«Dal momento in cui nel carcere di Santa Maria Capua Vetere cominciano ad entrare chili di droga, allora significa che quella struttura è di- ventata una piazza di spaccio importante».

 

L’allarme arriva dal nuovo procuratore di Santa Maria Capua Vetere, Pierpaolo Bruni, 55 anni, originario di Crotone, che dal 23 maggio scorso si è insediato a capo della Procura sammaritana, prendendo il posto di Maria Antonietta Troncone, che ora dirige la Procura di Napoli Nord.

Il carcere sammaritano dunque, dopo le violenze contro i detenuti, una vicenda divenuta un processo che vede alla sbarra più di cento tra agenti penitenziari e dirigenti dell’amministrazione penitenziaria, è di nuovo sotto i riflettori degli inquirenti.

«È qualcosa di inquietante – aggiunge il procuratore – perché il carcere è il luogo in cui dovrebbe avvenire la rieducazione. Invece, se c’è questa facilità di contatti tra l’ambiente carcerario e l’esterno, si creano problemi serissimi anche nella tenuta del contrasto alla criminalità organizzata e non. Perché nel momento in cui c’è questa facilità di scambio di informazioni tra detenuti e l’esterno del carcere, il detenuto può tranquillamente continuare ad esercita- re il comando e dunque il controllo sui traffici illeciti».

L’ultimo episodio inquietante è avvenuto il 18 lu- glio scorso, quando i carabinieri del comando provinciale di Caserta, a pochi metri dalla struttura carceraria, hanno fermato una Fiat Panda con quattro persone a bordo, tutti della provincia di Caserta, rinvenendo all’interno dell’utilitaria, occultati, un chilo e 300 grammi di hashish suddiviso in 13 panetti, 62 grammi di cocaina, e anche 7 cellulari e 4 microcellulari, con relativi carica batterie.

La droga era stipata in 6 plichi di uguale peso. Tra il materiale rinvenuto anche un drone di ultima generazione, idoneo per struttura e capacità a trasportare il carico e introdurlo nel carcere. Il carico, ha ipotizzato la Procura, era destinato a rifornire alcuni detenuti del carcere di Santa Maria Capua Vetere.

Ma se l’ultima operazione dei carabinieri è quella più clamorosa, nel tempo ce ne sono state diverse altre dove la polizia penitenziaria ha rinvenuto e sequestrato telefoni cellulari all’inter- no delle celle dei detenuti.

Ricordiamo che anche la garante dei detenuti per la provincia di Caserta, Emanuela Belcuore, è indagata con l’accusa di aver procurato ad un detenuto un telefonino intestato a uno straniero.

Il carcere di Santa Maria Capua Vetere, insomma, stando a questi episodi, sembra molto permeabile.

«Intendiamoci – dice il procuratore Bruni – il tessuto carcerario del- l’amministrazione penitenziaria è un tessuto sano. È il caso di ricordare che ci sono stati numerosi agenti della polizia penitenziaria e anche direttori che sono stati assassinati per il loro rigore. Mi sembra una sottolineatura necessaria. In ogni caso, sulla permeabilità del carcere, ci sono da fare delle riflessioni – afferma ancora il procuratore – La prima riflessione è che se l’ambiente carcerario è permeabile, arriva droga, arrivano cellulari allora il luogo in cui deve avvenire la riabilitazione diventa, invece, il luogo in cui vengono commessi dei reati. Un’altra riflessione, è che se Il carcere diventa una piazza di spaccio, i carcerati diventano coloro che inviano soldi all’esterno mentre prima era l’inverso. Inoltre – continua il procuratore – se il detenuto è costantemente in contatto con l’esterno come se fosse libero, può ricevere informazioni e può impartire ordini dall’interno all’esterno e quindi può continuare a comandare. In teoria potrebbe commissionare un omicidio e non essere mai processa- bile perché avrebbe un alibi molto efficace, che è quello della detenzione. Insomma, il rischio concreto è che il carcere possa diventare il luogo di riaggregazione e di rinascita dei clan».

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