Minacce di morte vere o presunte. Il delitto ‘atroce’ e barbaro… Le perizie: sano di mente pazzo totale pazzo parziale ‘socialmente pericoloso’

Nonostante tutto, il matrimonio fu celebrato il 27 febbraio del 1956 e dopo le nozze, gli sposi continuarono i vivere ciascuno nella propria abitazione. Ma a proposito della frase ‘manzoniana’, in questa vicenda, intervenne anche il ‘bravo’ dell’epoca un tal Eduardo Martino, uno stretto parente della Di Meo il quale minacciò il Colella e la madre di morte se non avessero riparate il ‘guasto’ con le giuste nozze. Ma anche questo episodio si tinse di ‘giallo’. Dalle indagini dei carabinieri, dalle dichiarazione dei testi, Erasmo Asciolla (cugino dell’imputato) e Mario Binovelli e dal confronto della parti (Matano: Leone Fazzone e Ines Razzino), la pretesa minaccia risultò assolutamente infondata per cui fu dai carabinieri giudicata ‘inesistente’ e messa in circolazione dalla Matano o suoi familiari al fine di creare per il Colella una giustificazione nella consumazione dell’orrendo delitto.

Angelo Di Pietro, Vincenzo Cuomo ed Erasmo Asciolla (cugino dell’imputato) negarono di aver detto al Colella che la Carmina Di Meo aveva esternato la sua viva simpatia per lui e il desiderio di diventare la sua fidanzata. Le sorelle della vittima Gina, Maria (sorda e malaticcia) e Liliana, ed in particolare quest’ultima, precisarono che la sorella Carmina allorquando si era sparsa la voce in paese che Austilio Colella stava per sposare una certa Maria Simeone aveva loro confidato il suo segreto – fino ad allora gelosamente custodito – di essere cioè stata fidanzata di nascosto per circa tre anni con lo stesso giovane e di essere stata da lui sedotta con promessa di matrimonio da effettuarsi dopo il servizio militare.

Pensarono,  perciò, di mettere al corrente del grave fatto la signora Mazzei, della quale erano coloni, e la Gina vi si recò insieme alla cugina Angelina Binovelli, per pregarla di far conoscere la verità al loro padre, al fine di trovare la migliore soluzione. Nel frattempo si accertò che il padre dell’imputato era stato ricoverato negli anni precedenti al Manicomio di Aversa ed era nello stesso deceduto e sorse quindi il sospetto che il Colella potesse essere pure non del tutto sano di mente e quindi venne sottoposto a perizia psichiatrica .

Il 5 giugno del 1958 il Prof. Ugo Massari, direttore del manicomio ‘Filippo Saporito’ di Aversa, consegnò il suo elaborato e nelle conclusioni evidenziò: “Austilio Colella per infermità, era in uno stato da mente tale, da scemare grandemente, senza escludere, la capacità di intendere e di volere. Lo stesso era persona socialmente pericolosa”.

Il 19 gennaio del 1960, in applicazione della legge del contrappasso, l’avvocato Luigi Falco, difensore di Parte Civile, depositò in cancellaria un parere dello psichiatra Prof. Annibale Puca – in contraddizione a quanto affermato dal perito di ufficio sullo stato id mente dell’imputato. Austilio Colella era capace di intendere e di volere e perfettamente sano di mente”.