Il flop del concorso in magistratura, agli esami scritti passa solo il 5,7 per cento

di Liana Milella / La Repubblica, 22 maggio 2022

“Errori di diritto e di grammatica, ma anche candidati che non sanno andare a capo” dice il commissario d’esame Luca Poniz, pm a Milano. Il vice presidente del Csm David Ermini, “mancano 1.300 giudici, siamo nettamente sotto la media europea”. Con la riforma del Csm saltano le scuole di specializzazione, dall’università si può andare alle prove.

“Errori marchiani di concetto, di diritto, di grammatica” dice Luca Poniz, il pm di Milano che fa parte della commissione che ha corretto i compiti scritti degli aspiranti magistrati. Erano 3.797 – un anno fa – gli aspiranti a diventare pubblici ministeri o giudici. Hanno affrontato il concorso per 310 posti. Partendo come sempre dalle prove scritte. Ma all’orale ne arriveranno soltanto 220. Un misero 5,7 per cento. Che, se dovesse superare l’orale, comunque lascerebbe scoperti solo una novantina dei 310 posti oggetto del bando che era stato lanciato dall’allora Guardasigilli Alfonso Bonafede, ma che era via via slittato a causa del Covid.

Come documenta Gnews, il giornale online del ministero della Giustizia, si tratta di un risultato decisamente deludente. Severissimo il commento di Poniz, notissima toga della sinistra di Area, ed ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati, che ha fatto parte della commissione giudicatrice composta da una trentina di esperti, e che commenta così, con all’agenzia Ansa, il risultato: “Trovare candidati del concorso in magistratura che non sanno andare a capo è un problema molto serio, io l’ho imparato in terza elementare…”.

Un giudizio drastico sui lavori presentati dai candidati. E dei quali Poniz appare realmente sorpreso: “Abbiamo riscontrato una grande povertà argomentativa e una povertà linguistica. Molto spesso i temi ricalcavano schemi pre-confezionati, senza una grande capacità di ragionamento, una scarsa originalità, poca consequenzialità, e in alcuni casi errori marchiani di concetto, di diritto, di grammatica”. Dunque una netta stroncatura che ha portato alla falcidie degli stessi candidati già nella fase orale. Una tendenza che però non deve sorprendere perché già nel 2008, quando era stato bandito un altro mega concorso da 500 posti, alla fine era stata coperta solo la metà dei posti.

Una delusione per la ministra della Giustizia Marta Cartabia che, nel frattempo, a dicembre, ha bandito un nuovo concorso per 500 posti, quando già filtravano dalla commissione d’esame del concorso precedente, le prime cattive notizie sulle prove scritte decisamente sotto tono, se non addirittura pessime. Un numero, quello di 500 posti, giudicato subito “troppo ampio” da molti componenti del Csm, dove si sospettava già fortemente un flop del concorso precedente. Ecco cosa diceva il vice presidente del Csm David Ermini: “Attualmente il numero dei posti scoperti nella pianta organica dei magistrati ordinari raggiunge le 1.300 unità. I bandi vanno deserti. Per troppi anni si è investito poco e male sulla giustizia. Il personale a disposizione degli uffici giudiziari continua a essere decisamente inferiore rispetto alla media degli altri Paesi dell’Unione europea”.

Ma proprio la penuria di magistrati ha spinto la Guardasigilli Cartabia ad abbreviare la dinamica del concorso. Nella riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario che il 27 aprile è stata approvata alla Camera e che è in lista di attesa per il voto finale al Senato in programma per il 14 giugno, è prevista una novità. Si potrà accedere al concorso pubblico per entrare in magistratura direttamente dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza, valorizzando i tirocini formativi. Scompare così l’obbligo di frequentare le scuole di specializzazione, finite peraltro nel mirino delle critiche dopo il caso Bellomo, l’ex consigliere di Stato che impone un dress code se I alle sue studentesse.

Ma proprio dopo l’esito disastroso delle prove del concorso toccherà alle università discutere il tema della qualità effettiva del corso di laurea in legge e della capacità degli studenti di affrontare in concreto la professione. Dice in proposito Gian Luigi Gatta, direttore del Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università statale di Milano, direttore della rivista giuridica Sistema penale, e consigliere della ministra Cartabia in via Arenula: “L’università dovrebbe riflette sulle ragioni delle bocciature dei candidati alle prove scritte, e questo vuol dire che bisogna lavorare sulla capacità di scrittura. Il buon giurista non solo deve saper argomentare, ma deve anche saper scrivere, perché sia l’avvocato soprattutto civilista, sia il penalista devono saper scrivere atti e memorie, e anche il cuore del lavoro del magistrato è scrivere ordinanze e sentenze. Quindi, durante gli studi universitari, dovrebbe essere messo alla prova. Invece, soprattutto per i grandi numeri di chi frequenta, non ci sono occasioni per esercitarsi con la scrittura”.