GIUSTIZIA
Imprese fallite: “Presto la riforma”
IL VICEMINISTRO SISTO – ”Penale utile” ma in sostanza si depotenzieranno le sanzioni
13 MAGGIO 2023
“La riforma spero possa arrivare presto. Sarà oggetto di un confronto politico e tecnico, coinvolgeremo tutte le associazioni professionali”. Il viceministro alla Giustizia Francesco Paolo Sisto ha annunciato ieri a Bari, in un convegno tenutosi nella facoltà di Legge, che il diritto fallimentare sarà riformato nella sua parte penale. Il 5 maggio un decreto ministeriale ha nominato la nuova “Commissione di studio sul diritto penale della crisi d’impresa” che, con l’eccezione di alcuni innesti, ricalca la precedente, guidata dal magistrato Renato Bricchetti. Come anticipato dal Fatto le intenzioni sono quelle di armonizzare la riforma del diritto fallimentare con le direttrici già prese, spiega Sisto, “per i reati di abuso d’ufficio e traffico d’influenze”. In sostanza: depotenziamento delle sanzioni in nome di un “diritto penale utile” e “non soltanto repressivo di qualsiasi fenomeno economico”, con il quale “bisogna offrire all’imprenditore una seconda chance“. “Non possiamo legiferare fingendo di non essere un paese in difficoltà”. E ancora: “Nessuno nega che le grosse mascalzonate debbano essere punite, ma le piccole e medie imprese subiscono processi che risultano mortali”. Sisto annuncia il progetto di una riforma con norme più benevole che possano arrecare beneficio per chi ha processi già in corso. Non si sbilancia su nulla di preciso tranne che su “sindaci e professionisti”: devono essere puniti solo se è dimostrato un chiaro “nesso causale di responsabilità” nella bancarotta. Insomma c’è tutto e niente, un assaggio di principi generali, al quale ribatte uno dei massimi esperti italiani della materia, il magistrato Roberto Fontana, oggi consigliere del Csm, che durante il convegno traccia dinanzi a Sisto la principale linea di confine. Il reato più importante, nel contrasto al fenomeno, è il cagionamento doloso del dissesto. Può anche andar bene eliminare dalla norma il riferimento alle “operazioni dolose” purché il reato rimanga a dolo generico. In sostanza: non va trasformato in un reato a “dolo specifico”. Il motivo: la maggior parte dei dissesti riguarda società programmate dall’inizio per vendere servizi sottocosto, non pagando erario e previdenza, distruggendo la concorrenza. È chiaro che l’obiettivo non è il fallimento (piuttosto, è la conseguenza) ma il guadagno: se si dovessero punire solo se e quando progettano il dissesto (dolo specifico) vanificheremmo la norma penale. Va bene eliminare sanzioni, o alleggerirle in caso di condotte meno gravi, ma tenendo ferme le pene attuali per quelle gravi. Per una bancarotta grave non può essere previsti minimi edittali inferiori al furto pluriaggravato (articolo 625 ultimo comma: pena da tre ai 10 anni). Altrimenti la sanzione non sarebbe più legata alla gravità della condotta ma al tipo sociale dell’autore.