Incipit di un articolo di Andrea Minoglio sul sito della Repubblica: «2030, 2100… quando pensiamo al futuro, spesso, un secolo ci sembra già un’eternità. Ma se la data da prendere in considerazione fosse addirittura il 22 dicembre del 12.021, cioè esattamente tra 1.000 secoli? Inimmaginabile». Siamo d’accordo sull’inutilità dello sforzo d’immaginazione: i 10.000 anni per arrivare alla data ipotizzata corrispondono a 100 secoli, non a 1.000.
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«Le istituzioni, come i politici e le agenzie di controllo, non possono rimanere ignavi e inerti di fronte a questa “guerra non dichiarata” della sicurezza sul lavoro». Così Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, nell’omelia durante il funerale di Filippo Falotico, giovane operaio deceduto in seguito al crollo di una gru. Non si sa perché, l’aggettivo inerti diventa inermi nel Tg1 delle 13.30. Stesso errore nel testo di Sky Tg24: «L’arcivescovo: “Le istituzioni non restino inermi”». Si associano allo strafalcione Carlotta Rocci sulla Repubblica e i titolisti di Avvenire («“Le istituzioni non siano inermi”»), nonostante Andrea Zaghi nel suo servizio riporti correttamente la frase del prelato: «“Le istituzioni, come i politici e le agenzie di controllo, non possono rimanere ignavi e inerti”». Idem l’anonimo autore della didascalia a corredo di una fotonotizia sul Corriere della Sera.
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In apertura del Tg1 delle 20, Laura Chimenti annuncia che nella cabina di regia istituita dal governo per l’emergenza Covid-19 «si valuterà le misure da mettere in atto per il periodo natalizio», anziché «si valuteranno». Eppure l’insopportabile «buonasera, buonasera» iniziale, che invariabilmente Chimenti rivolge ai telespettatori per distinguersi dagli altri conduttori, dovrebbe farne una super esperta di plurali.
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Intervista natalizia in stereofonia alla «Santità di Nostro Signore» (come si scriveva in Vaticano fino agli anni Sessanta del secolo scorso), cioè al Papa, firmata dai vaticanisti del gruppo Gedi. Il ciellino Paolo Rodari sulla Repubblica e il nipote omonimo dello scrittore Domenico Agasso senior, pallido epigono dell’antenato, sulla Stampa firmano un testo uguale fin nei minimi dettagli, addirittura con diacritici identici su alcuni cognomi, e persino per lo stile, come si evince dal seguente scambio di battute con Francesco: «Pochi giorni fa ha compiuto 85 anni… “Vi sbagliate, ne ho compiuti 75! (Scherza e ride, ndr)”». Tuttavia anche a Natale il diavolo fa le pentole ma non i coperchi perché alla velina originaria fanno difetto gli accenti sui nomi spagnoli, che i due si sono ben guardati dall’integrare. Non s’erano mai visti intervistatori diversi che partoriscono un testo uniforme. Quale sarà stato il ruolo degli zelanti incensatori? Uno copia, l’altro incolla?
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Titolo dalla Verità: «Banca Ifis pianta oltre 2.200 nuovi alberi». I nullatenenti possono piantare solo vecchi alberi?
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Veronica Gentili sul Fatto Quotidiano riferisce che Sarah Palin «si è espressa così riguardo il vaccino anti Covid». Forma scorretta. Per il Grande dizionario italiano dell’uso di Tullio De Mauro, così come per altri vocabolari (Zingarelli, Devoto-Oli, Treccani, Sabatini-Coletti, Garzanti) e per la Grammatica della Treccani, la locuzione da usare è riguardo a, quindi nel caso specifico «riguardo al vaccino anti Covid».
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Umberto Folena commenta nella sua rubrica Press party, su Avvenire, una «singolare congiunzione astrale-giornalistica», rappresentata dal fatto che prima Stefano Lorenzetto sul Corriere della Sera e poi Dario Cresto-Dina sulla Repubblica (della quale è vicedirettore vicario) si sono avventurati a dare la parola a due astrologi, Marco Celada e Marco Pesatori, mentre tutt’intorno si spargevano – ma guarda che coincidenza – le soavi note di Astro del Ciel e Tu scendi dalle stelle. A parte che durante il press party natalizio l’editorialista deve aver ecceduto con i drink, perché Celada sul quotidiano dei vescovi diventa Massimo anziché Marco, sarebbe interessante sapere da Folena, con tutta evidenza molto esperto in fole, come dobbiamo interpretare il racconto dell’evangelista Matteo, il quale per due volte specifica come i Magi venuti da oriente siano giunti alla grotta di Betlemme guidati da una stella, anziché da Google Maps. Esercizio minimo per un giornalista abituato a esibirsi sulla testata che da oltre mezzo secolo pretende di pronosticare l’avvenire per i suoi lettori.
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Titolo dal Giornale: «Il Pm che indagò Salvini vicino alla procura di Roma». Bastava che il segretario della Lega si fosse allontanato di due passi e l’avrebbe sfangata.
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Sull’Osservatore Romano, don Antonio Pelayo, giornalista di lungo corso nonché consigliere ecclesiastico dell’ambasciata di Spagna presso la Santa Sede, scrive di tre missionari gesuiti nati «nella Spagna del XVI secolo». Di Alonso de Barzana annota tra l’altro che «s’imbarcò per l’America del sud nel 1509» per poi morire «a Cuzco nel 1597 all’età di 67 anni». Ma si era imbarcato 21 anni prima di nascere? «Nel 1903», invece, Pedro Páez «riuscì ad arrivare in Etiopia», dove «il 21 aprile 1618 scoprì le sorgenti del Nilo azzurro». Possedeva la macchina del tempo, perché avrebbe fatto la scoperta 285 anni prima di raggiungere quel luogo dell’Africa. Reverendo, rilegga i suoi testi, visto che redattori e correttori dell’Osservatore Romano fanno più acqua delle sorgenti del Nilo.