L’Onorevole con la gentile consorte-

Cosentino, la seconda vita dopo l’odissea giudiziaria: produce vino nel Casertano

LA STORIA Il nome della cantina ha un sapore storico, richiama quello di Carolina Bonaparte, ultima sorella di Napoleone, e moglie di Gioacchino Murat, reggente nei primi anni dell’Ottocento del trono di Napoli. Carolina – si racconta – rimase colpita dalle alberate di uva di Asprinio della campagna di Aversa, questi grappoli maestosi e alti che la indussero a definire il Casertano terra promessa.

Così, sull’etichetta di questo importante Asprinio ad Alberata Doc che si presenta oggi, insieme a un libro, al Vinitaly di Verona, c’è scritto Bonaparte. Ma si legge, in realtà, Nicola Cosentino. Questo è, infatti, il suo vino.

Quattro legislature alla Camera, due anni al Governo come sottosegretario all’Economia, quattro anni tra carcere e domiciliari in detenzione cautelare con accuse durissime, alcune condanne, alcune assoluzioni, una carriera politica stroncata, una vita da ripensare totalmente ad appena 62 anni. Perché non ripartire dalle radici? Nel vero senso della parola. «Il nostro vigneto ha più di un secolo – dicono Antonio e Nicola Cosentino – abbiamo ripreso una tradizione che va avanti dall’età del nostro bisnonno e ancora oggi la raccolta avviene a mano, secondo i metodi tradizionali». Non aggiungono altro. Non c’è verso. Poche parole e solo sul vino. Il timore, evidentemente, è di gettare un’ombra su un lavoro antico, prezioso, recuperato ostinatamente non per ragioni di lucro ma di sentimento di sé, della propria storia, e anche un po’ di tenuta mentale. La necessità di annodare un nuovo filo, di resistere a una tempesta, di ritrovare una strada, che è un diritto di tutti. Finché c’è vita, e lo Stato può punirla ma non toglierla, c’è il diritto a ricostruirsi. E l’ex sottosegretario Cosentino ha voluto esercitarlo tutto partendo dall’uva di famiglia. «Non è più l’uomo di una volta – confida chi gli è vicino – Ha perso quel coraggio, quella spavalderia. È un’altra persona che tenta di gestire un lunghissimo lockdown soggettivo». Inutile chiedere interviste o altre dichiarazioni. C’è quasi un pudore perfino ad associare il proprio nome a quel vino. «Nicola – dicono ancora alcuni amici – ha paura di fare del male alla sua famiglia, a una tradizione antica, a una attività che ama molto, che lo ha aiutato prima psicologicamente poi anche fisicamente».

LA NUOVA VITA

Nelle campagne di Aversa, però, l’ex deputato lo conoscono bene. C’è chi lo ha visto nelle terre, chi lo ha incrociato più volte. Quella campagna è diventata lentamente una piccola, gigantesca, nuova ragione di vita, una luce accesa in questo intervallo ancora fatto di attese per sentenze che dovranno arrivare, per nuovi possibili inciampi di un tempo che, però, qui si considera più che passato, trapassato. Tutte le energie, tutti gli sguardi, adesso sono su quelle bottiglie. Non c’è il nome Cosentino neppure sulla brochure illustrativa della cantina, e nemmeno sul sito Internet dell’azienda vinicola. Guardate il prodotto, sembra voler dire Nicola Cosentino. Non guardate le storie personali. Le vicende giudiziarie restino nelle aule di giustizia, quelle storiche nei libri di storia, la politica, invece, appartiene al passato. Quel che c’è da pagare, si paga, ma lasciateci vivere. C’è qualcosa di profondo e giusto, in questo rivendicato pudore e insieme bisogno di restare visceralmente legati a un senso. Ma forse certe storie vale la pena anche di raccontarle tutte intere. Rinascere non è mai un delitto. Rinascere dalla terra, poi, per Cosentino è quasi una nemesi. Molte delle accuse che lo hanno colpito negli anni scorsi hanno parlato di terra, ma quella dei fuochi, della spazzatura, dell’inquinamento, delle collusioni. Di affari, insomma, proprio sulla pelle del territorio. Questa nuova storia, invece, sembra quasi viaggiare al contrario. Canta le lodi di un nettare degli Dèi, di una terra felice e fertile, di una uva nobile, quella della vita maritata dell’Asprinio, abbracciata al suo albero. Un vino amato già dagli etruschi, poi dai greci di Cuma e Bacoli, poi in Terra di Lavoro, seminato dai romani durante i viaggi.

L’alberata di Asprinio dei Cosentino è un vitigno intrecciato ai pioppi, agli olmi, arriva a venti metri di altezza. Ne esce un vino bianco molto amato e molto apprezzato da chi ne capisce. Pare che la vendemmia chieda piccoli atti di eroismo: arrampicate pericolose su scale lunghe e strette. Si rischia di cadere e di farsi molto male. Un po’ come con la politica. Ma se si rimane in piedi, che soddisfazione. Un po’ come risorgere dalle proprie stesse radici.

FONTE: IL MATTINO

 

asprinio di aversa

L’Asprinio è un vitigno autoctono campano, diffuso soprattutto nella zona di Caserta, dove è protagonista della DOC Aversa. Come il nome stesso fa intuire, è un vitigno dotato di grande acidità, e questo lo rende particolarmente adatto alla spumantizzazione. E’ un vitigno di antiche origini e tradizione, che negli anni del tumultuoso sviluppo dell’enologia italiana veniva utilizzato soprattutto per produzioni di massa finalizzate alla spumantizzazione o distillazione, utilizzando spesso il sistema di allevamento tradizionale che vuole le viti di Asprinio “maritate” con pioppi o olmi. In seguito alcuni produttori più lungimiranti hanno compreso che puntando sulla qualità dall’Asprinio si potevano ottenere anche vini eccellenti nella loro tipologia. Venivano progressivamente abbandonate le coltivazioni maritate, passando ai più funzionali casarsa sylvoz e limitando le rese per ceppo e per ettaro. L’Asprinio dà validi vini freschi e delicati, sia in versione secca che spumantizzata, adatti ad accompagnare aperitivi o piatti di pesce anche in frittura o tempura di verdure.