*Senza rete*

di Vincenzo D’Anna*

Una delle maggiori conquiste fatte dall’uomo è stata quella di poter vivere sotto l’imperio delle leggi ponendo fine all’assolutismo di regnanti e governi tirannici. Tutto ebbe inizio nel XVII secolo, in Inghilterra, con l’Habeas Corpus Act, uno strumento col quale si riconosceva il diritto di un individuo di poter contestare la reclusione come illegale. In pratica il “corpo” del prigioniero veniva affidato e protetto dal sistema giudiziario inglese e non più abbandonato alla mercé dei carcerieri. In quel modo il principio di legalità prendeva il sopravvento sull’arbitrio riconoscendo al presunto reo il diritto di essere giudicato incolume e rispettato. Il diritto inglese si arricchì, più tardi, del Bill of Right, la dichiarazione dei diritti politici e civili, approvata da Maria II Stuart e Guglielmo d’Orange mentre, oltreoceano, i patrioti americani, usciti vincitori dalla lotta per l’indipendenza contro la corona britannica, davano alla luce lo “United State Bill of Right”, la carta costituzionale dei futuri Stati Uniti. I regimi politici che seguirono questi atti fondamentali del diritto e della stessa civiltà sociale, emularono quei fondamenti dandosi regole e norme nelle quali erano sanciti i poteri assegnati al popolo e le prerogative delle quali avrebbero goduto i governati. Dobbiamo arrivare alla fine dell’Ottocento per aggiungere un altro grano alla corona delle libertà con la creazione nella Germania da poco unificata, del cosiddetto “stato del benessere” una rete di protezione sociale per indigenti e bisognosi. La parabola virtuosa si conclude, alla metà del secolo scorso, con la creazione, da parte dell’economista liberale William Beveridge, del cosiddetto modello di welfare state. Sarà bene sottolineare che contrariamente a quanto la gente ritiene, tutti questi atti furono posti in essere da uomini e governi d’ispirazione liberale e non estrapolati da modelli socio economico di stampo marxista o socialista. Un lungo prologo introduttivo, il nostro, per dire che le società aperte, le “big society”, immaginate e proposte da pensatori, sociologi ed economisti, propugnavano ambienti improntati ai regimi democratici e liberali, ad un mercato di concorrenza sotto l’imperio delle regole statali, alla cittadinanza intesa come insieme di diritti inalienabili. Oggi, proprio grazie a queste conquiste, viviamo in società liberali di cui l’Italia, almeno nell’accezione terminologica del termine, fa parte. Che lo stato sociale sia diventato, purtroppo, anche un sistema per elargire sussidi ed assistenza per scopi elettorali, è sotto gli occhi di tutti soprattutto nelle aree storicamente ed economicamente depresse del nostro Paese come il Mezzogiorno a più di centocinquanta anni dalla forzosa annessione e spoliazione del Sud da parte del regno sabaudo. Parliamoci chiaro: le politiche di intervento dello Stato non sempre producono gli effetti desiderati e spesso anche la rete di protezione sociale è piegata ad interessi contingenti ben ammantati dall’ossimoro che va sotto il nome di giustizia sociale. Un espediente che teorizza la distribuzione di ricchezza ai meno abbienti oppure a settori dell’industria sconvolgendo l’equilibrio dei mercati e le regole meritocratiche sulle quali dovrebbe fondarsi la concorrenza. Vari e molteplici sono stati i guasti e gli sperperi prodotti dallo statalismo e dalla levantina asserzione che le politiche di intervento dello Stato, chiamate keynesiane, abbiano avuto scopi nobili e risultati efficienti. Tuttavia la nave, pur carica di debito pubblico, procede e si indirizza verso le più disparate, spesso bizzarre, forme di assistenza sociale. Venendo ai nostri giorni, dopo anni di controllo della spesa e delle politiche di bilancio, che hanno alienato molte simpatie alla classe politica, stiamo assistendo alla reviviscenza della distribuzione di denaro. Per paradosso, attraverso le mani di un banchiere come Mario Draghi, questo denaro viene elargito munificamente ancorché siano soldi presi in prestito e da accollare alle future generazioni di contribuenti. Almeno di quella parte di italiani che pagano le tasse. Ciò nonostante la crisi economica prima e la pandemia poi hanno creato le condizione per il laissez faire e l’ex dioscuro della Bce distribuisce sussidi. L’asino comunque casca innanzi al caro bollette ed all’aumento di tutti i generi di prima necessità. Paghiamo le scelte di una politica che vive alla giornata. Non estrae gas dall’Adriatico, si oppone ai gassificatori, ha cancellato il ricorso all’energia nucleare preferendo però acquistarla a caro prezzo all’estero. Lo stesso dicasi per la sanità, altro bubbone clientelare, mai riorganizzata su basi di produttività ed economicità, per non dire, infine, dal mancato taglio delle aziende partecipate in deficit. Insomma la solita solfa: spendere il danaro preso in prestito. A vivere senza alcuna rete di protezione duratura e sicura.

*già parlamentare