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Il direttore delle carceri Petralia: “A ogni magistrato farebbe bene una settimana in carcere”
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Il direttore delle carceri Petralia: “A ogni magistrato farebbe bene una settimana in carcere”
“Gli agenti picchiatori hanno tradito la divisa. La prigione cambierebbe se tutti lavorassero”
di Liana Milella
ROMA – Il direttore delle carceri italiane, Bernardo Petralia, per tutti Dino, fino al maggio 2020 magistrato antimafia, dà a Repubblica la sua prima intervista. E svela dettagli su una nuova realtà, quella del lavoro.
Anche nel 2021 il pianeta carcere è finito sui giornali per il sovraffollamento, per il Covid, per i maltrattamenti, per i mafiosi che vogliono liberarsi dal 41bis. E invece ecco una novità, 15.827 detenuti, cioè il 30% dei 54mila presenti, lavora. E riesce anche a cambiare vita. È solo un dato del Cnel?
“È un dato confortante. E ci spinge a premere proprio su questo tasto. Le prospettive di incremento lavorativo sono tante, direi tantissime. Insieme alla Ministra Cartabia, stiamo sperimentando anche ipotesi innovative, e se la pandemia rallenta la sua morsa, ne sentiremo presto parlare. Questo da Nord a Sud. Fermo il discorso che se si riuscisse a far lavorare tutti i detenuti, a quel punto i problemi della realtà penitenziaria ne risentirebbero in positivo”.
Addirittura 54mila persone potrebbero lavorare tutte?
“Tra queste bisogna distinguere tra i detenuti definitivi e quelli ancora sotto giudizio. Il lavoro appartiene a tutti, ma il risultato più intenso lo si ha con chi è definitivo, anche se non mancano molti esempi di lavoranti giudicabili”.
Le esperienze di lavoro sono moltissime. Solo isole di pregio oppure un carcere che davvero sta cambiando faccia?
“I lavori sono di tanti tipi, e alcuni di vera eccellenza. Anche io ne voglio citare alcuni, di cui ho cognizione diretta. La digitalizzazione dei processi più importanti della Repubblica. Il processo Moro è in corso, si sta per iniziare il più voluminoso di tutti i tempi, quello di Ustica, e poi il processo Gelli, per i quali sono state già bandite le gare per il tutor e l’acquisto degli scanner”.
“A Rebibbia. Lo stesso carcere in cui una decina e più di detenuti fanno un lavoro di alta specializzazione e umanità. Gestiscono il call center dell’ospedale Bambin Gesù di Roma”.
In concreto cosa fanno?
“Io stesso ho visitato la sala dove lavorano questi “telefonisti” che rispondono alle chiamate continue e pressanti di tutta l’utenza, fatta soprattutto di genitori e di parenti. Lavorano esattamente come si fa nel centralino di un ospedale, ma alcuni detenuti, con il permesso per il lavoro esterno, svolgono questo servizio dentro il Bambin Gesù. Ma c’è molto di più…”.
Si riferisce ad altri lavori utili per la collettività?
“Le cito tre casi particolarmente significativi. La rigenerazione di modem della Linkem che escono come nuovi dal carcere di Lecce e da Rebibbia femminile. Posso rivelare che i manager dell’azienda mi hanno confessato che questa manodopera è di gran lunga superiore a quella esterna. Poi la bonifica del parco Rogoredo di Milano. E la pulizia dei giardini e delle coste dell’isola di Favignana”.
Lei ha fama di essere un capo Dap che non sta chiuso a largo Luigi Daga. Che cosa l’ha colpita di più?
“In questa funzione ho imparato molto dai sindacati, dal Garante nazionale dei detenuti Mauro Palma, e dalle associazioni. Ma voglio citare esperienze che mi hanno lasciato il segno. Talvolta, quando giro le sezioni degli istituti, mi sento chiamare per nome e cognome, e mi rendo conto di come il rapporto di distacco vissuto da magistrato si sia trasformato in qualcosa di più umano”.
Lei quanto gira nelle carceri?
“A volte visito anche due istituti a settimana, ed è colpa del Covid se il mio giro non è ancora completo. Ma tenga conto che in istituti problematici sono tornato più volte per verificare se quello che non andava è stato messo a posto secondo le indicazioni date”.
Come possono coesistere le realtà del lavoro con i pochi metri di una cella? Non è una contraddizione?
“Di certo non è l’unica. E mi riferisco a quando, girando per le sezioni e parlando con i detenuti, scopro che anche in quei pochi metri quadri talvolta manca l’acqua calda, o non funzionano gli scarichi. Questa è la ragione per cui torno anche più volte, e pure a sorpresa. Lavoriamo tutti per cercare di ridurre il più possibile queste contraddizioni e rendere le migliori possibili le condizioni di vita in un istituto. A beneficio di tutti. Devo dire che mi colpisce sempre però l’ordine quasi maniacale che vedo nei pochi metri delle celle. Per non parlare delle camere delle donne, colorate e ricche di ninnoli e di ricordi”.
Lei parla di donne, e che mi dice dei bimbi in carcere con le loro mamme? Diamo loro una speranza. Il 2022 sarà l’anno giusto per farli “evadere”?
“Il nido di Rebibbia è vuoto e allo stato abbiamo in totale negli istituti 16 donne e 18 bambini piccoli, ma – come dice la ministra Cartabia che si sta adoperando molto per questo doloroso problema – “anche un solo bimbo in carcere è troppo”. Allora, da capo del Dap dico ai miei colleghi magistrati e al Parlamento che questa drammatica questione va risolta con il contributo di tutti”.
Il Covid. I vostri dati parlano di circa 500 detenuti positivi su 54mila e di 600 agenti su 37mila. È il segno di una battaglia che non si riesce a vincere? In carcere sta entrando Omicron?
“Quest’ennesima ondata, purtroppo, colpisce pure le carceri, dove abbiamo però anche percentuali altissime di vaccinazione: al momento sono oltre 95mila le dosi somministrate. Possiamo dire che grazie ai protocolli con le singole Asl e al pressing continuo che facciamo sulle Regioni le misure di prevenzione al momento ci danno una statistica fatta di pochissimi sintomatici e qualche ricoverato, poiché tutti gli altri sono asintomatici”.
Una situazione sotto controllo?
“In questo momento posso rispondere di sì. E abbiamo allertato i provveditori perché tramite le autorità sanitarie locali vengano costituiti degli open day, nei quali sia possibile procedere a una libera e continua vaccinazione di detenuti e personale. Stiamo verificando inoltre la possibilità di fare avere negli istituti mascherine Ffp2”.
Il 2021 si chiude e la notizia più drammatica sul carcere è stata quella dei detenuti picchiati a freddo a Santa Maria Capua Vetere e degli agenti violenti arrestati. Com’è stato possibile?
“Quello che io chiamo un tradimento della divisa si è scoperto grazie alla scrupolosa attività di un magistrato di sorveglianza. Da quella vicenda è scaturito un rigore estremo da parte nostra, anche per scongiurare il rischio di un trascinamento in questa vergogna dell’intero corpo della Polizia penitenziaria che invece dà continui segni di essere sano”
Draghi e Cartabia, quando hanno visitato quel carcere il 14 luglio, hanno detto: “Non c’è giustizia dove c’è abuso”. Se lei fosse un detenuto dormirebbe tranquillo in una patria galera dov’è potuto accadere un fatto del genere?
“Quella visita è stata un momento estremamente importante: la presenza del Governo ai massimi livelli ha trasmesso un messaggio fortissimo di vicinanza all’intero sistema penitenziario e ai suoi infiniti bisogni. La verità è che in nessun istituto si dorme tranquilli. Non dimentichiamo mai che sono luoghi di prigionia. E uso volutamente questo antico termine che fa comprendere come in quei luoghi si venga tristemente privati del bene prezioso della libertà. Quando vinsi il concorso in magistratura, mio suocero penalista mi disse che per ogni toga sarebbe utile vivere per qualche settimana la vita del carcere. Adesso capisco fino in fondo quelle parole”.
Lei, e il suo vice Roberto Tartaglia, siete arrivati al Dap dopo le rivolte del marzo 2020. Il carcere di Modena distrutto. E nove morti dentro. Tredici in tutto nei penitenziari italiani. Da magistrati antimafia avete capito se dietro c’era la regia delle cosche?
“Da allora a oggi non abbiamo avuto segnali di un coordinamento unico delle mafie. Ma ovviamente questa è una domanda che dovrebbe rivolgere a chi indaga”.
“Da gennaio mi dedicherò al carcere” dice la ministra Cartabia al costituzionalista Marco Ruotolo che le ha appena consegnato una corposa proposta per innovare il sistema penitenziario. Mi dica i tre interventi che lei farebbe subito.
“Rafforzare la salute in carcere, anche attraverso l’estensione a tappeto della telemedicina, anche se non è nostra diretta competenza; aumentare in modo significativo l’organico della polizia penitenziaria e degli educatori, cosa a cui abbiamo cominciato a lavorare da subito con la ministra. Rendere gli istituti più accoglienti e moderni con un aumento significativo degli spazi per il trattamento. Per garantire questo obiettivo quest’anno, per la prima volta con una cifra così importante, sono stati destinati 20 milioni di euro, cioè il 30% del budget a disposizione del Dap, per gli spazi trattamentali”.