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*Ucraina, la scomparsa dei pacifisti*
di Vincenzo D’Anna*
I venti di guerra soffiano minacciosi al confine tra Ucraina e Russia. Contrariamente a quanto si era appreso nelle ultime settimane dalle cancellerie europee, dopo i continui e cordiali incontri bilaterali con Vladimir Vladimirovič Putin, pare che l’invasione da parte di Mosca sia da ritenersi imminente. Se così stanno, purtroppo, le cose dobbiamo ammettere che solo gli statunitensi, per bocca del loro presidente Joe Biden, hanno rappresentato realisticamente la crisi in atto tra i due Stati dell’Est. Lo zar è ossessionato dalla presenza della Nato, l’alleanza militare dei paesi occidentali (con Usa e Canada), in Ucraina. Alleanza, va detto, che si è già espansa fino in Polonia, Ungheria, Romania e Cecoslovacchia ovvero alle porte della Russia. In verità al “patto atlantico” si sono aggregati anche buona parte degli Stati baltici e di quelli balcanici anch’essi storicamente, rientranti nella cosiddetta sfera d’influenza del vecchio regime sovietico. C’è quindi da credere che l’ex agente del Kgb, oggi alla guida del Cremlino, soffra della sindrome dell’accerchiamento. Putin è un uomo che ha vissuto nei quadri della polizia segreta e dell’apparato spionistico dell’Urss. Per questo è certamente condizionato dalla vecchia mentalità antagonista verso gli States e le loro alleanze militari. In sintesi è verosimile credere che egli senta quell’espansione americana come una indebita minaccia alla sicurezza della propria nazione e tenti, in tal modo, di porvi rimedio. L’eventuale adesione di Kiev all’alleanza Atlantica potrebbe spingere, infatti, la presenza a “stelle e strisce” fin dentro il cuore della Russia continentale e rappresentare, al tempo stesso, un esempio da seguire per le ex repubbliche sovietiche. Così, dopo essersi impossessato di una parte dell’Ossezia, della Cecenia e della Crimea (che era territorio ucraino), lo zar tenta ora di annettersi altri territori ove la maggioranza dei residenti è filorussa ed è già scesa in armi contro il governo di Kiev. Al premier russo non basta aver “normalizzato” il fronte interno con un giro di vite che lo ha trasformato in despota avendo imprigionato i suoi oppositori e messo la sordina alla stampa non allineata. Anche alcuni oligarchi sono stati privati della loro libertà e dei beni allorquando questi hanno osato esprimere idee liberali in contrasto con l’accentramento dei poteri da parte di Putin e dei suoi accoliti. Oligarchi, si badi bene, espressione di quell’ibrido politico ed economico vigente in Russia, di un capitalismo a controllo politico che concede sì di arricchirsi ma solo a patto di non interferire, sul piano sociale e politico, con chi regge le redini del Paese. Un fenomeno scaturente dal fatto che, dopo lo scioglimento dei soviet, l’immenso apparato industriale statale e lo sfruttamento delle risorse naturali, un tempo monopolio del pubblico, siano passati nelle mani dei privati. Tuttavia le libertà ed i diritti di cittadinanza sono oggi sotto la stretta tutela dell’apparato statale che può sempre intervenire usando la forza. Il capo del Cremlino ha potuto vincere le elezioni, cambiare la costituzione in suo favore, proprio grazie alla collusione tra quel potere economico dai mezzi smisurati ed il suo stesso partito. Un partito per modo di dire essendo la figura del capo preminente sugli apparati politici istituzionali e militari della Russia. Usando la carota della più ampia libertà personale concessa ai cittadini, di una ritrovata abbondanza di beni di largo consumo, Putin ha utilizzato il bastone dei metodi dello stato di polizia. Insomma il vecchio orso sovietico è ancora presente sulla scena geopolitica e militare del mondo e reclama lo status che gli compete di super potenza mondiale. La tattica del pugno di ferro in guanti di velluto lo ha molto favorito facendolo accreditare, presso i governi europei, non come un restauratore dei vecchi sistemi liberticidi bensì come un rinnovatore illuminato, leader di un apparato produttivo che produce miliardi di metri cubi di gas che poi pompa verso l’Europa. Paghiamo anche noi pegno per la stoltezza di esserci sottoposti al ricatto energetico russo, rinunciando ai gassificatori ed all’energia atomica, affidandoci alle cosiddette energie alternative, che sono variabili e ben lontane dal garantire i nostri bisogni. In tutto questo si avverte l’assenza di un movimento di opinione contro la guerra, contro l’aggressione di uno stato sovrano. Che fine hanno fatto il popolo dei girotondi, gli arcobaleno ed i variopinti protagonisti del pacifismo a senso unico? Nessuno fiata. A riposo si son messi anche intellettuali ed artisti che oggi non sottoscrivono appelli né fanno sermoni pacifisti in tv. Chissà quale subbuglio avrebbero fatto costoro, sui giornali e nelle piazze, se solo l’aggressore fosse stato americano!! Ebbene sì: ci sentiamo tutti più soli.
*già parlamentare