*Il totem della spesa pubblica*
di Vincenzo D’Anna*
Alla stregua di quelle tribù indiane che celebravano i loro rituali magici (oppure anticipavamo l’imminente battaglia) danzando attorno a un totem, così la politica italiana è impegnata, in queste settimane, in un ballo forsennato attorno ad un inusuale feticcio. Quello della spesa degli oltre 200 miliardi di euro stanziati dalla Banca Centrale Europea per finanziare il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Un piano, per quanto concerne il nostro Paese, redatto dal governo di Mario Draghi nell’ultimo scorcio della trascorsa legislatura ed ereditato dall’attuale esecutivo di Giorgia Meloni, con tutti gli oneri (progetti definiti ed esecutivi) e gli onori (la rendita elettorale connaturata alla grande greppia delle politiche di spesa). Il ministro delegato Raffaele Fitto, aplomb anglosassone, cerca di districarsi per dare ordine e priorità alle tante opere da mettere in cantiere, ancorché si scontino i soliti ritardi nella palude burocratica e legale che gli appalti di casa nostra devono attraversare per diventare opere pubbliche complete e fruibili. Tuttavia la buona volontà non pare bastare ed il solito ginepraio di eccezioni, rivendicazioni e primogeniture di parte, rallenta le opere in modo direttamente proporzionale alla tempistica fissata da Bruxelles e la conseguente logorrea della politica. Insomma: tutto gira attorno ai soldi oltre che alla perfidia politica delle opposizioni che, dal canto loro, puntano il dito ad ogni minimo rallentamento, dopo aver concorso a provocarlo nel tempo in cui esse stesse erano forza di governo. Al loro comportamento si aggiungono, ovviamente, le plurime rivendicazioni di efficienza da parte dei partiti che oggi formano la maggioranza. Sia come sia, siamo in ritardo sulla tempistica dei lavori impostaci dai finanziatori europei che stentano a comprendere le pastoie delle procedure tecnico-legali del Belpaese. Risultato: tutto diventa caotico. Parliamoci chiaro: non tutti i progetti approntati sono prioritari e non tutti indispensabili alla crescita economica, in forza del fatto che fu preferita la quantità alla qualità, nell’illusoria previsione che dalla spesa connessa al Recovery Plan dipenda il rilancio dell’economia e della ripresa dell’indice del PIL italiano. Il vecchio vizio della politica economica nostrana basata sul presupposto keynesiano che l’intervento statale sia, di per se stesso, un volano virtuoso per tutta l’economia nazionale, fa sommessamente capolino sia tra le note polemiche, sia tra quelle propositive. Quindi si continua a ritenere che solo ed unicamente l’entità statale sia il dominus che possa e debba individuare, progettare e realizzare le opere. E poi: è ragionevole andare a incrementare ulteriormente il nostro già colossale debito pubblico, anticipando soldi che non abbiamo, pur di incassare integralmente non solo i trasferimenti a fondo perduto, ma anche i prestiti? Intendiamoci: sono veramente tutti degni di questo sacrificio i progetti del PNRR? Alcuni certamente sì. Pensiamo, ad esempio, alla digitalizzazione del settore pubblico e della giustizia, che hanno positive ricadute sulla vita di tutti i giorni di cittadini ed imprese; così per le energie rinnovabili, che abbassano costi di produzione e bollette di famiglie e fabbriche. Non tutti però hanno questi requisiti di utilità ed urgenza. Basti guardare alle gare di appalto andate deserte per i progetti di realizzazione dei treni ad idrogeno oppure l’impegno a piantumare gli alberi. E’ possibile che nessuno riesca a fare scelte e selezioni? Certo che sì a patto che chi governa e chi si oppone non siano più guidati da un’idea di società e di economia ormai stantie e passate!! Tuttavia, essendo queste stesse forze politiche ormai simulacri personalizzati, nessuno ha più un discrimine politico e programmatico con il quale orientare tali scelte. Per dirla in soldoni: se al posto delle grandi orchestre sinfoniche di un tempo la musica la si fa con delle improvvisate e scalcagnate bande di paese, si suonerà sempre ad orecchio e mai con lo spartito. All’udito di un pubblico che poco segue con avvedutezza tali questioni, che diserta schizzinoso quanto ignorante le urne, anche una musica da processione paesana potrà sembrare la…nona sinfonia di Beethoven!! Pochi si sono accorti che per chiedere più soldi (200 milioni) abbiamo allungato la lista delle opere da realizzare ed oggi ci troviamo, oltre a dover anticipare denaro (preso dal debito pubblico!), a non saper dare precedenza ai cantieri più necessari per non perdere i finanziamenti Ue chiesti ed ottenuti!! I buontemponi, che ci governano, dimenticano che le spese di oggi sono le tasse di domani e che l’investimento nell’opera inutile o secondaria, assorbe capitale e lavoro che non possono essere impiegati nell’investimento per i progetti prioritari. Per non dire del semplice fatto che in alcuni casi quelle stesse opere non produrranno altro se non spesa corrente in futuro e vincoli in un bilancio statale già esangue. Ragionamenti semplici, i nostri, che non sono nelle corde di chi poco o niente ha studiato di economia politica, materia che non serve per danzare intorno al totem della spesa statale e delle future rendite elettorali.
*già parlamentare