QUANDO UCCIDERE UNA DONNA NON ERA FEMMINICIDIO
di Ferdinando Terlizzi
Una ‘rapina’ con il bottino di 8 galline e una collanina d’oro finita in un efferato delitto. La versione ‘annacquata’ propinata ai carabinieri.
“At conclusione laboriosissime difficili indagini il contadino 30enne Amato Caparco, messo di fronte inconfutabili prove raccolte, habet cinicamente confessato aver ucciso volontariamente et con premeditazione, nel sonno, propria consorte Anna Dragone, contadina, simulando scopo scagionarsi, omicidio a seguito di rapina. Movente delitto causato da morbosa gelosia manifestata”.
Il 17 maggio del 1959, quattro giorni dopo il delitto, i carabinieri, coordinati dal maggiore Vincenzo Pallisco, comandate del Gruppo di Caserta, con la collaborazione di Angelo Lanzotti, comandante la Compagnia di Capua, del tenente Gennaro Rapisarda, della Tenenza di Mondragone e del Brig. Aniello Romanucci, comandante della Squadra di Polizia Giudiziaria della Procura sammaritana presentavano un dettagliato rapporto inchiodando il Caparco alle proprie responsabilità. Gli veniva contestato l’uxoricidio, la simulazione e il porto abusivo di arma.
Verso le ore 1,45 del 13 maggio del 1959, tal Domenico Caputo informava il vice brigadiere Antonio Radina, comandante della stazione temporanea di “Torre del Lago”, che alla località “Martinez”, agro di Castel Volturno, tre banditi armati e mascherati fatta irruzione nel podere dell’Opera Nazionale Combattenti, contraddistinto con il n° 956 riconosciuti nel corso della perpetrazione della rapina da tal Anna Dragone l’avevano soppressa con un colpo di arma da fuoco. Il cadavere della donna veniva piantonato ed iniziavano le indagini di rito.
L’atteggiamento di riposo del cadavere ed il fatto che la vittima risultava coperta sino alla regione toracica dalle lenzuola e dal copriletto faceva ritenere che fosse stata colpita nel sonno. Nei pressi di un viottolo che dal Podere conduce alla strada provinciale ‘Ponte a Mare-Villa Literno’ fu rinvenuto un sacco (chiuso mediante un fil di ferro) e contenente 8 galline vive di proprietà del marito della vittima Amato Caparco.
Invitato il Caparco a specificare come si erano svolti i fatti questi dichiarava ‘che verso le ore 24 del 12 maggio del 1959, mentre si trovava a letto assieme alla moglie era stato svegliato dallo starnazzar di polli di sua proprietà rinchiusi nell’adiacente pollaio. Nell’alzarsi per vedere cosa stava succedendo aveva determinato il risveglio della moglie alla quale aveva detto di ‘stare zitta e di non accendere la luce’. Giunto nell’adiacente cucina, aperta la porta che immette sullo spiazzale antistante il podere, aveva notato che dinanzi alla porta stessa stazionava una persona alta circa un metro e 74, abbastanza robusta, portando un cappello a ‘larghe falde’ ed una benda che gli copriva la fronte gli occhi, ed armato di pistola impugnata con la mano destra. Continuando nella sua dichiarazione il Caparco precisava che lo sconosciuto puntatagli la pistola contro il fianco sinistro gli aveva intimato di ‘non gridare’ perché differentemente lo avrebbe ucciso. Entrato aveva sentito la moglie Anna esclamare “V’aggiu conusciuto” a tale frase aveva fatto seguito l’esplosione di un colpo d’arma da fuoco. Esploso il colpo i tre sconosciuti erano usciti precipitosamente allontanandosi verso la strada provinciale per Villa Literno. Rimasto per un attimo come istupidito – essendosi poi – ripreso e portatosi in uno spiazzo antistante il Podere aveva cominciato a gridare “Currite…currite… i marioli m’ hanno arrapinato” e mentre gridava aveva sentito gli sconosciuti a mettere in moto una macchina che si era velocemente allontanata. Alle sue grida accorsero per primo il fratello Mario, seguito dalla sorella Jolanda e dalla madre Angelina Turco. Successivamente erano giunte altre persone tra le quali i suoceri.
La seconda versione dei fatti più ‘annacquata’ della prima. Aiuto… aiuto i mariuoli hanno accisa a Nannina. La confessione
Contestata al Caparco l’assurdità della sua versione questi la modificava aggiungendo che circa cinque settimane prima del ‘fattaccio’ ignoti ladri si erano impossessati di 5 galline e di un tacchino tenuti da sua madre in un pollaio adiacente al suo. Che trovandosi il giorno precedente al delitto presso la madre, assieme al figlio Savino e la moglie, per assistere ad una proiezione tv, si era recato presso l’adiacente casa del fratello Mario ed aveva prelevato un fucile da caccia calibro 12 e con lo stesso aveva fatto una piccola ispezione arrivando fino alla sua camera da letto dove aveva lasciata l’arma. Mentre la moglie si era attardata per spogliare il figlio e metterlo a letto egli –diversamente – si era subito coricato ma verso le 22 aveva sentito dei polli ‘starnazzare’ e credendo che ignoti stessero per rubare i suoi capponi si era alzato aveva preso il fucile e mentre tentava di caricarlo (con una cartuccia resa difettosa dall’umido) e forzando poi il grilletto era partito una colpo – mentre lui era in piedi vicino al letto – che aveva colpito in faccia la moglie rendendola cadavere.
Poi messo alle ‘strette’ il Caparco ritenne opportuno confessare. I carabinieri invitarono il Caparco a ripercorrere tutto il tragitto e le movenze, dall’ideazione del suo delitto fino all’esecuzione, e ne filmavano ogni sequenza. Si appurò, inoltre, che diversamente da quanto dichiarato dal Caparco i rapporti con la moglie non erano affatto ‘idilliaci’ tanto è vero che in paese correva voce di una relazione intima del Caparco con la cognata Maria Angela Napoletano. Era emerso che più volte i due amanti scambiandosi segnali si trovavano nello stesso posto di campagna intenti a…’tagliare l’erba’…! La giovane Angela Maria Napoletano, dal canto suo negava, sia la ‘tresca’ con il Caparco sia la ‘gelosia’ della Anna Dragone, rimarcando che mai era stata fatta oggetto di attenzioni sessuali dal cognato. Venne anche fuori – sempre pochi giorni prima del delitto – una aggressione del Caparco nei confronti della giovane la quale aggredita nella stalla e respinto il tentativo di violenza aveva esclamato nei confronti del cognato: “Disgraziato…ricordati che io ho marito e figli .
In appello il verdetto fu di 24 anni di reclusione, senza vizio parziale di mente.
Il 3 febbraio del 1960, Vincenzo Adami, fu più spietato dell’assassino nella sua requisitoria per la richiesta del rinvio al giudizio. “Il crimine consumato da Amato Caparco – scrisse – cinicamente premeditato ed attuato va valutato con il più freddo rigore. Nessuna giustificazione umanamente comprensibile può mitigare la severità del giudizio. Amato Caparco ha voluto sopprimere la moglie che ostacolava il suo fedifrago amore per la cognata ed ha compiuto l’uxoricidio da vigliacco –non trattenuto neppure dalla vista del figlioletto – dormiente nella medesima stanza. Ha inscenato poi la rapine e le isteriche, ipocrite manifestazioni di cordoglio riferite dai testi, ai quali, peraltro, non sfuggì la mistificazione e l’artificio” . Il 23 marzo del 1960, con una missiva diretta al giudice istruttore Camillo Grizzuti, la difesa di Amato Caparco iniziò la sua marcia verso la ‘demolizione’ dell’accusa tentando di strappare il turpe personaggio dal carcere a vita. La prima perizia ad essere espletata, affidata al Prof. Achille Confora, direttore dell’Istituto di Medicina Legale della Università di Napoli, in data 10 luglio 1959, fu quella ‘tossicologica’ sul cane della famiglia Caparco. Da quella ‘tossica’ si passò a quella balistica, affidata al tenente colonnello Giuseppe Brundo Cateno, il quale nei risultati evidenziò che…’il colpo di fucile che uccise la vittima fu sparato con la bocca della canna posta alla distanza dall’occhio destro di circa 2 cm e probabilmente con la bocca stessa quasi appoggiata al setto nasale. Mentre dal canto suo il Prof. Achille Canfora, della Medicina Legale dell’Università di Napoli, dichiarò che ‘la causa della morte di Anna Dragone fu una distruzione dei centri cerebrali’.
Enrico Cangiano, medico del carcere di Santa Maria Capua Vetere, fu costretto a ricoverare nella infermeria del carcere il Caparco al quale diagnosticò: ‘continue cefalee’. Il Prof. Giulio Cremona: ‘Caparco Amato, nel momento in cui commise il fatto delittuoso di cui è imputato, si trovava in condizioni di mente tali, per infermità, da scemare grandemente, senza escluderle, le capacità di intendere e quelle di volere. Egli è persona socialmente pericolosa’. bAmato Caparco comparve davanti alla Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere, e la sua condanna fu a 26 anni di reclusione con la scriminante del ‘vizio parziale di mente’. La sentenza venne appellata dall’imputato. La Corte doveva escludere l’aggravante della premeditazione – scrissero gli avvocati difensori Carlo Cipullo e Enrico Altavilla, nei loro motivi di appello.
A tanto controreplicò il Procuratore Generale “… La diminuente del vizio parziale di mente è stata concessa senza il contributo di una propria indagine”. Si scelsero tre super periti per annullare il riconosciuto vizio parziale di mente: il Prof. Dottor Aldo Semerari , Libero Docente in Neuropsichiatria e Medicina Legale dell’Università di Roma; il Prof. Dottor Antonino Cirrincione, Libero docente in Psichiatria nell’Università di Roma e Prof. Dottor Mario Moreno, Libero Docente in Psichiatria nell’Università di Roma. I tre ‘super-periti’ demolirono l’elaborato del perito di ufficio del primo processo dichiarando che il Caparco era ‘sano di mente’. Lui aveva simulato la pazzia con un teatrale ‘non voler sapere non ricordare’ – ‘2+2 uguale 6’ –‘la gallina ha tre zampe’ – ‘la neve è rossa… etc. etc’.
La Corte di Assise di Appello di Napoli, ritenne che il giudizio ‘diagnostico’ dei secondi periti era stato formulato con argomentazioni ineccepibili ‘per rigore logico e precisione scientifica’. Nel verdetto finale la Corte chiarì che ‘la diminuzione di pena conseguente alle attenuanti generiche va però contenuta nel minimo edittale passando dall’ergastolo a 24 anni di reclusione, in considerazione dell’orribile gravità del crimine, commesso con spietata freddezza e con particolare efferatezza. Ed in parziale riforma della sentenza della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere, con la esclusione dell’attenuante del vizio parziale di mente, e concedendo le attenuanti generiche, ritenute prevalenti sulle contestate aggravanti, e pertanto conferma la pena di anni 24 di reclusione inflitta per il delitto di uxoricidio pluriaggravato’.