Dopo due anni da un matrimonio “imposto” uccise la moglie a calci. Alla Corte scrisse un memoriale con il quale ‘confessava’ di non aver avuto intenzione di ucciderla. 

L’assassino: “Non sono affatto pentito di quanto ho commesso e mi dispiace soltanto di avere sporcato le mie scarpine del sangue di mia moglie”…

Il 21 maggio del 1957 nel cimitero di Carano una piccola frazione di Sessa Aurunca, il Prof. Carlo Romano, eseguiva l’autopsia di Carmela Di Meo, vittima del brutale uxoricidio perpetrato dal marito Austilio Colella. Dopo l’esame autoptico iniziava l’istruttoria giudiziaria e veniva affidato l’incarico di perito – per una indagine clinica, psicologica e psichiatrica dell’imputato – al Prof. Ugo Massari, psichiatra allora molto in voga. Il primo responso fu che ‘il Colella era un deficiente dell’intelletto, degli affetti e della volontà’. E’ cioè un ‘frenastenico’.  Il 22 maggio del 57 al Pretore di Sessa Aurunca il Colella  precisava  la storia dei suoi  rapporti con la Carmela Di Meo. Circa due anni prima ella gli aveva esternato  la sua viva simpatia tramite due suoi amici, Angelo Di Pietro e Erasmo Asciolla. Senza essersi più visti le nozze venivano celebrate nel dicembre del 1955  e dopo il rito gli sposi facevano ritorno a ciascuno a casa propria.

Sei sette mesi dopo la Di Meo metteva in atto vari tentativi per convincere lo sposo di prenderla a casa sua tramite Orsola Colella, Ernesto Di Pietro e successivamente a mezzo di Vincenzo Cuomo e Vito Tuccillo, adducendo che i genitori volevano scacciarla di casa. La donna lo invitava a prenderla a casa sua e gli dava due mesi di tempo per la decisione, dichiarando testualmente: “Altrimenti sappiamo noi quello che dobbiamo fare… ti uccidiamo”. Avendo a tale richiesta il Colella risposto ‘che non intendeva lasciarsi intimorire una seconda volta e per di più sentirsi chiamare ‘cornuto’ in tutto il paese’  la moglie cominciava ad urlare, ad insistere, a fare rimostranze per circa una decina di minuti, tanto che egli, persa la pazienza, le vibrò un cazzotto al viso.

 

Nel mentre la donna caduta a terra chiedeva perdono e piangeva, egli nel buio, al solo scopo di darle una lezione e non essere più molestato le vibrava a casaccio cinque sei calci. Ciò fatto si allontanava, ma avendo constatato  che aveva le scarpe sporche di sangue, era andato dai carabinieri, ai quali aveva dichiarato di aver fatto una buona ‘paliata’ alla moglie.

Nel corso delle indagini si appurò, tra l’altro, che Liliana Di Meo  era a conoscenza che il Austilio Colella aveva avuto relazioni intime con la sorella Carmina,  la quale perciò lo sollecitava continuamente al matrimonio che veniva sempre da lui differito con continui pretesti fino a che la defunta venne a conoscenza che il suo seduttore si era fidanzato con un’altra ragazza di Piedimonte di Sessa Aurunca,. tale Maria Simeone provandone grande risentimento.

In conseguenza di tale fatto nella prima quindicina del gennaio 56, Gina Di Meo ed Angelina Binovelli in Poccia, rispettivamente sorella e cugina della vittima si erano recate in casa della signora Anna Maria Capomacchia coniugata Mazzei, per raccontarle l’accaduto e darle incarico di informare subito il padre della ragazza sedotta senza far nulla trapelare alla madre, sofferente di cuore.

La signora Mazzei condusse a termine l’incarico  ricevuto, dopo aver prima mandato a chiamare la ragazza per rimproverarla di quando aveva commesso. Alcuni giorni dopo il Di Meo padre ritornò dalla signora Mazzei per chiederle di voler mettere a disposizione una camera per un incontro tra i rappresentanti delle due parti al fine di addivenire ad un accordo per il matrimonio tra i due giovani. Parteciparono al convegno preliminare, per Austilio Colella il fratello Andrea e lo zio Eduardo Matano; per la Di Meo, Giovanni Cimmino e Gino Zannini.