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La Polizia scientifica porta via il corpo di Cristina Maioli, uccisa dal marito a Brescia, 4 ottobre 2019. L'uomo e stato assolto il 9 dicembre 2020 perchÈ incapace di intendere e volere a causa di un totale vizio di mente per "un delirio di gelosia". ANSA/ FILIPPO VENEZIA
Uccise la moglie, assolto anche in appello: “Fu delirio di gelosia: è infermità mentale”
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BRESCIA
Uccise la moglie, assolto anche in appello: “Fu delirio di gelosia: è infermità mentale”
LA SENTENZA – Professore in pensione, nel 2019 uccise in casa la moglie più giovane di 20 anni, Cristina Maioli, prima colpita con un mattarello, poi con un coltello
La sentenza che aveva fatto insorgere il mondo femminista, gridare allo scandalo parte dell’opinione pubblica, magistrati e perfino spinto il ministero ad annunciare un’ispezione negli uffici di Brescia – poi in verità mai avvenuta – è stata confermata anche in appello. Secondo “un elementare principio di civiltà giuridica, l’imputabilità ai sensi dell’art. 85, comma I, del codice penale che dice che ‘Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile’” per usare le parole del giudice Roberto Spanò, che in primo grado aveva assolto perché incapace di intendere e volere per un vizio di mente dettato dalla patologia del delirio di gelosia, l’81enne Antonio Gozzini. Professore in pensione, nel 2019 uccise in casa la moglie più giovane di 20 anni, Cristina Maioli, prima colpita con un mattarello, poi con un coltello. E infine vegliata per un giorno intero. Alla base del caso ci sono due perizie psichiatriche, una disposta dall’accusa e l’altra dalla difesa. Entrambe hanno riconosciuto l’incapacità di intendere e di volere dell’imputato. In primo grado il pubblico ministero Claudia Passalacqua, nonostante il parere anche degli esperti da lei stessa nominati, aveva chiesto la condanna all’ergastolo altrimenti – disse in aula – passa il concetto che chiunque è geloso può uccidere la compagna”. “Si tratta di un verdetto assolutorio con il quale la Corte non intende certo riservare al Gozzini un salvacondotto o un trattamento indulgente a fronte della perpetrazione di un’azione orribile, ma semplicemente tener conto di un elementare principio di civiltà giuridica, quello secondo cui non può esservi punizione laddove l’infermità mentale abbia obnubilato nell’autore del delitto la capacità di comprendere il significato del proprio comportamento”, ribatté il giudice nelle sue motivazioni. Ieri invece è stato il procuratore generale Guido Rispoli a chiedere la condanna. Fermandosi a 21 anni. “La sua gelosia patologica non era mai emersa prima dell’omicidio. Se n’è parlato solo a posteriori, nel tentativo di trovare una causa di non punibilità” la tesi dell’odierna accusa. Rigettata dai giudici della Corte d’assise d’appello di Brescia che hanno nuovamente assolto Antonio Gozzini, che a 81 anni è ritenuto socialmente pericoloso e per questo è stato associato a una Rems. Assolto perché incapace di intendere e volere, ma non libero.