*Vivere senza virtù*

di Vincenzo D’Anna*

Ho avuto modo di leggere il post di un’insegnante che ha un ragazzo ucraino tra i propri alunni. Affrontando l’argomento della guerra scatenata dalla Russia contro il suo Paese, innanzi alla classe, la docente ha invitato il giovane ad esprimersi per primo. Questi ha raccontato di avere alcuni cugini 20enni che in queste ore si stanno battendo per difendere la loro patria, cosa che avrebbe fatto lui stesso se solo avesse avuto l’età per combattere. Alla domanda, rivolta ai ragazzi italiani, se avessero condiviso quegli stessi sentimenti manifestati dal loro amico di classe, la prof ha dovuto registrare il totale diniego degli astanti, tranne un solo italiano. Tutti i contrari hanno argomentato che avrebbero accettato di essere invasi da un esercito straniero senza opporre resistenza, il completo disinteresse verso quei valori espressi dal teen-ager ucraino. Insomma amor di patria a parte, sentimento che i nostri giovani poco concepiscono, i ragazzi non si sarebbero opposti alle pretese di chi avesse voluto invadere il loro Paese. Innanzi a questa realtà nuda e cruda sorgono molteplici interrogativi sul futuro che pare riservato alle future generazioni italiane. Quali siano le cause che rendono quei giovani del tutto privi di sentimento verso la propria nazione innanzi al pericolo di una guerra, non e’ dato sapere, ancorché ci sia da scommettere che gli stessi cantino l’inno di Mameli e sventolino il tricolore allo stadio durante una partita della nazionale di calcio. Quale è il discrimine che induce quei ragazzi ad essere patriottici per un banale evento sportivo e del tutto indifferenti di fronte all’idea di dover rischiare qualcosa per respingere l’oppressore e difendere la loro libertà? Innanzitutto credo si debba partire dalla scuola. Si, proprio dalla stessa scuola, ovvero da quello che essa insegna in termini sia di storia patria che di educazione civica. In sintesi: dalle cattedre si propina l’assoluto silenzio sui doveri che ogni individuo dovrebbe declinare e mettere in conto in nome dei valori e dell’etica della responsabilità sociale. La scuola, purtroppo, avendo abdicato al ruolo di educatrice e di acculturazione si limita oggi a svolgere un sommario ruolo di alfabetizzazione degli alunni. Gli stessi libri di testo sono ormai privi di notizie sui principali accadimenti del nostro passato che hanno formato l’identità nazionale e men che meno per l’amor di patria. Ma non finisce qui. Subito dopo viene la famiglia ormai disaggregata e provvisoria, non più organica e basilare per l’armonica costruzione sociale, luogo in cui tutto si concede in termini di beni di consumo ma nulla si insegna. Insomma a questi giovani non viene insegnato niente di quel che potrebbero fare da buoni cittadini adulti, titolari di libertà che si coniugano con la responsabilità. Questi ragazzi credono che il mondo che hanno ereditato sia nato così com’è e non sia, invece, il frutto di dure e sanguinose lotte per l’emancipazione ed il progresso. Se tutto è considerato dovuto e gratuito nulla induce a pensare che un giorno ci si debba rimboccare le maniche per guadagnarsi questa condizione di benessere progressivo in un regime di libertà senza freni, senza vincoli e doveri. Ecco che agli occhi di questa generazione appare un sacrificio non dovuto il solo pensare di diversi opporre ad un invasore che lede l’unità nazionale e le libertà personali della comunità. Nessuno insegna loro che nella vita nulla è senza un prezzo da pagare, nulla che valga. Sia ben inteso che nel mio scrivere non c’è alcuna professione di sostegno al nazionalismo o peggio ancora allo sciovinismo. Né voglio tarpare le ali al sentimento di sentirsi cittadini del pianeta globale. Occorre, tuttavia, essere cittadini del mondo portandosi appresso le proprie radici, la propria identità storica e culturale, la tradizione e le virtù degli italiani, non sciogliersi nel “calderone” offrendosi inermi a chi quei valori vorrebbe opprimerli con le armi. Il disconoscimento di questa secolare identità non solo genetica ma anche fatta di altre cento cose, è il punto dolente di questa generazione e di quelle future. Quei giovani non hanno manifestato neanche un sentimento di solidarietà per gli aggrediti e gli oppressi, immersi nella vita agiata, nel culto dell’edonismo, dei selfie, degli happy hour, delle griffe e delle mode. Se non conoscono le tragedie che altri giovani hanno dovuto affrontare prima di loro per poter sopravvivere, per conquistarsi un po’ pace e di felicità, è chiaro che si gireranno sempre dall’altra parte. Aldo Moro lo aveva previsto allorquando pronunciò queste alate parole: “questo Paese non si salverà. La stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere”. Anche leggerle sui libri di scuola queste parole, servirebbe ad educare i giovani del presente e del futuro. Ad ogni padre ad ogni madre è affidato questo compito: insegnare che la vita senza virtù è una pessima cosa.

*già parlamentare