DEBITO CINESE, PRONTI ALLO SCOPPIO DELLA BOMBA?

La salita vertiginosa ha portato a raggiungere il 287% il rapporto debito (pubblico e privato) su PIL e si sente già forte e chiaro il ticchettio della bomba ad orologeria.

 di Innocenzo Orlando

Considerando quanto è grande l’estensione dell’economia cinese e quanto ormai è interconnessa con le economie di mercato globali, c’è da avere timore di quanto danno possa provocare tale deflagrazione in tutto il mondo. Attualmente il debito cinese è di 46 mila miliardi di dollari e rappresenta il 21% del debito mondiale, secondo solo al debito americano che ha la fetta più grande col 28%.

Se gli USA rappresentano anch’essi una parte così grande dell’intera torta perché ci preoccupiamo principalmente della Cina? La risposta più semplice e che fotografa bene ciò che sta accadendo è rappresentata con grande evidenza dalle tendenze numeriche. La media di crescita del debito cinese è del 18% annuo per ognuno degli ultimi 20 anni e nel periodo pandemico la Cina si è indebitata per il 32.1% di tutto il debito globale contratto per affrontare le difficoltà economiche creatisi.

Il Dragone rosso, tanto esaltato per la sua forza inarrestabile, già da diversi anni ha tirato il freno nella crescita del PIL ma, non volendo interrompere la loro brama di dominare l’economia e per certi versi quindi “conquistare” il mondo, ha continuato nonostante ciò tramite il suo sistema finanziario centralizzato a elargire denaro a pioggia ad aziende e cittadini. Oltre a ciò vi è una società che sta arrivando agli estremi dei fenomeni più brutali della globalizzazione che sono l’urbanizzazione e il consumismo.

Tutti vogliono avere una casa di proprietà e tutti vogliono spendere e spandere con lo Stato totalitario che è arrivato tardi nel vedere i lati negativi della cosa e ora fatica a mettere in campo le contromisure.

È vero che il regime cinese ha tutte le armi a disposizione e pochi scrupoli per condizionare la propria società verso l’indirizzo desiderato ma in questo caso si è smossa una valanga che pare essere inarrestabile e probabilmente anche loro lo stanno capendo.

Più le difficoltà aumenteranno e maggiore sarà la loro aggressività nella competizione globale oltre che, da non sottovalutare, la minaccia militare di cui fino ad oggi non avevano mai avuto bisogno.

Dopo gli Stati Uniti che pare l’abbiano già capito da tempo, anche in Europa sembra che venga percorsa, seppur annunciata sommessamente e in grave ritardo, l’unica strada percorribile: l’autonomia strategica e in contrapposizione all’economia cinese.

Speriamo non sia rimasto nessuno, nemmeno in Italia, che voglia invece camminare felicemente sulla nuova Via della Seta.

Mutatis mutandis la Repubblica Popolare Cinese ha iniziato ad attivare strumenti di scienza applicata soltanto nell’ultimo decennio del XX secolo.

Leggo tra le considerazioni sui gravi accadimenti del secolo dei commenti taluni apprezzabili e condivisibili, il riferimento ad un sensibile incremento demografico registrato nel corso degli ultimi decenni negli Stati componenti la Comunità internazionale.

Orbene, vorrei soffermarmi su un dato oggettivo: la statistica demografica ed il principale strumento operativo di questa scienza applicata, quindi non pura, fra l’altro piuttosto giovane, che si identifica nel “Censimento”.

In proposito faccio presente che tale best practise si è sviluppata in modo piuttosto eterogeneo a livello mondiale. A ciò si aggiunga un dato inequivocabile: nei Paesi aderenti al Commonwealth quale interesse poteva giammai avere la Corona Anglicana nel conoscere il numero di indigeni dei disseminati territori, non ultima la vasta estensione delle Indie Orientali?