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Bisogna estirpare la borghesia mafiosa per sconfiggere i boss

23 FEBBRAIO 2023

Il termine “borghesia mafiosa” – che dà il titolo al bel libro di Umberto Santino – si rinviene in una sentenza della Cassazione (2012) in un procedimento cautelare relativo al medico Giglio Vincenzo. Si legge in motivazione: “Non meno importante è tutta quella attività che serve all’associazione (’ndrangheta, ndr) per infiltrarsi nella società civile dove si presenta con il volto di personaggi insospettabili i quali avvantaggiano l’associazione fiancheggiandola e favorendola nel rafforzamento del potere economico, nella protezione dei propri membri, nell’allargamento delle conoscenze e dei contatti con altri membri influenti della società civile… Il contributo di questa borghesia mafiosa è per l’associazione fonte di potere, relazioni, contatti, e tali relazioni – che uniscono i boss con una rete di politici, pubblici amministratori, professionisti, imprenditori, forze dell’ordine, avvocati e persino magistrati – costituiscono uno dei fattori che rendono forti le associazioni criminali e che spiegano perché lo Stato non sia ancora riuscito a sconfiggerle”.

Ora la Commissione dovrà accendere i riflettori sul ruolo che ebbero, dal 1989 (attentato “dell’Addaura”) al 1996 (omicidio di Luigi Ilardo), taluni esponenti delle istituzioni e, in particolare, Giovanni Tinebra, procuratore di Caltanissetta (ritenuto potente massone), Arnaldo La Barbera, capo della Mobile e questore di Palermo che, secondo alcuni pentiti, era “nel cuore di Nino Madonia”, e i vertici del Ros in relazione a inquietanti episodi quali la mancata perquisizione e sorveglianza del covo di Riina, il mancato arresto di Provenzano e la mancata cattura di Santapaola. E sarà necessario ricostruire l’avventura criminale di Rosario Cattafi, avvocato, in gioventù legato alla destra eversiva, condannato nell’ottobre 2021 per associazione mafiosa dalla Corte di Appello di Reggio Calabria (processo ancora pendente in Cassazione), che lo ritiene “parte di una potente loggia massonica” e “avente una posizione di preminenza nell’organizzazione mafiosa di Barcellona di Pozzo di Gotto” e contatti con i boss nella stagione delle stragi, in particolare con Pietro Rampulla (l’artificiere di Capaci) e Pippo Gullotti, che procurò a Brusca il telecomando di morte a Capaci.

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