Il nuovo numero in edicola e online
da domenica 6 febbraio
a cura di Angiola Codacci-Pisanelli
Un candido Mattarella in camicia da notte tiene in mano una candela e si guarda allo specchio: sgrana gli occhi attonito verso l’immagine riflessa, che è quella di un diavoletto malizioso, con tanto di forcone e coda a punta. Il disegno di Makkox per la copertina del nuovo numero e il titolo che richiama un western con Terence Hill e Bud Spencer – “Sergio perdona, Mattarella no” – mettono nero su bianco quello che L’Espresso si aspetta dal secondo mandato del presidente appena rieletto: non una banale ripetizione del passato ma una spinta decisa verso il cambiamento. Quelle novità che i cittadini chiedono da anni e che la politica non ha saputo dare, ora possono diventare realtà grazie all’impulso del rinnovato Presidente della Repubblica.
La commedia sguaiata che ha portato alla rielezione di Mattarella ha mostrato il fallimento dei partiti e la tenuta delle istituzioni: e ora spetta al Presidente incarnare, nel solco della tradizione della sinistra democristiana, quel richiamo all’ordine di cui il Paese ha bisogno, spiega Marco Damilano nel suo editoriale. Mentre un grande elettore anonimo racconta come è iniziata, dalla protesta silenziosa di un piccolo gruppo di insofferenti, la valanga di voti per Mattarella. E Mario Tronti spiega a Carmine Fotia che la crisi che ha portato alla rielezione è un’occasione di rinnovamento che la sinistra non deve farsi sfuggire.
Susanna Turco racconta la confusione di Salvini, il grande sconfitto. Carlo Tecce fa il punto sul governo Draghi, che dopo le spaccature dei giorni delle votazioni torna al lavoro diviso tra fedelissimi e guastatori. E mentre Umberto Gentiloni denuncia la figuraccia italiana di fronte all’Europa, Sofia Ventura riflette su un risultato che promette stabilità.
Marco Bentivogli invita i politici a uscire dal Palazzo, ma Marco Follini guarda già al presidenzialismo prossimo venturo. E mentre Marco Belpoliti spiega il fascino statuario del corpo di Mattarella, Francesco Occhetta sottolinea la forza delle sue radici di cattolico democratico. Anche se, sottolinea Giuseppe Genna, la vittoria di Mattarella non è tanto la vittoria di un singolo, quanto delle istituzioni.
Nel Paese, intanto, tiene ancora banco la sorte della ex-Alitalia: ora si parla di un acquisto da parte di Aponte, imprenditore italosvizzero forte di investimenti e di amicizie (ne scrive Vittorio Malagutti). Simone Alliva e Antonio Fraschilla ricostruiscono dubbi e contraddizioni dell’inchiesta sul presunto suicidio di Rossi, capo della comunicazione del Monte dei Paschi. Paolo Biondani e Leo Sisti rivelano che nelle offshore di Montecarlo boss mafiosi e fidanzate di Putin possono trovarsi fianco a fianco a loro insaputa. Enrico Bellavia spiega perché a 50 anni dal disastro aereo di Punta Raisi i motivi dell’incidente sono sempre più oscuri. Ed Erika Antonelli e Chiara Sgreccia raccontano come gli studenti che hanno animato le proteste di queste settimane stiano subendo punizioni nelle scuole.
Altan getta sale sulla ferita del sogno infranto di una donna al Quirinale, Makkox si mette nei panni di Salvini, Michele Serra ironizza sull’incapacità di prendere decisioni. E Laura Pugno invita a meditare sulla parola della settimana: mappa.
E L’Espresso chiude con un dialogo tra Chiara Valerio ed Enza Rando sulla ribellione delle donne alla ‘ndrangheta, raccontata dal film “Una femmina” in concorso a Berlino tratto dal libro di Lirio Abbate (del festival scrive Fabio Ferzetti). Piero Melati festeggia i cento anni di Manganelli, mentre Belpoliti sottolinea la sua genialità di recensore. Matteo Nucci si fa raccontare da Giorgio Montefoschi il suo nuovo romanzo, Manuela Cavalieri e Donatella Mulvoni spiegano perché il movimento Occupy Wall Street ha fatto scuola negli Usa e nel mondo. E Bernardo Valli, in margine a un libro di Paolo Nori, propone al lettore un dilemma: meglio Dostoevskij o Tolstoj?