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IL CRISTO NELLA CRIPTA DEL DUOMO DI CAPUA DI DAVIDE VARGAS
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IL CRISTO NELLA CRIPTA DEL DUOMO DI CAPUA DI DAVIDE VARGAS
L’occasione che mi porta di nuovo a Capua è l’avvio osservare con il distacco del geografo che misura distanze e valuta relazioni i territori che partono da essa e si dipanano intorno a bellezze sempre più relegate negli anfratti. Ma quando le porti allo scoperto è valore potente e inaspettato. Reciprocamente vista da lontano Napoli appare quasi inconsapevole della propria straripante bellezza e incapace di proteggerla così abituata ad averla a portata di mano per diritto naturale.
Attraversare la città e il pulviscolo vasto che si estende in tutta la Campania attiva una vera conoscenza. Il titolo del workshop è: “I beni confiscati: la grande occasione per l’architettura”. Ma è il momento di fare una specie di resoconto sulla qualità architettonica del Novecento diffusa nella piana casertana. Ti prende un senso di sconfitta per le occasioni perse davanti alle fabbriche dismesse e abbandonate come l’ex Siag di Marcianise progettata da Angelo Mangiarotti e Aldo Favini nel 1962, o l’ex Olivetti di Marcianise progettata da Marco Zanuso, o l’ex Siemens di Santa Maria Capua Vetere parzialmente utilizzata, o l’ex Texas Instruments ad Aversa realizzata nel 1965 su progetto strutturale di Pier Luigi Nervi, o l’ex Ceramica Pozzi di Sparanise del 1962 a firma di Figini e Pollini.
Solo per citare i simboli di una visione che negli anni Sessanta alimentava la vocazione della disciplina a emancipare il mondo e prefigurava un futuro più luminoso di quello che stiamo vivendo. Questa terra offre continui spunti di dolore e amore. È la narrazione dei tanti fallimenti affianco a rare sentinelle di qualità. Proprio come il destino degli uomini che Omero chiamava “difensori” dei valori di una vita degna. Accumulano disfatte ma non mollano mai. L’Aulario del Vescovado che ci ospita progettato da Luca Branco e Vincenzo Rossetti con la consulenza scientifica di Massimiliano Rendina al contrario è un’occasione raccolta. Il volume affaccia sul Volturno e dalle finestre arretrate nelle bucature profonde e strombate che scavano il blocco murario si riesce a sentire il lavorio dell’acqua che si muove tra le sponde.
Con questi sentimenti scendo nella cripta del Duomo per vedere il “Cristo deposto” scolpito da Matteo Bottigliero nella prima metà del diciottesimo secolo. La Cattedrale dei SS. Stefano e Agata fu fondata prima del Mille utilizzando per le 24 colonne che suddividono le tre navate elementi di spoglio provenienti dall’Anfiteatro Campano e dall’antico tempio di Marte. Il vescovo Erveo nell’XI secolo aggiunse il quadriportico ampliato nel Quattrocento, gli amboni oggi smembrati e costruì il succorpo. Nel Settecento il complesso subisce una ristrutturazione profonda. Il campanile fu realizzato nel IX secolo e sono visibili innesti che forse provenivano dall’Anfiteatro di Santa Maria Capua Vetere.
Con i bombardamenti dell’ultima guerra andarono distrutte la copertura della navata centrale e parte di quella sulle cappelle laterali. Oggi non resta molto dell’antico impianto. Matteo Bottigliero fu attivo a Napoli nella prima metà del Settecento dove tra l’altro scolpì la guglia dell’Immacolata in piazza del Gesù. Il Cristo di Capua è del 1724. Il corpo deposto è colto nell’imminenza della passione trasferita nella forma marmorea. È la sua forza espressiva. La luce si frantuma sulla modellazione dei muscoli ancora tesi e sul panneggio del sudario che copre le parti intime. Da una piegatura spunta la corona di spine. La vena del collo ancora gonfia misura il battito della vita che si spegne. Il dolore genera un rapporto emozionale come in una stazione di via crucis.
La scultura è posta al centro dello spazio tra due ambulacri che curvano nella parte terminale, realizzati con colonne di spoglio in granito e cipollino. Giuseppe Sammartino fu allievo di Bottigliero. In queste ore una lunga fila di turisti come accade ogni giorno nella città invasa aspetta di entrare alla Cappella Sansevero dove il Cristo Velato suscita una riflessione più distaccata sul mistero della passione, colto come è un momento dopo la lacerazione del sacrificio. È una giornata tiepida e le persone si trattengono al sole sul ciglio della scarpata che scende al fiume. Una frotta di giovani studenti sta uscendo dall’edificio e la parola “difensori” aleggia tra loro. La terra morente come il Cristo chiede difesa.