“Io penso che sia una vergogna, questa gente vive in un universo parallelo. Non ha idea di cosa ci sia nel paese. Siamo l’unico paese europeo che non sostiene i poveri” lo urla forte, con una rabbia crescente, una delle percettrici di reddito di cittadinanza intervenuta ieri pomeriggio al corteo “Ci vuole un reddito” che si è snodato da Piazza dell’Esquilino a piazza Vittorio Emanuele a Roma: un migliaio di persone, in una piattaforma sociale inedita, che ha urlato al governo la necessità di un reddito minimo garantito, di un salario minimo, e di un diritto alla casa, contro la povertà e l’esclusione sociale. “La mia vita conta”, “non riusciamo a fare la spesa”, “nemico è chi affama, non chi ha fame” recitano slogan e striscioni.
Un campo largo che è riuscito a mettere insieme 140 associazioni e sigle diverse – partendo da una cinquantina di promotori iniziali -, da quelle che si occupano più da vicino di povertà ed esclusione, a spazi sociali e circoli, centri anti-violenza, fino sindacati e partiti, per una lunghissima lista di aderenti che va da ActionAid, a Arci, ad ampi pezzi della Cgil, dal sindacato inquilini alla Fillea, a Legambiente, ai Cobas, a tante sigle dell’attivismo romano e nazionale. D’altronde, spiega con un sorriso amaro Tiziano Trobia delle Clap – Camere del Lavoro Autonomo e Precario “il governo ci ha dato una mano, inserendo le misure volte a cancellare” o meglio ridurre drasticamente “il reddito di cittadinanza nel decreto lavoro, in un consiglio dei ministri tenutosi il 1 maggio: l’obiettivo non è il sussidio in sé, ma impedire alle persone di rifiutare salari indecenti, di facilitare l’utilizzo di lavoro povero o poverissimo”. Un punto, questo, che torna ossessivamente negli interventi nel corso del corteo e della piazza finale, nonostante ci sia la consapevolezza che la misura voluta dal governo Conte fosse certo da migliorare.
Ad aprire e popolare il corteo, però, ci sono proprio i percettori di reddito di cittadinanza, che non ci stanno a farsi passare come nullafacenti. Italiani, o residenti in Italia da tempo. L’obiettivo del movimento, nato all’indomani delle elezioni con una serie di comitati a difesa del reddito, e cresciuto nei mesi a seguire fino a maturare l’idea di una manifestazione nazionale, è anche quello di modificare la narrazione su queste persone. “Ma non è affatto facile” chiarisce Trobia “perché in tanti si vergognano di prendere o aver bisogno del sussidio: la colpevolizzazione della povertà, purtroppo, ha fatto centro”. Quelli che ieri erano in piazza, però, raccontavano le loro storie. Cresciuti in case occupate, in contesti difficili, o che hanno conosciuto imprevisti e sfortune di vario genere che li hanno gettati nella miseria. A volte con figli da crescere. Come Vittoria, che “vorrebbe lavorare” dice, come ha sempre fatto, ma dopo un infortunio non è più un grado: ma non ha diritto ad alcuna invalidità. Paola, come altri, chiarisce: “io ho sempre lavorato, voglio lavorare, la vita mi ha tolto tutto, che devo fare?”.
Ilaria Manti, di Nonna Roma, non ha dubbi: si tratta di una prima piazza, di un primo momento a cui si è arrivati con grande fatica, “ma è una coalizione sociale straordinaria, che non fa che allargarsi”. Ieri c’erano percettori campani, siciliani, lombardi, da tutta Italia. La convinzione diffusa è che a questo corteo ne dovranno seguire altri.
La politica dovrà comprendere che fare con questo movimento: tutti i partiti di opposizione, Pd, Movimento 5 stelle, Alleanza Verdi Sinistra e anche Unione Popolare hanno aderito e registravano esponenti anche di spicco in piazza ieri. Ma i leader hanno scelto di non presenziare. “Ora la sfida per le opposizioni è quella di ascoltare questa piazza, e fare in modo che il dl lavoro non venga convertito in legge nella forma attuale” dice Manti, facendo suo un sentore comune nel corteo. A chi era in piazza, con i suoi carrelli vuoti e le sue storie, la questione era chiara: la palla passa a parlamento e governo.