d’appello con cui si spiegava che la mafia fece saltare in aria Borsellino per vendicarsi del suo maxiprocesso e per prevenire sue nuove pericolose indagini, che infatti subito dopo vennero archiviate. Poi la strage fu liquidata col colossale depistaggio convalidato da non so quanti magistrati dell’accusa e da non so quanti giudici. Forse l’ho fatta troppo complicata, quindi cerco l’estrema sintesi: Borsellino non è morto con il tradimento della politica e dei servizi segreti deviati – il bel ritornello di ogni panzana – è invece morto con il tradimento di altri pezzi dello Stato, che stanno attorno a procure e tribunali o magari ci stanno dentro, intronati con le loro corone e i loro scettri, e non pagheranno mai. Il mondo s’è capovolto, ma si farà finta di niente e si continuerà a piangere su Borsellino con un bacio di Giuda.
Mattia Feltri
Libertà
di Michele Serra
la Repubblica
La polemica su Facebook, negli Stati Uniti, specie dopo le “rivelazioni” di una ex dipendente secondo la quale – chi l’avrebbe mai detto – l’azienda punta al profitto e non al benessere dell’umanità, rischia di prendere la solita piega moralista, con qualche venatura paranoica. La dipendenza dai social, specie per quanto riguarda la permeabilità ai discorsi violenti e/o cretini, sarebbe subdolamente indotta a scopo di lucro dal perfido Zuckerberg, così come il tabagismo è colpa dei colossi del tabacco, la tossicodipendenza colpa dei narcos, eccetera. La domanda è quanto può aiutarci, per sentirci più liberi e meno condizionati, dare sempre la colpa agli altri. Se ogni genere di dipendenza, di soggezione, di credulità, è imputabile a manovratori occulti, a speculatori cinici, scompare nel nulla l’idea che esista una libertà di scelta; nonché una responsabilità individuale. Se uno trascorre la vita appeso al suo smartphone e non trova il tempo di guardare le nuvole, o di fare una passeggiata, certamente è patologico. Ma di questa patologia non è solamente la vittima: ne è anche l’autore. La dipendenza esiste, è un problema grave, nel mondo migliaia di medici, psichiatri, terapeuti la studiano e la combattono. Ma se passa il concetto che (cito Altan) ogni cazzata che facciamo ha sempre un mandante, e il nostro ruolo nel mondo è sempre e solo quello delle povere vittime, che speranza abbiamo di uscirne vivi? Togliete all’alcolista la facoltà di bere di meno, al tabagista quella di fumare di meno, al ludopatico di tenersi lontano dalle slot-machine, al digitatore incallito l’idea che può sopravvivere anche senza i social, e gli avrete tolto ogni speranza.
Michele Serra
Pigro
di Camillo Langone
Il Foglio
Madonna del Rosario, prega per me che ho trasformato la preghiera in vanità, cinquanta Ave Maria in dieci soltanto, la recita della grande preghiera mariana nell’acquisto compulsivo di anelli-rosario d’argento: sono un cattolico devozionale, sentimentale, superficiale e pigro. Prega per me che fuggo da ogni battaglia, da ogni Lepanto, che il 7 ottobre 1571 mi sarei dato malato e che il 7 ottobre 2021 (anniversario piuttosto tondo e piuttosto ignorato: 450 anni) mi giustifico dicendo che le crociate solitarie sono un peccato di superbia, che contro i turchi esterni e i turchi interni nulla si può fare, dato questo Papa, dati questi cristiani, e dunque nulla faccio. Il Signore è con te: sia anche con me che non ho un merito uno, che mi rigiro anelli intorno alle dita aspettando la fine del mondo.
Camillo Langone
Bitcoin
di Alessandro Graziani
Il Sole 24 Ore
Comprare bitcoin e altre criptovalute? Si può fare anche pagando in contanti attraverso uno sportello “bancomat” (ATM bitcoin). In Italia il fenomeno per ora procede a rilento e, anche per l’incerto quadro normativo, gli sportelli si attestano intorno alle 70 unità. Senza contare che, anche per gli evidenti rischi di riciclaggio di denaro sporco, le attività di questi particolari bancomat dei bitcoin sono già finiti nel mirino dell’Unità di Informazione Finanziaria (UIF) della Banca d’Italia e della Guardia di Finanza.
Eppure a livello globale il trend è in forte ascesa e, secondo gli ultimi dati aggiornati di Finbold.com, solamente nei primi nove mesi del 2021 nel mondo sono stati aperti 13.242 nuovi Bitcoin ATM. La diffusione geografica mostra come il fenomeno riguardi per ora quasi solo i Paesi occidentali e tra questi in particolare quelli del Nord America (USA e Canada) dove finora sono in funzione 26.489 ATM dedicati al bitcoin, livello che rappresenta il 93,5% delle “macchine” installate. L’Europa è seconda con 1.268 “sportelli” (4,5%), terzo il Sudamerica con 290 ATM (1%). Chiude la graduatoria l’Africa con sole 20 macchine, ovvero lo 0,1% del totale globale. Il report di Finbold evidenzia che la forte crescita del 2021 è andata di pari passo con il boom delle quotazioni del bitcoin e la sua crescente diffusione tra il pubblico retail.
Ma come funzionano gli ATM Bitcoin? Si versano contanti e la macchina “carica” la somma equivalente in criptovaluta sul wallet fornendo i documenti anagrafici e il numero dello smartphone (in alcuni casi è previsto anche il riconoscimento facciale). È possibile fare anche l’operazione inversa, ovvero scaricare bitcoin cambiandoli in contanti. Quale è la clientela più interessata? Nessuno può dirlo con certezza ma è evidente che – pur in presenza di tetti giornalieri all’utilizzo compresi tra i 1.000 e i 2.000 euro – il meccanismo si presta a favorire forme di piccolo riciclaggio di denaro sporco. Tanto che, secondo quanto rivelato da una recente inchiesta di Wired, l’Unità di Informazione Finanziaria (UIF) della Banca d’Italia ha incaricato la Guardia di Finanza di mettere sotto osservazione i bancomat di criptovalute.
La nuova attività, peraltro, in Italia non è ancora regolamentata in modo definitivo. Nel 2019 il decreto legislativo 125 aveva stabilito che chi offre servizi legati alle valute virtuali deve iscriversi a una sezione speciale del registro dei cambiavalute, tenuto dall’Organismo agenti e mediatori (Oam). Per l’attuazione del decreto però serviva un ulteriore provvedimento del Mef, cui era demandata la definizione di tempi e modi di iscrizione all’albo, che ancora non è stato emanato. I gestori dei bancomat per bitcoin, spesso società domiciliate in Paesi dell’Est Europa, sono comunque tenuti al rispetto della normativa antiriciclaggio italiana. Ma le maglie dei controlli, in assenza di un albo analogo a quello dei cambiavalute, restano larghe. E non è sempre facile verificare che vengano rispettati i limiti all’entità delle transazioni e/o alla frequenza con cui esse possono essere effettuate.
Alessandro Graziani
Il governo americano ha preso sul serio in considerazione l’idea di coniare una moneta di platino dall’astronomico valore di un trilione di dollari, per superare l’emergenza debito ed evitare un default che precipiterebbe l’economia nella recessione. La segretaria al Tesoro Yellen è contraria, e quindi è assai difficile che la proposta diventi realtà [Mastolilli, Sta].
QUARTA PAGINA
«Gli uomini si sbagliano,
i grandi uomini confessano
di essersi sbagliati»
Voltaire
Confessioni
di Stefano Lorenzetto
Corriere della Sera
Giuseppe Dossetti, il politico che si fece monaco, riposa da 25 anni nel minuscolo cimitero di Casaglia, frazione di Marzabotto, con i 93 martiri che il 29 settembre 1944 furono trucidati dai nazisti. Quando giunse alla sua ultima dimora terrena, era mezzo secolo che non vi veniva sepolto qualcuno. Volle stare per sempre qui, fra le vittime degli eccidi di Monte Sole. Le croci di ferro recano ancora i segni dei proiettili che falciarono la popolazione ammassata nel camposanto.
Giuseppe Dossetti è morto, ma vive nelle sembianze di un nipote che si chiama come lui e come lui ha scelto di diventare presbitero. Don Giuseppe Dossetti, parroco di San Pellegrino e del Buon Pastore, a Reggio Emilia, è prete da 50 anni. Fu ordinato il 2 ottobre 1971: «Era un sabato, come in questo 2021». Ogni tanto va a trovare lo zio, anzi a parlarci insieme: è questo che contempla la comunione dei santi nella teologia cattolica. Poi fa visita a due delle sue quattro sorelle, suore nel vicino monastero della Piccola Famiglia dell’Annunziata, fondato dal giurista ed ex leader democristiano. Fu deputato della Dc anche Ermanno Dossetti, fratello del religioso e padre di don Giuseppe. La moglie, Angiolina Corradini, mise al mondo sei figli in sette anni. Il sacerdote è il primogenito. Mantiene ottimi rapporti con i politici cattolici della sua terra, da Romano Prodi («bella testa, una risorsa per l’Italia, frequentavamo lo stesso liceo classico, l’Ariosto») a Pierluigi Castagnetti e Graziano Delrio, l’ex sindaco di Reggio Emilia due volte ministro («è un mio parrocchiano»).
Ha fatto per 13 anni il prete operaio.
«All’inizio non ero consacrato. Finiti gli studi di teologia, andai a lavorare alla Cuccolini, centrifughe e filtri per il vino. Dalle 7.30 alle 18.30, con due ore di pausa. Per l’ordinazione, chiesi al padrone, Pierino Cuccolini, ex operaio, i 15 giorni di congedo matrimoniale, visto che mi sposavo con la Chiesa. “Eh, no”, obiettò. “E se poi ti spreti e prendi moglie, come faccio a darti un’altra licenza?”».
Gesù voleva gli operai nella sua vigna, non a produrre macchinari enologici.
«Impartì il cattivo esempio: per 30 anni fece il falegname. Nei Vangeli apocrifi si narra che il padre Giuseppe costruì per re Erode un trono con un bracciolo più basso dell’altro. E il garzone Gesù fece il miracolo: li riportò in pari».
Come si trovava nel luogo di lavoro?
«Benissimo, tant’è che da prete vi rimasi part-time altri 11 anni. Al vescovo Gilberto Baroni dissi: voglio capire come vive la gente. Era una fabbrica in cui ci si parlava. Gli operai mi elessero persino delegato sindacale a mia insaputa».
Le è capitato di confessarli?
«Sì, uno. Erano loro a confessare me».
Quanto guadagnava?
«Il primo stipendio fu di 90.000 lire, 23.000 servivano per l’affitto. Abitavo con Anastasio Guidicini, un operaio diventato monaco. Mio zio, piuttosto apprensivo nei miei confronti, me lo mandò affinché mi sostenesse».
Era legato allo zio Giuseppe Dossetti?
«Moltissimo. Fu mio padrino di battesimo. Andavo a trovarlo nei luoghi sempre più appartati dove si ritirava. A Gerico viveva in una capanna di fango e frasche. Un caldo indiavolato, specie quando spirava il khamsin, il vento del deserto. Mi fece amare la Terrasanta. Aprì un primo monastero a Gerusalemme, sul Monte dello Scandalo, e un secondo vicino a Madaba, in Giordania, e un terzo poco distante da Ramallah».
Le capitò di averlo come confessore?
«Certo».
Che penitenze le dava?
«Non particolarmente onerose».
Quando fu l’ultima volta che lo vide?
«All’ospedale di Bazzano, pochi giorni prima della sua morte, avvenuta il 15 dicembre 1996. Fu un trapasso penoso: la malattia aveva tolto la parola a un oratore eccelso. Gli ultimi consigli me li diede indicando le lettere dell’alfabeto, una per volta, scritte su un foglio. Mi commuovo se ripenso al congedo: un gesto circolare della mano, concluso additando il crocifisso appeso sul muro di fronte al letto».
Che significato aveva?
«L’espressione della totalità. Voleva dirmi che tutto confluisce lì, nella croce: la consolazione, il senso della storia e della vita, il mistero di Dio che prende su di sé la tragedia dell’uomo. Perché lui il male l’aveva conosciuto. Per questo si fece seppellire nel cimitero dove i nazisti sterminarono la gente di Casaglia. Tennero basso il tiro per colpire anche i 37 bambini di età inferiore agli 11 anni schierati in prima fila, non prima d’aver ucciso sull’altare il parroco don Ubaldo Marchioni, e sparato sulla pisside con le ostie consacrate, e ammazzato in chiesa una paralitica che non poteva seguire gli altri nel luogo scelto per la mattanza».
È nato a Cavriago. Come lo ricorda?
«Rammento con chiarezza gli omoni che si erano insediati in casa nostra, soldati della Wehrmacht, penso. Mio padre era in montagna con i partigiani cattolici. Mia madre e mia nonna mi raccontavano che un giorno esclamai: “Mamma, torna papà!”. Fu presa come una profezia».
Perché è diventato sacerdote?
«Per una promessa fatta a 6 anni in confessionale, mentre mi preparavo alla prima comunione. Don Dino Torreggiani mi disse: “Stringiamo un patto, io e te? Da grande farai il prete”. D’istinto acconsentii, mi pareva un mestiere nobile».
E come mai vedeva prete proprio lei?
«Era un rapitore di anime».
Ma a quell’età che cosa poteva comprendere dei sacramenti?
«Le risponderò da parroco: non è che gli adulti ne capiscano molto di più. “Se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli”, insegna Gesù. Da presidente di una scuola dell’infanzia, vedo nei piccoli un’inclinazione naturale ad accogliere il messaggio evangelico».
Quindi la sua, più che una vocazione, fu una promessa.
«C’è differenza? Una volta consacrato, i miei genitori mi rivelarono che da fidanzati si erano augurati di vedere sacerdote il primo figlio maschio. A 14 anni fui certo che Lui mi chiamava. Li ha esauditi».
È anche presidente del Ceis di Reggio.
«Da quasi 40 anni. Non volevo. I tossicomani mi facevano orrore, li ritenevo irrecuperabili. Ne ospitai uno in casa e commisi gli errori di tutti i genitori».
Può riferirmi lo sbaglio principale?
«Lo consideravo un marziano, anziché una persona. Tre mesi passati a Roma con don Mario Picchi mi aprirono gli occhi. Nel 1979 era scoppiata l’emergenza droga. Mi convocò il vescovo: “Puoi occupartene? Dimmi pure di no, come hanno fatto altri tuoi confratelli. Ma sappi che sei l’ultimo in lista al quale lo chiedo”».
E lei accettò.
«Il prete che li assisteva prima di me, don Franco Marchi, era mio amico. Aveva chiesto la riduzione allo stato laicale e si era sposato. Divenuto padre di due figli, rinunciò al suo lavoro per il Ceis. Si ammalò. Sembrava una sciatica, invece era un tumore delle ossa. Morì nel giro di 18 mesi, pregando per i suoi e per me».
Una mia amica che era con lei al Ceis di Roma mi dice che la vedeva piangere.
«C’era una forte componente emotiva. Si piange anche di gioia di fronte alla bellezza di una persona che si mette davanti a te nella sua verità e si fida».
È stato curato alla Magliana.
«A Pian Due Torri, per l’esattezza, una landa desolata di campi incolti e baracche lungo il Tevere. Arrivò la speculazione edilizia e ci costruì 42 casermoni da 600 vani ciascuno. Pietro De Negri, detto Er Canaro, uscì da lì. Mentre studiavo teologia a Roma, aiutavo il parroco, don Alberto Altana. Mi ha infuso l’amore per i diseredati. La Chiesa ha bisogno dei poveri. Sono loro a conservarle la fede».
Ha trascorso due estati al Cottolengo. «Qui s’insegna un mestiere che altrove non può essere imparato altrettanto bene: ad avere pietà», mi disse suor Giuliana Galli. Lei che cosa vi ha appreso?
«Il senso della sofferenza, una dimensione per me fondamentale. Ricordo ancora l’ex venditore ambulante malato di Sla che riusciva a muovere solo le mani eppure organizzava la vita degli altri ospiti. E poi il reparto dei bambini, focomelici, idrocefali… Ah, quello era duro».
Sul Resto del Carlino ha scritto un aspro intervento contro la pillola Ru486. Ma aborto ed eutanasia non renderebbero inutili luoghi come il Cottolengo?
«Forse sì, forse sta già capitando. Alcune diagnosi prenatali servono solo a questo, a prevenire le malformazioni interrompendo le gravidanze. Però si diventa disgraziati anche dopo nati, sa?».
A Cavriago c’è ancora il busto di Lenin inaugurato nel 1922. Va tolto o lasciato?
«Lasciamolo, perbacco!».
Ha idea del perché i comunisti si concentrino in Emilia anziché in Calabria?
«Soprattutto nei reggiani c’è l’empito di cambiare il mondo. Votare Pci o Psi significava aderire al progetto utopistico».
Nascere a Trieste, anziché a Cavriago, porta a scelte politiche diverse?
«Il comunista Vittorio Vidali era di Muggia. E pensi a quanti omicidi gli hanno attribuito».
Un partito cattolico può rinascere?
«Speriamo di no. Chi non lo votasse non verrebbe più considerato cattolico».
Don Giuseppe Dal Pozzo, parroco di Taglio Corelli, che per una vita vide a messa solo cani randagi, mi confidò che però veniva chiamato a benedire i morti. Dentro la bara tanti avevano una copia dell’Unità nella tasca della giacca.
«Qualche funerale con la banda che suonava l’Inno dei lavoratori è capitato anche a me di celebrarlo. Ne ho nostalgia. Mi inteneriva. Trovo molto ingiusta la privatizzazione del dolore».
Quanto conta la politica nella sua vita?
«Su una scala da 1 a 10, conta 4. La evito. Faccio il prete, quindi devo esserlo per tutti. Aiuto solo la gente ad avere fede, a vivere con fede, a morire con fede».
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