• Ferdinando Terlizzi

 

 

Mattarella, la giustizia e lo “strabismo” politico

10 FEBBRAIO 2022

Il discorso ecumenico di Sergio Mattarella, in occasione del suo nuovo insediamento alla Presidenza della Repubblica, ha colpito non solo per i suoi contenuti, ma anche per la mole imponente di applausi rovesciata su di lui dal Parlamento in seduta comune che lo aveva appena rieletto. Le interruzioni per “acclamazione” sono state oltre 50, con una serie di prolungate ed entusiastiche standing ovation in piedi. La sfrenata – si può dire? – esultanza dei nostri politici lascia trasparire con tutta evidenza stati d’animo singolari. Nel senso che sembrano essere stati più che altro comodi applausi di autoassoluzione e autoassicurazione, una sorta di deresponsabilizzazione di sé con contestuale scarico di ogni responsabilità sulle spalle larghe del neoeletto. Con il pericolo, rilevato da alcuni acuti osservatori, che in questo modo si finisca per dar vita a una pericolosa “politicizzazione” del ruolo del capo dello Stato, a scapito delle sue peculiari funzioni di garanzia.

La più clamorosa, pressoché interminabile standing ovation si è avuta quando il presidente (secondo alcuni cronisti) ha preso a schiaffi la giustizia italiana. Ora, è vero che Mattarella ha detto al riguardo cose anche giuste e certamente forti (tra l’altro riprendendo alcuni concetti già esposti, per esempio al Csm), ma è non meno vero che si è determinata una situazione quasi surreale: nel senso che ad applaudire senza freni Mattarella, mentre parlava di degenerazione e perdita di credibilità della magistratura per la diffusione delle “appartenenze”, causa delle degenerazioni correntizie, c’erano anche i moltissimi politici che non hanno avuto mai nulla da ridire dei loro colleghi che hanno svolto un ruolo attivo nella riunione all’Hotel Champagne con Palamara. Per cui, va bene (si fa per dire) lapidare la magistratura, ma anche in questo caso dovrebbe valere il detto evangelico “chi è senza peccato scagli la prima pietra” (o il primo applauso…).

Più in generale non si può fare a meno di osservare che la sacrosanta richiesta di riforma del sistema elettorale del Csm dovrebbe – per coerenza logica e buon senso comune – investire non soltanto la componente togata (i magistrati) ma anche la componente laica (avvocati e professori universitari, talora politici e persino parlamentari in carica), eletta dal Parlamento con puntigliosa e unanime applicazione della spartizione prevista dall’intramontabile manuale Cencelli. Anche questa “appartenenza” , in uno organo di “governo autonomo” delle magistratura, dovrebbe preoccupare, o no? Invece nessuno ne parla: men che mai i politici che si spellano le mani se a essere attaccati sono quegli antipatici dei magistrati. Figuriamoci poi gli epigoni di Berlusconi, da sempre all’avanguardia nella delegittimazione pregiudiziale dei giudici, soprattutto quelli che abbiano avuto la cattiva sorte di doversi occupare professionalmente di Lui o di suoi sodali.

Del resto, gli attacchi alla magistratura ordinaria e in particolare al suo Csm (per le cui innegabili gravi disfunzioni ci vorrebbero vere riforme e non blitz punitivi o l’incostituzionale sorteggio) possono persino risultare, in buona sostanza, discriminatori e strumentali: se si pensa a quanto denunziato da Sergio Rizzo a proposito della magistratura amministrativa (Tar e Consiglio di stato) nel saggio Potere assoluto edito da “Solferino”. Dove, tra l’altro, si legge che le citazioni sono tratte da una recensione di Luca Fazzo) che i giudici amministrativi “da una parte si muovono al di fuori di ogni controllo, rendendo conto solo a se stessi; dall’altra sono però legati da un cordone ombelicale al mondo della politica”. Perché i giudici amministrativi sono “in buona parte dei ministeri e del governo”. Sono “dentro gli uffici legislativi dei ministeri, scrivono le norme che essi stessi sono poi chiamati ad applicare; le loro carriere incrociano quelle della politica e ovviamente ne vengono condizionate”. Anche qui con tanto di “porte girevoli”, cioè di giudici amministrativi che vanno in politica e poi tornano a rimettersi la toga. Con il tocco finale di un Csm dei giudici amministrativi (il Consiglio di presidenza) che presenta storture molto simili a quelle del Csm ordinario. Eppure tutto questo non allarma nessuno. Fulmini e saette sulla giustizia ordinaria e silenzio assoluto invece sui problemi che pone quella amministrativa. Altro che la classica pagliuzza contrapposta alla trave. Qui le travi sono due e meriterebbero di essere denunziate entrambe: senza strabismi.