A 30 ANNI DA MANI PULITE

Davigo a giudizio: “Segreto violato”. Ma al Csm non c’è

LOGGIA UNGHERIA – Il processo a Brescia per i verbali di Amara ricevuti dal pm di Milano Paolo Storari. L’ex consigliere: “So di essere innocente”

18 FEBBRAIO 2022

Persino le date danno il loro contributo nella storia legata alla presunta Loggia Ungheria: nell’anniversario di “Mani Pulite” – a trent’anni esatti dal 17 febbraio 1992, quando fu arrestato l’ex presidente del Pio Albergo Trivulzio Mario Chiesa – un uomo simbolo del pool di magistrati che avviò Tangentopoli, Piercamillo Davigo, finisce sotto processo.Se fisicamente è a Pisa, per un convegno sull’indagine che segnò la fine della Prima Repubblica, Davigo è virtualmente in un’aula del tribunale di Brescia, nelle vesti di imputato. E viene rinviato a giudizio, per concorso in rivelazione d’ufficio, dal gup Francesca Brugnara. Il processo inizierà il prossimo 20 aprile. È così, a trent’anni da Mani Pulite, dopo aver affrontato e spesso vinto processi delicatissimi, dopo aver indagato colossi della politica e dell’economia, quella stessa procura si ritrova spalle al muro. Davigo sotto processo e ben altri quattro magistrati sotto indagine. Dopo il caso Palamara la credibilità dell’intera magistratura è già ai minimi storici. Il crollo arriva con i verbali dell’ex legale esterno di Eni Piero Amara.

 

Tutto precipita infatti nel dicembre 2019 quando Amara dichiara al pm milanese Paolo Storari e alla procuratrice aggiunta Laura Pedio di essere membro della presunta loggia coperta Ungheria affollata da magistrati e vertici delle istituzioni. Fino a gennaio fornirà ulteriori dettagli (tutti da verificare e tuttora al vaglio della procura di Perugia guidata da Raffaele Cantone). I verbali di Amara – nell’aprile 2020 secondo le versioni di Davigo e Storari – prendono però un’altra strada. Storari ravvisa un’inerzia della procura nel procedere alle iscrizioni (accusa ritenuta insussistente, nei riguardi dell’ex procuratore capo di Milano, Francesco Greco, che sarà indagato e archiviato). Per tutelarsi denuncia la situazione a Davigo – in qualità di membro del Csm – che lo autorizza a rivelargli le notizie coperte dal segreto. Ad autorizzarlo, secondo Davigo, c’è una norma del 1994: non si può opporre il segreto istruttorio a un membro del Consiglio. In sostanza, secondo Davigo, non ci sarebbe alcuna violazione del segreto. Evidentemente la procura di Brescia la pensa diversamente. Storari consegna a Davigo una copia in formato word dei verbali di Amara. L’avvocato coinvolge due consiglieri del Csm in carica: Sebastiano Ardita, della stessa corrente di Davigo, e Marco Mancinetti. A quel punto – è la versione di Davigo – il consigliere del Csm, nel timore che scegliendo le vie formali possa essere vanificato il segreto istruttorio, come già accaduto nello scandalo legato a Luca Palamara, decide di informare oralmente i membri del comitato di presidenza del Csm. A partire dal vicepresidente David Ermini (e attraverso lui il Quirinale). Davigo informerà dell’indagine – parlando della questione Ardita e “vincolandoli al segreto istruttorio” – anche altri consiglieri del Csm e le sue segretarie. Ed è per questo motivo che Ardita, che si considera danneggiato dalla condotta di Davigo, s’è costituito in giudizio come parte civile. Di lì a poco Davigo lascia il Csm. E al Csm lascia anche una copia dei verbali ricevuti da Storari. Da quel momento in poi, a sua insaputa, il segreto istruttorio va in frantumi: nell’ottobre 2020 copia dei verbali giunge in forma anonima al Fatto Quotidiano che – per non distruggere l’eventuale indagine in corso e temendo una polpetta avvelenata, non avendo prova che fossero autentici – denuncia alla procura di Milano e li deposita nelle mani di Storari e Pedio.

A marzo 2021 li riceve la cronista di Repubblica Liana Milella che denuncia a Perugia. Una copia giunge infine al consigliere Nino Di Matteo che prima denuncia a Perugia e poi rivela durante un plenum del Csm il “dossieraggio calunnioso” ai danni di Ardita. Inizia così l’inchiesta sulla fuga di notizie. L’invio dei verbali alla stampa e a Di Matteo viene attribuito alla segretaria di Davigo, Marcella Contrafatto, oggi indagata per calunnia a Roma. Storari confessa a Greco di averli consegnati a Davigo. Rinviato a giudizio, Davigo commenta: “Non dirò mai una parola contro la giurisdizione che ho servito per 40 anni. I processi servono per accertare se l’imputato è colpevole o innocente. Io so di essere innocente”. Storari ha scelto il rito abbreviato, la sentenza è prevista il 7 marzo. L’accusa – che ieri ha parlato di “buona fede” dell’imputato, contestata radicalmente dalla parte civile Ardita, sin dall’atto di costituzione – ha chiesto una condanna a 6 mesi per aver consegnato i verbali a Davigo “fuori da ogni procedura formale”.

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