*Il campo di Agramante*

di Vincenzo D’Anna

L’Occidente ed il suo retaggio di civiltà, libertà e diritti legati alla cittadinanza, non sarebbe mai nato se nel Medio Evo l’Europa non avesse potuto contare su un grande condottiero come Carlo Magno. E, prima di lui, sul nonno Carlo Martello e sul padre Pipino il breve, che avevano sconfitto gli arabi arginandone le mire espansioniste verso l’Europa. Fu grazie all’ingegno politico ed alle capacità militari dei sovrani franchi se l’invasione musulmana fu definitivamente arginata. Con la fondazione del Sacro Romano Impero, solidamente basato su radici cristiane, e grazie al loro portato anche in campo sociale, i carolingi poterono affermarsi indisturbati nel Vecchio Continente. Buona parte di quella storia la ritroviamo descritta nel poema dello scrittore e diplomatico emiliano Ludovico Ariosto, “l’Orlando Furioso”. L’opera narra delle gesta di alcuni ardimentosi cavalieri appartenenti ai rispettivi schieramenti (cristiano e musulmano) che si fronteggiavano a quei tempi. Tra questi c’era Agramante, il re dei mori che aveva riunito eserciti di molte nazioni accomunati dalla stessa fede, pur essendo di etnie diverse e spesso dilaniati da lotte intestine. La storia è maestra di vita per chi la conosce. Insegna agli uomini continuamente ma non sempre trova discepoli. Soprattutto in questa epoca nella quale è pressoché cancellata, insieme alla geografia, dai programmi scolastici. A ciò si aggiunga la scarsa acculturazione nell’odierna “società liquida” veloce ma irriflessiva, ed il quadro appare oltre che chiaro, addirittura avvilente. Poiché la politica è originata dal libero e consapevole esercizio delle scelte degli elettori, se ne deduce che l’attuale ceto dirigenziale sia l’esatta espressione dell’odierna società. Passato il tempo delle teorie grilline, secondo le quali per fare politica non occorrevano né cultura né esperienza, ma solamente onestà e buon senso, man mano ci si sta rendendo sempre più conto di quanto erronea sia stata quella congettura e dei danni che essa ha prodotto. In tal senso, il centrodestra è un chiaro esempio di scuola: l’inadeguatezza dei partiti personali che lo compongono (simulacri di quelli veri e democratici), privi di valori e progetti comuni durevoli, trasformano quel versante in un variopinto e malfermo aggregato. Eppure i sondaggi confermano che la base dell’elettorato italiano preferisce proprio quello schieramento che raggiunge valori ben oltre il 40 per cento delle intenzioni di voto. Un dato costante nel tempo che va interpretato più come l’auspicio di una naturale inclinazione degli italiani verso politiche moderate ed in contrapposizione ideologica alla sinistra. Tuttavia per convertirsi in espressione pratica di voto, lo stesso elettore vorrebbe vedere un’unicità di intenti e di progetti: un’unica allocazione, insomma, nello schieramento dell’orizzonte parlamentare dei partiti che si richiamano alla destra, al centro leghista-forzista ed ai cespugli ex democristiani. Cosa divida, nella sostanza pratica, queste forze tra loro, non è dato sapere o meglio comprendere. Tutto pare si riduca al fattore personale, alle ambizioni alla leadership. Chiusa la parentesi della guida berlusconiana, con i suoi pregi ed i suoi difetti, comunque attrattiva ed aggregante, la lotta nel centrodestra vede contrapposti Carroccio e Fratelli di Italia, che si inseguono nelle percentuali di voto dichiarato. Giorgia Meloni, con la facondia verbale e l’uso di tonnellate di demagogia, è riuscita finanche a scavalcare Matteo Salvini nelle preferenze sfruttando il ruolo di leader dell’unica forza di opposizione al governo tecnico di Mario Draghi. Entrambi hanno ridimensionato il dato sulle intenzioni di voto verso il M5S, tenendo a bada il ritorno di Forza Italia. Quest’ultima naviga campando alla giornata intorno alle bizze e gli umori del Cavaliere ed alle sua immarcescibili ambizioni, alle precarie condizioni di salute, che spesso si aggravano in corrispondenza delle udienze dei processi nei quali l’ex premier è ancora imputato. Andati, alla prova dei fatti, in ordine sparso sulla vicenda Mattarella bis, dopo aver bruciato nomi di qualità, FI, Lega e FdI si ricompattano sulla vicenda dei referendum sulla giustizia, orbati del più importante de quesiti dalla Corte costituzionale: quello sulla responsabilità civile dei magistrati. Si ricompattano poi anche sulla votazione in Commissione (Dl Milleproroghe) relativa al tetto sul contante. Su molti altri argomenti importanti, tuttavia, tacciono. Così sulla legge elettorale in senso maggioritario, che pure fu il cavallo di battaglia del centrodestra. Così sulla riforma sanitaria con l’introduzione di principi di concorrenza, merito, apoliticità. Così sulla riforma del fisco col taglio delle aliquote, la lotta agli sprechi, ovvero l’attuazione del piano Cottarelli sulle partecipate statali deficitarie. Così sulla riforma della Costituzione in senso liberale. Insomma non si vede ancora pace e sintonia nel campo di Agramante.

 

*già parlamentare

 

 

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